MIME-Version: 1.0 Content-Type: multipart/related; boundary="----=_NextPart_01C5B882.D24A6F80" Questo documento è una pagina Web in file unico, nota anche come archivio Web. La visualizzazione di questo messaggio indica che il browser o l'editor in uso non supporta gli archivi Web. Scaricare un browser che supporti gli archivi Web, come Microsoft Internet Explorer. ------=_NextPart_01C5B882.D24A6F80 Content-Location: file:///C:/F0A7B209/preamobolotesiultimaversione(18luglio).htm Content-Transfer-Encoding: quoted-printable Content-Type: text/html; charset="us-ascii"
Preambolo =
tesi
ultima versione (18 luglio)
Riprogettare il =
paese
Lavoro, saperi,
diritti, libertà
1. All’atto del XIV congresso la situazione del pa=
ese,
della sua economia e quella del lavoro e dell’occupazione presentavan=
o un
quadro denso di difficoltà e problemi, ma anche di opportunità=
; da
cogliere.
E’ vero: un liberismo globale senza regole lasciava
per intero intravedere i suoi rischi per quanto riguardava gli effetti della
globalizzazione, la protezione dei diritti dei lavoratori, la
possibilità di ricerca di accordi e regole fra nord e sud del mondo,=
in
un quadro di un commercio più equo, ordinato e solidale.
L’Europa, uscita dal periodo che aveva portato alla
moneta unica, si esprimeva ancora con una impostazione alta di politica
economica e sociale, quella definita dagli obiettivi dell’agenda di
Lisbona, tra problemi e speranza si accingeva a misurarsi alla definizione =
di
quello che sarebbe poi diventato il Trattato costituzionale.
L’Italia nell’anno di maggiore sviluppo di
commercio internazionale (il 2000) cresceva meno degli altri paesi, continu=
ava
a perdere quote del commercio mondiale, ma comunque registrava una crescita=
del
Pil del 3%. Al quale seguiva un anno in cui la crescita si attestava
all’1,7%.
La coalizione di centrodestra aveva vinto le elezioni nel
2001, sostenuta da un patto esplicito con
A distanza di quattro anni, la situazione del paese si presenta oggi con il
volto di una crisi profonda: dissesto produttivo ed industriale; recessione;
carenza di infrastrutture materiali e immateriali; assenza di politiche e di
strategie verso il Mezzogiorno; arretramento nella qualità della scu=
ola,
della ricerca e dell’università; una politica sociale che, sen=
za
affrontare i problemi dell’efficienza e della qualità
dell’offerta pubblica, attraverso una sistematica politica di riduzio=
ne
delle risorse, ha teso a colpirne il carattere universalistico e ha finito =
per
privilegiare un’offerta privata di bassa qualità e di alti cos=
ti,
senza attenzione verso le crescenti aree della povertà, del disagio,
della emarginazione.
E’ aumentata la precarietà, sono nate nuove
forme di lavoro che non offrono ai giovani alcuna garanzia per il loro futu=
ro
né sulla qualità dell’occupazione né sui livelli
retributivi.
L’Italia è oggi insieme un paese più
disgregato, più diviso, più insicuro dal punto di vista econo=
mico,
di quello sociale, del segno e del profilo della qualità della vita
democratica e dell’etica pubblica. Un paese dove sono aumentate le
disuguaglianze e l’impoverimento di ampi strati sociali fra cui i
giovani, le donne e gli anziani. Un paese dove la criminalità
organizzata ha rialzato la testa e le illegalità crescono.
Oramai come è evidente a tutti, anche a coloro che
hanno tentato fino all’ultimo di nascondere la verità dei proc=
essi
e della situazione, e di raffigurare un paese ideale non corrispondente al
vero, l’Italia si presenta come il grande malato dell’Europa, p=
er
le proprie condizioni materiali e per quelle – in un rapporto di causa
– effetto – in cui versano giovani, lavoratori e pensionati.
Il XV congresso della Cgil vuole misurasi, innanzitutto,=
con
la gravità e la profondità della crisi del paese,
nell’obiettivo e nella necessità di definire una proposta e un
progetto per la sua ricostruzione, per la sua rinascita civile e morale,
partendo, come giusto e doveroso per una grande forza di rappresentanza del
lavoro, dalla centralità del valore del lavoro.
E’importante richiamarsi alla centralità del
valore del lavoro non solo come portato della nostra rappresentanza, ma
indicandolo come valore di riferimento per l’intera organizzazione so=
ciale,
intendendo il lavoro in tutte le sue forme, in alternativa alla
centralità del mercato, ridando forza – in questo modo –=
al
concetto di “Repubblica fondata sul lavoro” come tratto distint=
ivo
della nostra comunità nazionale. Il lavoro e la conoscenza devono
diventare il bene comune che orienta una nuova e diversa fase dello sviluppo
economico e produttivo.
La globalizzazio=
ne e
il ruolo dell’Europa
2=
. Una
proposta di questa importanza non avrebbe fiato se non dovesse prevalere a
livello europeo e globale un’idea di sviluppo che assuma come profilo=
la
qualità e come limiti invalicabili i diritti umani, del lavoro e la
sostenibilità ambientale.
Al contrario l’enormità delle differenze tra
Nord e Sud del mondo si avvia alla ingovernabilità politica, mentre =
la
sostenibilità ambientale è già al limite e di per
sé richiederebbe di rivisitare il senso di uno sviluppo che espone
l’umanità a crescenti rischi e problemi.
A=
nche nei
paesi economicamente avanzati crescono precarietà sociale e insicure=
zza
come risultato dell’impoverimento del lavoro dipendente.
Siamo convinti che le nuove interdipendenze e differenze
rischiano di trasformarsi in conflitti esasperati, tra paesi, continenti,
lavoratrici e lavoratori, se non in vera propria acqua di coltura di terror=
ismo
e guerra, se non vengono ricomposte in primo luogo sulla base del
riconoscimento reciproco, principio di laicità democratica.
In secondo luogo se non si svela il fallimento, testimon=
iato
da tutti gli indicatori di povertà e malessere nel mondo, della cult=
ura
politica liberista, veicolata attraverso le scelte concrete di Banca Mondia=
le,
FMI, WTO e le multinazionali, che trova ancoraggio fondamentale nella
soggezione del lavoro e delle forme della sua rappresentanza, attraverso la
negazione della soggettività dell’uno e delle altre.
La strada da percorrere non può essere soltanto
quella, pur importante se correttamente intesa, delle clausole sociali e
ambientali nel commercio internazionale. Occorre che la rappresentanza soci=
ale
contribuisca a progettare e costruire un diverso modello di sviluppo e di
globalizzazione, agendo per le vie che le sono proprie, la contrattazione
collettiva nazionale e transnazionale nelle imprese nazionali e transnazion=
ali,
recuperando attraverso questa via soggettività, protagonismo e ruolo=
in
processi che sembrano negarli.
Dalla capacità di sostenere questa sfida passa la
possibilità di arginare un senso comune pervasivo che, di fronte alle
tante insicurezze determinate dalla globalizzazione senza regole, sceglie la
rassicurante e peraltro illusoria certezza delle identità giocate co=
ntro
altre identità, delle chiusure, dei nuovi nazionalismi e integralismi
sostenuti dai conflitti tra le culture, degli antichi e nuovi protezionismi=
.
3. D’altra parte l’esperienza dei paesi scan=
dinavi
dimostra che equità, giustizia sociale, protezione sociale, rispetto
dell’ambiente possano essere volano di sviluppo e al contempo suoi li=
miti
positivi scientemente praticati; le politiche pubbliche gli strumenti neces=
sari
per realizzarli: quella cultura politica, che è alla base di ci&ogra=
ve;
che si intende per “modello sociale europeo”, oggi segna il pas=
so
anche in Europa sotto i colpi della congiuntura economica.
Al contrario l’Europa può fare molto su tut=
ti i
terreni decisivi per il futuro della Comunità Internazionale, se
sarà in grado di andare avanti nella costruzione della propria
dimensione politica e istituzionale, valorizzando e non cancellando, come p=
ure
sta avvenendo diffusamente a livello comunitario e nei singoli paesi, le ca=
ratteristiche
del proprio modello sociale.
Il giudizio che abbiamo dato dall’inizio sul Tratt=
ato
Costituzionale firmato il 29 ottobre del
Il voto negativo che ha accompagnato significativi
referendum di recepimento del Trattato stesso rivela molti problemi e ne
nasconde di significativi. Rivela il peggioramento delle condizioni di vita=
e
di lavoro in molti paesi europei veicolato da scelte sbagliate di governi e
imprese, scelte addossate a Bruxelles e lontane dalla strategia di Lisbona,
inaccettabili arretramenti come
Perché in un mondo definitivamente interdipendent=
e i
diritti si difendono soltanto se si estendono.
Abbiamo bisogno di un passo avanti per uscire dalla
contraddizione in cui ci troviamo: una Europa il cui spazio di mercato &egr=
ave;
sempre più grande, la moneta sempre più sovrana, e la dimensi=
one
politica arranca, insieme alla cultura politica e alla vocazione europea. Il
futuro del modello sociale europeo è legato alla dimensione politica
dell’Europa: non c’è modello sociale europeo se non
c’è l’Europa, non c’è l’Europa se non
c’è una Costituzione che la definisca politicamente. Abbiamo la
consapevolezza che il sindacato europeo debba giocare un ruolo forte nel
riproporre l’Europa sociale come prospettiva decisiva, la prospettiva
cioè di un soggetto politico, distinto da altri in virtù del
proprio modello sociale e per questo capace di favorire una globalizzazione
equa, sviluppo sostenibile e pace nel mondo. Una Europa in grado, anche per
questo, di contrastare la visione di una logica e di un potere unilaterale =
nel
governo mondiale.
4.
Abbiamo sempre legato il nostro impegno al nesso tra
affermazione della pace, ripudio della guerra, tanto più nel princip=
io
della guerra preventiva - affermata come teoria geopolitica unilaterale
dell’amministrazione repubblicana degli Stati Uniti - e
possibilità di difesa, promozione, estensione dei diritti del lavoro=
e
dell’ambiente, tra pace dunque e possibilità di sviluppo soste=
nibile
in Italia, in Europa, nel mondo.
Per questo abbiamo definito la pace come strategia razio=
nale
di sopravvivenza di un mondo globale interdipendente e su questo abbiamo
costruito gli assi della nostra politica internazionale e fondato giudizi, =
iniziative,
mobilitazioni, attraverso una crescita costante di cultura e
sensibilità, spese nel riaffermare in maniera nettissima il valore
dell’articolo 11 della nostra Costituzione.
Abbiamo avuto e abbiamo chiaro che la dimensione
internazionale è oggi il banco di prova della rappresentanza sociale=
e
politica, e che difesa e promozione di ciò che s’intende per
modello sociale europeo, alternativo al “modello liberista”,
è la condizione necessaria per proporre equità, solidariet&ag=
rave;,
diritti umani e del lavoro come perno dell’organizzazione sociale a
livello globale, e che ciò ha a che fare con la riforma delle
istituzioni internazionali, non solo quelle politiche ma anche e soprattutto
quelle economiche in modo che queste ultime non contraddicano i buoni propo=
siti
delle prime.
E ancora che la cancellazione del lavoro, del suo valore
della gerarchia dei valori sociali, nel Nord ricco e nel Sud povero del mon=
do,
come dimostrano i dati OIL nell’indagine sul reddito da lavoro in ogni
parte del mondo, e quelli ancora più recenti sulle nuove
schiavitù è il punto fondamentale su cui si fonda la
globalizzazione senza regole.
Abbiamo chiaro che il ripudio della violenza e del
terrorismo, nel nome dell’integrità e della dignità di =
ogni
vita umana, è impegno fondamentale del sindacato. Il terrorismo, che=
non
ha mai giustificazione alcuna, riesce peraltro facilmente ad attecchire tra
miseria, povertà, guerra, in aumento e non in riduzione oggi nel mon=
do. Ci
è altrettanto chiaro che la convivenza e il dialogo tra culture &egr=
ave;
la vera risposta all’insicurezza e allo scontro di civiltà. =
u>
L’ultimo terribile attentato terroristico di Londr=
a,
dopo quelli dell’11 settembre e di Madrid, e non soltanto nel cuore di
ciò che si intende per occidente, dà ancora una volta il segno
della gravità e forza di questo fenomeno. Bandire ogni forma di
violenza, affermare un’altra e contrapposta idea dei rapporti umani,
politici e civili è per
Un paese sempre
più in crisi
5. Non tutte le cause ed i problemi che affliggono il
sistema produttivo italiano, i ritardi nelle politiche di riforma, la
situazione dei conti pubblici, la qualità del nostro sistema di welf=
are
e il suo carattere davvero inclusivo sono ovviamente riconducibili alle
politiche del governo di centrodestra e a questa legislatura. Ma, se si gua=
rda
con attenzione alla situazione del paese di quattro anni fa e alla condizio=
ne
odierna e si compie una verifica attenta delle scelte e delle politiche
compiute dal governo, emergono in maniera assolutamente esplicita e
incontrovertibile le grandi responsabilità ed i grandi errori che so=
no
stati compiuti. Fino ad identificare la gravità di questa crisi con =
il
fallimento delle politiche del governo di Silvio Berlusconi.
Ad un paese che nel 2001 mostrava già segnali di
rallentamento della produzione e della crescita e che vedeva diminuite le
proprie quote nel commercio mondiale, non aveva alcun senso prospettare la
possibilità - a breve - di un nuovo miracolo economico e una fase di=
un
turbo – sviluppo, come, nell’ordine, il presidente del Consigli=
o,
il Ministro dell’Economia, il Presidente di Confindustria e il
governatore della Banca d’Italia irresponsabilmente fecero fra il 200=
1 e
il 2002.
Un’economia, che già segnalava l’affa=
nno
degli investimenti produttivi e della bassa crescita della produttivit&agra=
ve;
– a differenza di quello che avveniva in Francia e Germania -, andava=
fin
da allora sostenuta con politiche di incentivazione e una cultura attenta al
profilo della crisi industriale e all’intervento sui fattori della
produzione e la bassa qualità dell’offerta di beni e servizi.<=
span
style=3D'mso-spacerun:yes'>
Il governo, invece, a partire dall’eliminazione
dell’imposta di successione sui grandi patrimoni, finiva per sostenere
una politica ed una cultura di segno opposto, tesa a difendere le posizioni
della rendita ed i vantaggi patrimoniali acquisiti.
Nel Mezzogiorno del paese e in tutte le aree con problem=
i di
sviluppo che, dopo anni di risveglio significativo, cominciavano a mostrare
segni di rallentamento, il governo operava la più irresponsabile sce=
lta
che si poteva compiere: azzerare tutte le politiche e gli strumenti che ave=
vano
funzionato; si preparava a cambiare quattro volte in quattro anni normative=
e
procedure per il sostegno agli investimenti.
L’ingresso della moneta unica, l’euro,
determinava, negli stessi mesi, una visibile speculazione sul fronte del ri=
alzo
dei prezzi, attaccando e indebolendo ulteriormente la capacità di sp=
esa
dei redditi da lavoro e da pensione. Il governo di centrodestra non interve=
niva
come sarebbe stato necessario, ma sceglieva esplicitamente di lasciare corr=
ere
i fenomeni speculativi, contando su un tasso di inflazione più alto =
per
riequilibrare i saldi dei conti pubblici e stimolare per questa via illusor=
ia
lo sviluppo. In realtà in questo modo il governo finiva però
– invece – per concentrare ricchezze e profitti su una parte so=
la
del paese, favorendo il capitale finanziario e la rendita speculativa.
Di fronte ad una condizione del lavoro, che il rallentam=
ento
dell’economia e il quadro della globalizzazione senza regole avrebbe
portato verso una crescente instabilità dell’occupazione e del=
la
precarietà del lavoro, il governo sceglieva di operare con
l’intervento sull’articolo 18 e poi con la legge 30 un’az=
ione
di destabilizzazione del mercato del lavoro con l’obiettivo di rendere
più deboli le tutele e la funzione della contrattazione collettiva. E
con la legge Bossi Fini faceva proprie tutte le paure e le spinte irraziona=
li
nei confronti del fenomeno dell’immigrazione, arrivando a inaccettabi=
li
politiche di “accoglienza” e spesso a forme e atti privi di
qualsiasi rispetto verso il valore della vita umana e della sua dignit&agra=
ve;;
e riproponendo, nei fatti, una concezione di un diritto duale che disconosc=
e ai
migranti fondamentali diritti di cittadinanza. Insieme, con le leggi del
Ministro Moratti, il governo consolidava l’idea di una scuola che sep=
ara
le persone ed i loro percorsi sulla base delle condizioni del nucleo famili=
are
e cancellava le più significative conquiste degli ultimi decenni; te=
mpo
pieno, innalzamento obbligo scolastico, primato della scuola pubblica.
Non a caso queste scelte si sarebbero poi definite nel
tentativo di negare –nei fatti - il riconoscimento del ruolo e della
funzione del sindacato e del ruolo delle rappresentanze sociali. Prima cerc=
ando
di dividere le organizzazioni sindacali, poi tentando di sminuirne forza e
autorevolezza negoziale.
Questo disegno veniva intrecciandosi strettamente con
l’abbandono di una cultura delle regole, con il rifiuto di rispettare=
il
ruolo delle istituzioni indipendenti e della funzione delle autonomie local=
i,
con una politica legislativa in cui i conflitti di interesse e gli interess=
i di
parte finivano per diventarne il segno distintivo.
Insieme, la maggioranza dava vita ad un progetto di cont=
roriforma
costituzionale che invece di portare a conclusione in maniera condivisa il
quadro della infinta transizione istituzionale dell’Italia, interveni=
va
in maniera esplicita sull’alterazione dei delicati meccanismi fra gli
equilibri degli organi costituzionali del paese, e su una scelta di devoluz=
ione
che finiva per ingigantire i problemi, pure presenti nell’ attuazione
della riforma del Titolo V della Costituzione.
Infine, in un quadro europeo ed internazionale segnato
dall’incapacità di costruire un profilo di governance e di rif=
orma
multilaterale delle istituzioni, il governo di centrodestra finiva per isol=
arsi
in Europa, perdere credibilità verso gli osservatori ed i mercati
internazionali; e con la decisione di portare le proprie truppe nel territo=
rio
iracheno, seguito all’ambiguità tenuta di fronte
all’intervento armato, rompeva con una decennale tradizione di equili=
brio
e di attenzione vero il mondo islamico, allontanandosi dalle scelte compiute
– negli stessi mesi – dai governi francese e tedesco, tradizion=
ali
punti di riferimento della comune solidarietà europea.
La cultura diffusa della rottura della solidarietà=
; e
della coesione sociale, l’ampliamento della illegalità e della
prevaricazione – anche con l’allentamento della prevenzione e d=
ei
controlli pubblici - ha indebolito il tessuto sociale, accentuando la
solitudine e l’abbandono dei soggetti più deboli, colpendo tra
tutti il diritto reale al lavoro delle persone con disabilità. Il cl=
ima
generale di difficoltà, incertezza, sfiducia nel futuro condiziona
pesantemente la vita e le scelte personali e collettive, quelle dei consumi=
e
quelle degli investimenti.
Con particolare determinazione, questo governo ha proced=
uto
con politiche e azioni particolarmente penalizzanti per le donne: la precar=
izzazione
del lavoro dei giovani e in modo particolare delle giovani, l’alta
concentrazione di lavoro femminile in settori fortemente esposti alla
concorrenza internazionale e/o caratterizzati da prestazioni dequalificate =
e a
basso reddito, la progressiva riduzione della qualità e della
quantità dello stato sociale, fino al suo progressivo, e programmato,
smantellamento, hanno ricreato un clima di irrigidimento dei ruoli, nuove f=
orme
di ghettizzazione delle donne, attraverso una visione familistica dell̵=
7;organizzazione
sociale, che la storia e le battaglie politiche, sociali, culturali avevano
messo profondamente in discussione.
E’ evidente oggi la grande responsabilità c=
he
il sistema delle imprese ebbe in quel frangente. Disse SI all’interve=
nto
sull’articolo 18, SI agli interventi che rafforzavano rendite e
patrimoni, SI a quei cambiamenti che avrebbero penalizzato il Mezzogiorno, =
SI a
provvedimenti su previdenza, salute, sicurezza e ambiente, SI al disegno di
isolare e di umiliare le posizioni della Cgil. Correttamente, d’altra
parte, occorre dire che di questo non porta la responsabilità solo il
vertice della Confindustria di allora, ma più in generale il mondo
dell’impresa, chiusa nella preoccupazione che tendeva a scaricare sui
diritti e sui costi i problemi che si vedevano arrivare. Finiva così=
per
prevalere l’esistenza, quindi, di una cultura che era portata a scamb=
iare
le cause con gli effetti, senza interrogarsi fino in fondo sulle responsabi=
lità
che le imprese italiane avevano avuto nel gettare al vento le
opportunità successive alla grande svalutazione della lira del 1992.=
La nuova direzione della Confindustria ha rappresentato =
per
le imprese il tentativo di uscire da questo bilancio fallimentare e dal cli=
ma
di scontro sociale che aveva alimentato, contro
Tale tentativo che ha consentito un dialogo reciprocamen=
te
fondato sul rispetto, il raggiungimento di accordi importanti con Cgil, Cis=
l e
Uil in materia di politiche di sviluppo, di formazione e ricerca, sul
Mezzogiorno, ed una grande capacità di accordi territoriali che hanno
riguardato tutto il paese, ha dovuto tuttavia fare i conti con le difficolt=
à
di un mondo imprenditoriale, colpito dalla profondità e dalla durata
della crisi, non sostenuto da politiche pubbliche realmente efficaci. Tutto
questo da un lato ha paralizzato la possibilità di fare avanzare i
contenuti degli accordi sottoscritti, anche di fronte ad una scelta del gov=
erno
che non li ha saputi né voluti recepire, e dall’altro ha
determinato un irrigidimento dei comportamenti del sistema delle imprese ai
tavoli dei confronti contrattuali aperti, frutto insieme di una scelta che =
sembra
ostinarsi a muovere su una linea sbagliata e arretrata, con il rischio di
ripetere gli errori del passato.
D’altra parte, le ultime vicende del capitalismo
italiano, i tentativi di scalata al sistema bancario, per il controllo dei
gruppi editoriali, sono espressione di un profondo rivolgimento degli asset=
ti e
degli equilibri di potere.
Sembrano premiati da queste scelte settori e aziende che=
si
sono affermati a partire dall’uso della rendita fondiaria e immobilia=
re,
a scapito dei settori industriali e manifatturieri esposti alla concorrenza
internazionale. Questa è la conferma di una doppia patologia: il nos=
tro
capitale di rischio, quando può, tende ad orientarsi verso monopoli
protetti, con profitti garantiti. In altri casi usa la leva dell’inde=
bitamento
per favorire scalate e posizioni di comando, finendo per accapigliarsi per =
aree
di business economico sempre più asfittiche e sempre più
ristrette, ma contemporaneamente ad alto tasso di redditività.
In questo contesto, una politica di investimenti tesa
all’innovazione dei prodotti e dei processi, alla ricerca e sviluppo,
alla scelta dei nuovi mercati, alla crescita dimensionale delle imprese
incontra la sua prima resistenza proprio in una parte importante della cult=
ura
dell’imprenditoria e della finanza.
Non vanno comunque sottaciuti gli sforzi e le politiche =
di
segno contrario che in un’altra parte dell’impresa italiana cer=
cano
di affermarsi. A questa parte del mondo imprenditoriale, che chiede rispetto
delle regole e della trasparenza del mercato, che pone per la prima volta in
maniera inedita e interessante il passaggio da una cultura legata alla rend=
ita
ad una legata agli investimenti e alle attività produttive,
La sfida che
Valorizzazione della risorsa lavoro, investimenti su e n=
ei
saperi, sostegno all’offerta anche attraverso politiche pubbliche mir=
ate
e selettive, sono gli assi di una strategia fortemente alternativa alla sce=
lta
di una competitività fondata sulla riduzione dei costi, su
un’offerta marginale e dequalificata, sulla riduzione dei diritti e la
precarizzazione del lavoro.
Il ruolo della C=
gil
7. Di fronte al precipitare della crisi ed ai tentativi
messi in campo per ridurre il peso ed il ruolo dei diritti dei lavoratori, =
per
minare la coesione sociale e operare vere e proprie controriforme, il XV
congresso riconosce la straordinaria capacità che hanno avuto
Prima di chiunque altro,
In questi anni
Il 23 marzo ha segnato per il paese la più alta e straordinar=
ia
manifestazione della soggettività politica del lavoro e della sua
centralità sociale. Per
Lo stesso impegno,
In queste scelte ed in queste iniziative, le donne e gli
uomini della Cgil hanno incontrato tanti altre donne e tanti altri uomini.
Quelli presenti nei movimenti, nei social forum – tra cui quello euro=
peo
di Firenze - i giovani, tra cui tanti cattolici, impegnati nel volontariato=
e
nell’azione sociale e hanno lavorato per la costruzione di uno spazio
sociale aperto, senza barriere ideologiche, muri religiosi o ostacoli al
dialogo interculturale, i quali spesso sono stati frapposti da altri. Lo
abbiamo fatto convinti della rilevanza politica della partecipazione civile,
per realizzare quella qualità della democrazia cui aspiriamo; con la
stessa convinzione che sta alla base della scelta di promuovere e sostenere
l’Auser.
Dopo le dure divisioni precedenti e seguenti al patto per
l’Italia e all’accordo separato nei meccanici,
Si deve alla Cgil anche la ripresa dell’iniziativa=
e
dell’attenzione attorno ai temi della legalità e della sicurez=
za.
La decisione unitaria di celebrare il 1 maggio del 2005 nel quartiere di
Scampia ha voluto rappresentare il simbolo di una scelta che vede impegnate
tutte le nostre strutture, in tutto il paese, a sostegno delle denunce di o=
gni
illegalità, contro ogni abbassamento nella tensione della lotta vers=
o la
criminalità organizzata e il brodo di cultura di cui si nutre, verso
ogni compiacenza e collusione.
Il XV congresso della Cgil esprime tutto il proprio
apprezzamento per il coraggio che molti delegati ed iscritti della Cgil
dimostrano quotidianamente nel denunciare fenomeni illegali, nel contrastar=
li,
assumendosi spesso rischi in prima persona.
Infine, sia pure fra le difficoltà per il
rallentamento dell’economia, le scelte del governo e le posizioni del
sistema delle imprese,
Una proposta e un
progetto alto
8. Proprio la coerenza e l’autorevolezza del propr=
io
ruolo e la capacità avuta nell’individuare, prima di altri, il
progressivo decadimento del paese, mettono oggi
Per questo
L’Italia è davvero giunta ad un bivio: se n=
on
si cambiano le scelte, i valori e le priorità, il paese finirà
davvero per allontanarsi dall’Europa e precipitare in una crisi senza
soluzione.
Il XV congresso della Cgil indica il bisogno di un proge=
tto
alto, fatto di valori, scelte, contenuti, obiettivi e strumenti, determinaz=
ioni
e passione civile per la ricostruzione e la rinascita dell’Italia.
Questo vuol dire, innanzitutto, determinare le condizioni
per riscrivere il patto della cittadinanza, le basi sociali dei diritti e d=
ei
doveri, il profilo di una nuova etica e responsabilità pubblica, una
pratica di democrazia partecipata, il ripristino di una cultura delle regol=
e e
del rispetto delle prerogative istituzionali di ognuno.
Un progetto di cambiamento come questo richiede – =
per
l’appunto – non operazioni di cosmesi o di aggiustamento delle
scelte compiute dal governo di centrodestra, ma il bisogno di un cambiamento
profondo, fondato su alcuni assi fondamentali:
· =
&nb=
sp;
la
centralità del lavoro e la sua qualità;
· =
&nb=
sp;
l’obiettivo
di una via alta allo sviluppo, fondata sulla conoscenza, l’innovazion=
e,
la formazione, la sostenibilità, spostando gli investimenti dalla
rendita alla innovazione e ricerca di prodotto;
· =
&nb=
sp;
una
programmazione democratica e partecipata dello sviluppo, nel quadro di un
rafforzamento del welfare, inteso esso stesso come fattore di sviluppo e di
redisrtibuzione, e di una politica fiscale diversamente orientata ;
· =
&nb=
sp;
il
rilancio della centralità del Mezzogiorno, da cui ripartire per un n=
uovo
sviluppo produttivo, occupazionale e sociale;
· =
&nb=
sp;
un
ruolo di nuovo forte dei soggetti della rappresentanza sociale, e tra questi
del sindacato e della Cgil, che sapranno essere, nella propria autonomia,
all’altezza dei problemi posti da queste politiche di trasformazione.=
9. Il primo obiettivo di una politica di cambiamento deve
essere la lotta alla precarietà del lavoro che, per le sue
dimensioni, le sue conseguenze sociali, è oggi la piaga più
insostenibile della condizione di molte lavoratrici e molti lavoratori e
finisce per permeare di sé la dimensione sociale della
precarietà, a partire dalla condizione dei giovani, e di una intera
generazione.
Le caratteristiche stesse della crisi e delle trasformaz=
ioni
espongono la condizione delle donne oggi e per il futuro a due rischi che v=
anno
invece prevenuti: una crescente collocazione verso le fasce di lavoro domes=
tico
e di cura, un’accentuata debolezza nei settori a più estesa
concorrenza internazionale.
La stessa ampiezza progressiva della crisi industriale e
produttiva, i fenomeni di delocalizzazione, i trasferimenti di produzione n=
ei
paesi di più basso costo e minori diritti, rende necessaria una poli=
tica
di sistema che ne anticipi e ne corregga le tendenze. Occorre rivendicare la
piena applicazione dell’articolo 41 della Costituzione che lega la
responsabilità d’impresa a quella sociale, intervenire sui pro=
blemi
aperti a livello internazionale, definendo un compiuto quadro di riforma de=
gli
ammortizzatori sociali, di estensione dei diritti del lavoro, di scelte fis=
cali
in grado di premiare le corrette scelte aziendali e di colpire quelle
sbagliate.
Fa parte integrante di questa battaglia contro la
precarietà l’intervento per prevenire infortuni e incidenti nel
lavoro, che espongono oggi la condizione dei lavoratori nel nostro paese ad=
una
insopportabile esposizione ai fattori di rischio e di nocività. E l&=
#8217;impegno
per ridefinire totalmente nuove e alternative proposte per le politiche di
accoglienza e di inserimento per i lavoratori migranti.
10. La crisi industriale presente, il bisogno di cambiare
qualità delle specializzazioni produttive, l’esigenza di favor=
ire
politiche di sostegno alla ricerca, all’innovazione, alla crescita
dimensionale delle imprese, raccordandosi con le scelte di politica industr=
iale
e di sviluppo dei più grandi paesi dell’Unione Europea, pone
l’esigenza di un vero e proprio progetto per la ricostruzione delle b=
asi
produttive, delle infrastrutture materiali e immateriali e dei servizi del
paese.
L’obiettivo di rafforzare una logica di sistema del
paese, di fronte alle debolezze del sistema industriale, riposa su un ruolo
dell’attore pubblico e dell’efficienza di mercato che sappia
orientarsi verso la qualità dell’offerta e con contenuti
tecnologici sempre più alti, che solo una programmazione democratica
della crescita e dello sviluppo sono in condizione oggi di determinare. Sen=
za
questa politica è anche illusorio pensare di ridurre la distanza che
separa le aree a reddito più elevato da quelle con reddito più
basso. E le stesse potenzialità di sviluppo del Mezzogiorno verrebbe=
ro
estremamente compromesse.
Questo obiettivo primario va sostenuto da un’espli=
cita
volontà politica, da un quadro di strumenti adeguati e da un metodo
fortemente partecipato.
Un progetto dal profilo così alto richiede
innanzitutto una disponibilità di risorse finanziarie da indirizzare
verso investimenti e fattori di crescita, a partire da quelli immateriali; =
e un
intervento per ridurre i costi delle diseconomie.
Per questo il XV congresso della Cgil indica al paese la
necessità di un nuovo patto fiscale, teso a consolidare il patto =
di
cittadinanza e quello di uguaglianza fra cittadino e cittadino e fra
cittadino e istituzioni, fondato su scelte che esplicitamente assumano la
crescita dei redditi da lavoro e da pensione, le politiche di sostegno agli
investimenti e ai trasferimenti selettivi verso le imprese, come propri
riferimenti essenziali. Sempre più attuale, in questo quadro, si
dimostra la proposta della Cgil di un intervento di fiscalizzazione
contributiva sui salari più bassi, di restituzione del drenaggio
fiscale, di riequilibrio della tassazione fra rendite, patrimoni e reddi=
ti
da lavoro. Il paese ha bisogno di una nuova politica redistributiva fra
tutti i redditi, che costituisca indubbio sostegno alle politiche contrattu=
ali.
La natura di questo patto postula insieme due condizioni.
Che non vi siano logiche dei due tempi, tra risanamento e redistribuzione, e
che l’equità da ritrovare sia frutto di una scelta che corregge
una politica che ha colpito i redditi da lavoro e da pensione più di
ogni altra forma di tassazione.
Troppo in questi anni su questo terreno non ha funzionat=
o.
Finanza creativa, condoni a ripetizione, cartolarizzazioni, dismissioni del
patrimonio pubblico, assenza di una politica di contenimento di prezzi e
tariffe, abbandono di una corretta attenzione alle dinamiche dei redditi,
attacco alla progressività del prelievo fiscale, scarsissima attenzi=
one
verso la lotta alle elusioni e alle evasioni fiscali, al lavoro nero e a qu=
ello
sommerso – altro fallimento del governo -, vantaggi per rendite e
patrimoni: questo è l’insieme che ha favorito
l’arricchimento di una parte del paese a scapito della maggioranza dei
cittadini ed ha penalizzato – innanzitutto – il lavoro e lo
sviluppo.
Per questo, la lotta contro il lavoro nero è
obiettivo fondamentale. Troppe donne e uomini, troppi immigrati, troppe imp=
rese
si situano fuori dalla legalità, dai sistemi di protezione sociali.
L’intervento sull’economia irregolare è di straordinaria
importanza, non solo per evidenti ragioni etiche e di solidarietà, ma
anche per impedire forme di concorrenza sleale, per restituire alla
collettività ingenti quantità di ricchezza attualmente evasa,=
per
rompere quelle stesse convenienze fra soggetti deboli che minano la
solidarietà generale (indicativa la condizione delle assistenti
famigliari). E’ il presupposto per ogni possibile patto fiscale tra le
ragioni del lavoro, dell’impresa e della cittadinanza.
Il livello di questa ingiustizia sociale è insieme causa ed effetto delle politiche di divisione e contrapposizione sociale. <= o:p>
Oggi direttamente o indirettamente, l’intervento d=
el
pubblico è richiesto da tutte le parti. Da chi chiede dazi doganali,=
da
chi chiede riduzione della pressione fiscale, da chi punta all’appogg=
io
delle istituzioni pubbliche per il sostegno alle proprie scalate e al
consolidamento delle proprie posizioni, dalle scelte che hanno portato a
concentrare in forme improprie partecipazioni pubbliche e disponibilit&agra=
ve;
finanziarie in società e contenitori dalla dubbia trasparenza, effic=
acia
e funzionalità.
Il problema quindi che si pone non è quello di di=
re
sì o no all’intervento pubblico.
Ma domandarsi quale intervento pubblico si renda oggi
necessario, per difendere innanzitutto produzioni, presenze strategiche del
paese, beni di rilevanza sociale, e come la responsabilità pubblica
possa consentire ai mercati di essere realmente più efficienti,
trasparenti e regolati, nell’interesse dei cittadini, dei consumatori=
e
dei lavoratori. Il passaggio dai monopoli della gestione pubblica a quella
privata ha creato vantaggi solo per pochissimi, senza premiare investimenti,
qualità e interessi dei cittadini.
La stessa responsabilità pubblica appare decisiva=
nel
determinare un indispensabile salto in avanti sui terreni
dell’innovazione di prodotto e della ricerca, nell’offerta
formativa, nelle politiche infrastrutturali materiali e immateriali, nella
gestione del territorio, nel promuovere politiche di attrazione degli
investimenti e politiche di vantaggio per le aree a ritardato sviluppo, ver=
so
le quali non può essere interrotta la politica di bilancio e di
investimenti dei fondi europei.
Le stesse scelte di ricerca e di innovazione nel campo d=
ello
sviluppo sostenibile e delle politiche ambientali, dal ciclo dei rifiuti ai
vantaggi che si possono trarre nel campo delle fonti energetiche alternativ=
e,
dall’applicazione del protocollo di Kyoto, richiedono un deciso
orientamento della domanda pubblica.
In questo quadro, l’innovazione e la riforma del
welfare, la sua crescente responsabilità nell’inclusione socia=
le,
come fattore di redistribuzione contro povertà e disuguaglianze, rap=
presentano
per
Insieme, il welfare nelle sue funzioni fondamentali di
sicurezza, prevenzione, salute, assistenza, formazione, previdenza è
leva di crescita di investimenti, di occupazione e di occasioni di lavoro.
Può stimolare con una domanda selezionata innovazione e ricerca; gen=
era
servizi sempre più estesi e personalizzati; crea condizioni per attr=
arre
investimenti, deve accompagnare processi di riconversione e tempi e aspetta=
tive
che vengono meno nella vita delle persone. L’economia dei beni sociali
apre prospettive destinate a crescere.
Per
E che si affrontino, finalmente, le due condizioni socia=
li
che sono oggi quelle più esposte: la condizione degli anziani non
autosufficienti, i problemi legati alla prima infanzia. Anche se è
evidente infatti che il primo non riassume tutto il quadro dei problemi del=
la
condizione degli anziani, in una società che allunga le attese di vi=
ta e
fa diventare strutturale il fenomeno dell’invecchiamento delle person=
e e
perciò richiede nuove politiche di relazione con la formazione e di
invecchiamento attivo; e il secondo non risolve tutte le politiche del
riequilibrio demografico: essi sono due temi che comunque assumono per
Una Cgil autonom=
a e
democratica
L’incapacità dell’azione di questo
governo, che si conferma anche in questi mesi, i ritardi con cui
l’opposizione si misura con un programma credibile di governo del
cambiamento, l’incertezza e le divisioni presenti nel mondo
imprenditoriale, la forza inarrestabile degli effetti di una globalizzazione
senza regole, le difficoltà che incontra l’Unione Europea a
progredire verso un profilo più compiutamente democratico delle sue
istituzioni e verso la costruzione di una autonoma politica economica,
industriale e infrastrutturale europea, tutto questo mette sulle spalle del
movimento sindacale e della Cgil una responsabilità francamente ined=
ita
e decisiva.
Battere una cultura della rassegnazione, della
corporativizzazione e della disgregazione sociale, anche sul terreno della
lotta contro le illegalità, indicare una convincente e plausibile
prospettiva positiva sono obiettivi che solo con un’azione decisa del
sindacato, e della Cgil, possono essere conseguiti.
Il XV congresso è consapevole del ruolo
insostituibile che
Ma quello che per noi è evidente è che solo
una Cgil, capace di rinnovarsi, fortemente radicata nel lavoro e nelle sue
trasformazioni, in grado di presidiare il territorio e orientarne lo svilup=
po,
capace di stare in campo con un profilo autonomo e un alto disegno
programmatico, può davvero proporsi l’obiettivo ambizioso di
misurarsi per intero con la grande sfida culturale, istituzionale, politica=
e
sociale che è aperta nel paese: costruire nei fatti, declinandola per
intero, la centralità del valore del lavoro e dei diritti.
Tutto questo richiede una Cgil forte dei suoi pluralismi
interni e forte nel rapporto democratico con tutti i lavoratori. Per questo=
, la
democrazia della Cgil vive dei suoi molteplici pluralismi – a partire=
dal
valore della differenza, dai pluralismi programmatici, da quelli di struttu=
ra a
quelli legati alla rappresentanza di interessi – e in un sistema di
regole che ne garantisce la piena legittimità e agibilità. Il=
XV
congresso si propone perciò di costituire un reale, esteso e democra=
tico
processo di dibattito e partecipazione. E’ diritto di tutte le iscrit=
te e
gli iscritti determinare con il voto sui documenti congressuali le scelte
strategiche che definiranno il profilo e l’azione della Cgil nei pros=
simi
quattro anni, nella valorizzazione di tutte le esperienze che
l’organizzazione esprime.
Per
Il principio della libertà di associazione, garan=
tito
dalla Costituzione e da ogni principio di democrazia, e il diritto dei
lavoratori di decidere su quello che li riguarda non possono essere usati u=
no
contro l’altro. Se lo si fa, si impoverisce il senso della
confederalità ed il valore generale della funzione del sindacato,
oltreché separare la giusta domanda di più unità e
più democrazia.
12. Su questo terreno così come su altri contenut=
i,
Il XV congresso riconferma che il pluralismo, interno al=
le
diverse culture e sensibilità del sindacalismo confederale, rapprese=
nta
un valore da cui partire per ricercare sintesi e approdi unitari e ridurre
l’area dei dissensi esistenti.
Anche nei momenti più difficili di questi anni, la
ricerca di una convergenza unitaria non è mai venuta meno per
I congressi di Cisl e Uil, il congresso della Cgil, hanno
ognuno di fronte a sé questo tema. Per quello che ci riguarda, riten=
iamo
in questa prospettiva e con questa impostazione di proporre a Cisl e Uil di
lavorare assieme alla carta programmatica dei valori del sindacato confeder=
ale.
Una carta non in grado, ovviamente, di risolvere problemi e temi dei contra=
sti,
ma capace di riaffermare la qualità dei valori comuni, che valga per
l’oggi e per il domani, e rappresenti il segno distintivo, oltre le
differenze e al di là dei pluralismi, del ruolo e della funzione del
sindacalismo confederale.
Questa scelta, se condivisa, darebbe più forza e
rappresenterebbe anche una proiezione più efficace al lavoro che att=
ende
il sindacato italiano verso
13. Nell’anno di svolgimento del XV congresso della
Cgil cadrà il centesimo anniversario della nascita della
Confederazione generale del lavoro.
Un processo che a partire dal formarsi delle prime leghe,
dai primi sindacati di mestiere, fino alla nascita delle federazioni nazion=
ali
di categoria e delle Camere del Lavoro; dall’indizione del primo scio=
pero
generale nel 1904, fino alla capacità di opporsi alla violenza del f=
ascismo
e alla cancellazione della democrazia e della libertà per tutti, ha =
poi
dato vita al grande contributo dei lavoratori alla Resistenza, agli scioperi
del 1943-1945, fino a segnare di sé contenuti e valori della Carta
Costituzionale. Una storia che in questo dopoguerra ha continuato ad essere
decisiva per crescita civile e sociale del paese, innanzitutto per la difesa
della democrazia e della libertà e per battere ogni forma di terrori=
smo.
Per questo, il centenario si rivolge innanzitutto ai gio=
vani
e alle nuove generazioni, a quanti si interrogano su quale modello di
società costruire, ai tanti fili invisibili che legano le memorie e =
le
conquiste che passano da generazioni ad altre generazioni.
Questo è il cuore della proposta politica del XV
congresso della Cgil: il progetto di un nuovo avvio per il paese ha senso e
vive solo se rivolto esplicitamente alle generazioni che rappresentano il
presente, ma soprattutto il futuro, del mondo del lavoro e del paese. Alle
ansie, alle incertezze, alle preoccupazioni esistenti