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ATTIVO NAZIONALE QUADRI E DELEGATI FILLEA CGIL SULLA SICUREZZA NELLE COSTRUZIONI  

 3 febbraio 2005 – Centro Congressi Frentani

 

Relazione MARA NARDINI

 

Oggi parliamo di un provvedimento all’ordine del giorno, che è la proposta del Governo di Testo unico sulla sicurezza, ma vogliamo anche fare il punto e rilanciare un tema, la salute e la sicurezza dei lavoratori, per noi prioritario tutti i giorni, che è il nostro assillo quotidiano.

Sulla sicurezza abbiamo fatto e stiamo facendo molto. Voglio schematicamente ricordare:

 i rinnovi dei contratti nazionali, caratterizzati dalla filosofia del cantiere qualità, dal forte investimento sul capitale umano, dall’intervento qualificante della formazione e dal rafforzamento degli strumenti per modificare le condizioni di lavoro.

l’avviso comune per l’emersione del lavoro irregolare, il DURC e la legislazione di sostegno, nonché la norma sulla comunicazione anticipata delle assunzioni;

i tanti e rilevanti protocolli territoriali sulla sicurezza, sulla legalità e contro il lavoro nero;

il forte impegno sulla qualificazione del nostro sistema bilaterale, per la regolarità, la formazione e la sicurezza in edilizia;

l’iniziativa mirata alla realtà dei lavoratori stranieri, nelle imprese e nei cantieri;

l’Osservatorio sugli infortuni mortali nelle costruzioni, monitorati sul nostro sito nazionale;

la Campagna nazionale contro il lavoro nero e gli infortuni in edilizia, condotta tramite un numero verde.

Tutto questo naturalmente non basta, perché le costruzioni restano il settore che sia dal punto di vista quantitativo, che sotto il profilo della gravità degli eventi infortunistici, è uno dei più a rischio. Il monitoraggio degli infortuni mortali condotto dalla Fillea dimostra che essi sono drammaticamente in aumento; mentre nel 2003 i lavoratori deceduti sono stati 215, nel 2004 sono stati sedici in più, arrivando alla cifra altissima di 237 infortuni mortali, con un aumento del 7,4%.

38 infortuni mortali hanno riguardato lavoratori stranieri, rispetto ai 32 del 2003, con una crescita eccezionale del 18,7%, nella quale spicca il Piemonte, che è passato da 1 a 10 lavoratori stranieri caduti.

Ancora una considerazione sulle cifre degli infortuni; quando verifichiamo che i dati Inail sugli infortuni nelle costruzioni indicano in Regioni come la Campania o il Lazio indici di frequenza della metà o di un terzo rispetto a quelli di Regioni come Umbria, Marche, o Trentino, non possiamo che pensare che questi dati sono influenzati da quella forte presenza di lavoro nero che porta a non denunciare molti infortuni e che sconsiglia una valutazione solo statistica del fenomeno, e meno che mai qualunque ottimismo da parte delle Istituzioni.

Gli infortuni in edilizia spesso non sono il prodotto di una complessità del processo produttivo, ma della mancanza delle più elementari misure di prevenzione. Ciò è il segno di una criticità della situazione nei cantieri che ha come prima causa il meccanismo dell’appalto, basato sulla logica del massimo ribasso e dal conseguente ricorso alla lunga catena dei subappalti e della sub-contrattazione di servizi, noli e forniture.

Vi è poi l’estesa presenza di lavoro nero e irregolare, che appare in aumento e in alcuni casi raggiunge anche percentuali del 50%, che non è solo causato da un contesto sociale caratterizzato da una forte disoccupazione, come quella di alcune realtà meridionali, perché questa altissima incidenza del lavoro nero riguarda, p.es. una città come Milano, che ha tassi di disoccupazione a livello europeo; ciò significa che le cause sono interne al settore, al meccanismo dell’appalto e della concorrenza fra imprese.

In questo contesto si inserisce anche il fenomeno del caporalato, che riguarda ormai piccoli e grandi cantieri, con l’aggravante della difficoltà di perseguirlo efficacemente, perché, mi dicono, nel nostro ordinamento non esiste un reato specifico.

La presenza del caporalato incide particolarmente sulla condizione dei lavoratori stranieri e sullo sfruttamento esasperato di quelli clandestini, i più ricattabili, arrivando a casi ai limiti della schiavitù. Una seconda causa di sfruttamento esasperato di lavoratori stranieri è il distacco di manodopera, che consente di importare temporaneamente in Italia lavoratori da altri Stati; anziché godere delle tutele e dei diritti degli edili italiani, come dice la normativa, questi lavoratori vengono ricattati, sottopagati e fatti lavorare senza tutele.

Tutto ciò penalizza nella concorrenza le aziende che vogliono rispettare le regole e spinge al ribasso la competizione fra imprese.

In tutte queste situazioni la sicurezza è l’ultima delle preoccupazioni e i lavoratori sono costretti a lavorare senza prevenzione e privi delle più elementari misure di protezione.

Una ulteriore causa di infortuni, ma questa riguarda anche i cantieri regolari, risiede nella continua e progressiva contrazione dei tempi di esecuzione dei lavori e nella insufficienza dei controlli pubblici. Senza considerare gli effetti che potrebbe avere il testo unico sulla sicurezza, c’è da dire che già oggi i controlli sono largamente insufficienti e, al di là di qualche lodevole sforzo, riguardano una ridotta percentuale di cantieri, quindi la probabilità di essere controllati scatta ogni parecchi anni. Va aggiunto che con la recente riforma dei servizi ispettivi gli ispettori del Lavoro, dell’Inps e dell’Inail diventano anche consulenti delle imprese, con un evidente ridimensionamento e indebolimento delle loro funzioni di controllo.

Anche negli impianti fissi sono presenti situazioni difficili sul terreno della sicurezza, a partire dal legno, che è il settore al terzo posto per infortuni sul lavoro, ancor prima dell’edilizia.

Le criticità di questi settori in parte sono comuni a tutti i settori industriali: il monitoraggio sulla applicazione della 626 realizzato dalle Regioni, che è stata un’indagine che per ampiezza non ha pari in Europa, perché ha riguardato più di 8.000 aziende per un totale di quasi 750.000 lavoratori, ha dimostrato che la 626 è applicata in modo soddisfacente per quanto riguarda il rispetto degli adempimenti formali, mentre risulta carente l’applicazione sostanziale, la formazione alla sicurezza, la programmazione degli interventi, con una maggiore criticità nelle piccole e piccolissime imprese.

A queste carenze comuni si aggiungono problemi specifici. Nel legno sono presenti rischi rilevanti dovuti a presenza di polveri, rumore, uso di sostanze nocive fra gli additivi o i collanti, uso di macchinari in grado di provocare lesioni gravi e mortali. Il tessuto produttivo, accanto a imprese e a gruppi dove vi sono rappresentanze sindacali e RLS e dove viene svolta la contrattazione aziendale, presenta una forte frantumazione produttiva che comporta una debolezza della rappresentanza e una non generalizzazione degli RLS.

per i laterizi gli aspetti critici sono legati alle caratteristiche stesse del ciclo produttivo, quindi più difficili da modificare, e riguardano rumorosità, calore, polveri. La dimensione delle imprese consente la generalizzazione degli RLS, delle rappresentanze sindacali e della contrattazione di gruppo, con un miglioramento dei contenuti del contratto nazionale.

Nei manufatti, ma anche nei lapidei la realtà produttiva molto frammentata comporta problemi di scarsa applicazione della 626 e una non generalizzazione degli RLS. Nei lapidei i rischi sono altissimi, dovuti anche ai carichi di lavoro, sia nelle attività di escavazione (fronti di cava, piazzali), sia nella lavorazione (polveri, rumore, alto tasso di umidità), sia nella movimentazione del marmo. Gli accordi integrativi in alcune zone hanno introdotto gli Enti bilaterali per la sicurezza di distretto. In altre realtà, come il porfido, si sono perpetuate situazioni di lavoro a cottimo strutturale, che comportano rilevanti rischi per la salute (movimentazione manuale dei carichi e  traumi da sforzi ripetuti).

Nel cemento il contratto nazionale consente agli RLS, che sono generalizzati, una capacità di intervento e di controllo su tutti gli aspetti dell’ambiente di lavoro, e assicura loro formazione e agibilità, anche attraverso la possibilità di utilizzare il monte ore delle RSU. Gli accordi di gruppo migliorano il contratto nazionale, alcuni accordi consentono agli RLS di intervenire sui dipendenti delle imprese che lavorano in appalto.

Aspetti critici riguardano le tattiche dilatorie da parte delle direzioni aziendali di fronte alle richieste degli RLS, le iniziative unilaterali delle imprese e i tentativi di introdurre materie prime o combustibili alternativi; su questo ultimo problema proponiamo un approfondimento, che consideri i pareri delle istituzioni competenti, il supporto di esperti e quello del Dipartimento Ambiente della Confederazione.

Nelle situazioni di grande frammentazione produttiva, insieme alla sindacalizzazione, il primo e principale strumento deve essere la formazione e l’informazione alla sicurezza, per affermare una cultura della sicurezza molto spesso assente; a questo fine richiamiamo l’attenzione sulla opportunità offerta dai progetti di formazione continua, che possono riguardare anche la sicurezza.

Nell’edilizia la politica per la sicurezza non può che essere interdisciplinare e basata su una azione sinergica di tutti i soggetti: non basta una normativa adeguata, è necessario che continui l’iniziativa contro il lavoro nero, per la trasparenza e la regolarità del settore e l’attuazione completa di quanto già concordato.

Sappiamo che le misure, importanti, che abbiamo conquistato, a partire dal DURC, non bastano. E’ necessario intervenire sulla politica degli appalti, agendo su quelle che sono le cause a monte dell’infortunio, che operano ancor prima che si apra il cantiere, a partire dalla ricostruzione sul terreno della sicurezza della filiera delle responsabilità, che non può essere scaricata sull’ultimo sub-appalto di una lunghissima catena.

Non è questa la sede per aprire un’ampia discussione sulla politica degli appalti e la politica industriale, perché abbiamo in programma iniziative specifiche nelle quali approfondire questi argomenti; voglio fare solo una considerazione di carattere generale.

E’ necessario, a mio parere, implementare il meccanismo che consente di premiare le imprese che investono in sicurezza e di penalizzare le imprese che concorrono slealmente sul mercato e abbattono i costi della sicurezza. A questo fine è necessario rafforzare il sistema sanzionatorio, non tanto sul versante delle pene detentive, che sono comunque necessarie, o delle pene pecuniarie, che sono inefficaci, tanto che vi sono imprese che le preventivano fra i costi di produzione, quanto sul terreno delle sanzioni interdittive. (Vi sono imprese sensibili solo al rischio di sequestro del cantiere). Le leggi regionali sugli appalti potrebbero contribuire a questo obiettivo. D’altra parte la strada delle sanzioni interdittive, limitatamente alla regolarità, è già tracciata; infatti in assenza del DURC, ora è prevista la perdita di efficacia del Permesso di costruire o della Dichiarazione di Inizio Attività.

Per quanto riguarda gli incentivi alle imprese che sono attente alla sicurezza, essi vanno implementati, ma ancor prima, va verificata l’efficacia di quelli che già in vigore.

L’edilizia, con il 10% delle domande, è il settore che viene subito dopo i servizi, nell’accesso ai finanziamenti dell’INAIL: da una prima stima, risulta che sono stati finanziati 2.130 progetti, per un totale di 114 milioni di Euro, per formazione alla sicurezza o per finanziamenti in conto capitale o in conto interessi finalizzati all’adeguamento strutturale delle imprese.

Ai finanziamenti diretti vanno aggiunti gli sconti sulle tariffe INAIL: la recente riforma tariffaria, basata su sconti legati a indicatori diversi, fra cui quelli a domanda per interventi di implementazione della sicurezza, può comportare per una impresa edile considerata “sicura” una riduzione fino al 32% in meno rispetto ai premi ante 2001. A questo va aggiunto per le imprese regolari lo sconto dell’11.5% che incide non solo sulla contribuzione Inps, ma anche su quella Inail.

Poiché dal 2001 ad oggi l’andamento degli infortuni non è migliorato, è opportuna una riflessione, per capire se prevale un meccanismo “a pioggia”, se e come l’Inail ha fatto delle verifiche, per finalizzare più attentamente gli attuali incentivi e rivendicare un maggior sostegno economico, in termini di finanziamenti diretti o di riduzioni tariffarie e fiscali, agli investimenti nella sicurezza.

Oltre a questi assi a carattere generale, la nostra iniziativa per la sicurezza deve svilupparsi in diverse direzioni:

Non dobbiamo stancarci di rivendicare una diversa condizione per i lavoratori stranieri, largamente presenti nei nostri settori: oggi, 3 febbraio, si è aperta davanti alle Poste Italiane l’incredibile corsa per vincere la lotteria di un ingresso regolare, in un meccanismo, quello dei decreti sui flussi di ingresso, che condanna questi lavoratori alla clandestinità e al ricatto di datori di lavoro e caporali.

E’ necessaria una politica dei meccanismi d’ingresso, che offra una risposta reale alla pressione migratoria e ai fabbisogni delle imprese, coniugata con un’analisi delle professionalità necessarie e un forte ruolo della formazione per qualificare professionalmente questi lavoratori e assicurare loro una adeguata formazione per la sicurezza.

Va ampliata l’esperienza della concertazione e contrattazione d’anticipo, estendendola ad un numero sempre maggiore di opere, in modo da riprodurre un modello che, la dove è nato ed è stato applicato, come nei Canteri dell’Alta velocità, ha prodotto risultati largamente positivi, in particolare nella sicurezza.

E’ necessario proseguire nell’iniziativa diretta a conquistare con la concertazione territoriale l’impegno dei soggetti istituzionali e imprenditoriali sul terreno della legalità, della regolarità della imprese e della sicurezza dei cantieri. Molto è stato fatto, alcuni protocolli segnano importanti e sensibili passi avanti, queste esperienze vanno estese e implementate, continuando a battere e ribattere su questo tasto, chiedendo alle Istituzioni regionali di investire una quota parte crescente del bilancio nelle attività di prevenzione e nella formazione alla sicurezza per i settori a maggior rischio infortunistico, come l’edilizia o il legno o le cave.

 

Il Testo unico sulla sicurezza, del quale parleremo fra un attimo, intende eliminare i Comitati Regionali di coordinamento previsti dall’articolo 27 della 626; è necessario, al contrario, rafforzare i meccanismi e le sedi di coordinamento fra tutti i soggetti istituzionali che si occupano di sicurezza in modo che le attività di prevenzione e di controllo avvengano in modo programmato sviluppando le sinergie e ottimizzando gli interventi.

Per quanto riguarda le nostre controparti, la contrattazione di secondo livello rappresenta una occasione nella quale possono essere implementati i contenuti dei contratti nazionali e possono essere aperti nuovi spazi alla contrattazione. Vi sono molti spunti da suggerire ad una discussione su questi temi, anche perché in questi mesi vi sono state riflessioni e iniziative territoriali dalle quali sono emerse idee interessanti; non ho il tempo per riportare tutto questo, d’altra parte oggi gli interventi di delegati alla sicurezza potranno fornire lo spaccato di un lavoro, di una riflessione e di esperienze concrete. Proponiamo che su questa tematica, in vista della preparazione delle piattaforme degli integrativi territoriali dell’edilizia, lavori un gruppo di lavoro nazionale che consenta di raccogliere gli spunti propositivi e di tradurli in proposte spendibili.

Quello che è il nostro esercito sulla sicurezza, cioè i nostri RLS, va meglio organizzato. Per prima cosa vogliamo conoscerlo di più: infatti stiamo portando avanti il monitoraggio degli RLS e abbiamo appena terminato quello degli RLST dell’edilizia;

proponiamo che a livello regionale o territoriale si realizzino coordinamenti di categoria dei nostri RLS, mentre su temi che riguardano la specificità produttiva di alcuni settori, il confronto e il coordinamento potranno essere anche di singolo comparto produttivo. A questo proposito proponiamo che per il Cemento si realizzi un coordinamento nazionale di settore in materia di salute, sicurezza e ambiente;

inoltre vogliamo vederci più fraquentemente e per questo ci impegniamo a convocare periodicamente, in linea di massima una volta l’anno, gli  RLS in un attivo nazionale, per verificare il percorso fatto e programmare le iniziative future.

 

Il secondo argomento dell’iniziativa odierna riguarda il testo unico sulla sicurezza.

Oggi abbiamo invitato autorevoli esperti, che ringraziamo di essere qui, che potranno dare a questa nostra discussione un contributo assai più approfondito di quanto io non possa fare. Mi limiterò, pertanto, ad evidenziare gli aspetti di fondo delle proposta del Governo.

Il T.U. interviene sulla normativa sulla sicurezza attraverso una riscrittura della legislazione esistente, che mantiene a livello normativo i contenuti (minimi) delle Direttive, mentre è delegificato tutto il resto. La logica di fondo a cui è improntato il provvedimento è quella di far cadere i vincoli normativi che obbligano al preciso rispetto di misure di prevenzione concretamente verificabili, e di lasciare agire il principio generale che i rischi vanno valutati e prevenuti; ciò non più per ottenere la massima sicurezza tecnicamente possibile, come prevede l’art.2087 del codice civile, ma la sicurezza riferita ad una sorta di standard medio. Pertanto le norme esistenti prima della 626 e tuttora in vigore: il Dpr.547/56 (norme antinfortunistiche), il Dpr.164/56 (prevenzione infortuni nelle costruzioni), ecc, vengono abrogate o trasformate in norme di buona tecnica, così da norme obbligatorie e sanzionate penalmente, diventano norme volontarie. In questo modo è operata una vasta delegificazione e depenalizzazione, che si traduce in un’estesa deresponsabilizzazione dei datori di lavoro. Questa operazione è particolarmente incisiva per l’edilizia, perché il Dpr.164/56 risulta la norma rispetto alla quale vengono rilevate nei cantieri dagli Organi di vigilanza le violazioni più numerose e più gravi (contiene misure di sicurezza per gli scavi o per i ponteggi, per prevenire il rischio di seppellimento o di caduta dall’alto). In cartellina vi sono alcuni esempi, relativi all’attività di vigilanza svolta nei cantieri in Veneto, a Milano e a Firenze, che dimostrano che il 75 – 85% delle violazioni riguardano norme che il Testo Unico vuole derubricare e depenalizzare.

Gli organi di vigilanza con un provvedimento amministrativo potranno imporre il rispetto di queste norme, ma gli imprenditori dovranno applicarle solo se e quando intervengono gli ispettori (quindi, ogni quanti anni ?).

.In sostanza vi è una un’ampia depenalizzazione per il reato della messa in pericolo delle persone. Restano le sanzioni penali in caso d’infortunio, ma sembra avanzare il rischio gravissimo di una sostanziale impunità anche dei reati connessi agli infortuni, mortali e non, e perfino in caso di recidiva, grazie alla normativa sulla prescrizione nei processi penali contenuta nella legge chiamata “salva Previti”, approvata finora da un solo ramo del Parlamento.

Per gli enti bilaterali viene configurato un ruolo sostitutivo della vigilanza pubblica, per noi inaccettabile: a richiesta delle imprese possono verificare l’applicazione della normativa di sicurezza e rilasciare la relativa certificazione; gli organi di vigilanza ne dovranno tener conto nella programmazione dell’attività. Non si tratta di una consulenza e di un supporto tecnico alle imprese, qual è quello previsto contrattualmente per i CPT, ma di un sostituirsi alla attività ispettiva degli organi pubblici.  E’ chiaro che se fossero esercitate, queste funzioni sostitutive susciterebbero a carico degli Enti bilaterali un evidente conflitto d’interessi fra controllore e controllato e scaricherebbero sul sistema bilaterale i costi di una mancata vigilanza pubblica. Inoltre, nel caso d’infortunio in un’impresa certificata, si aprirebbero pesanti interrogativi sul terreno delle responsabilità, comprese quelle di carattere etico.

Inoltre il T.U., mentre accresce le funzioni degli enti bilaterali, diminuisce poteri e funzioni degli RLS, sovvertendo il criterio partecipativo che caratterizza le direttive comunitarie, basato sul coinvolgimento degli RLS e dei lavoratori e sulla  centralità dei luoghi di lavoro.

Per quanto riguarda i cantieri, tutti gli obblighi relativi ai posti di lavoro, indicati negli allegati, (scavi, pozzi, gallerie, lavori sui tetti, lavori in altezza, ecc.) sono trasformati in misure opzionali, che si applicano solo se le circostanze lo richiedono.

Di fronte a questa opera di smantellamento di garanzie e di arretramento sui diritti alla salute e alla sicurezza, è necessario mettere in campo tutte le iniziative possibili, attraverso una campagna di  informazione dei lavoratori,  di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, di rapporto con il mondo degli operatori della prevenzione, dei medici del lavoro, degli esperti, e con le Istituzioni locali e Regionali, per richiedere un cambiamento di fondo del provvedimento. Ci auguriamo che questo sia possibile nel confronto che è appena iniziato fra le Organizzazioni confederali e il Governo e che alle aperture annunciate segua la possibilità di modificare gli aspetti essenziali del provvedimento.  

 

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