MIME-Version: 1.0 Content-Type: multipart/related; boundary="----=_NextPart_01C5B882.C3FC5380" Questo documento è una pagina Web in file unico, nota anche come archivio Web. La visualizzazione di questo messaggio indica che il browser o l'editor in uso non supporta gli archivi Web. Scaricare un browser che supporti gli archivi Web, come Microsoft Internet Explorer. ------=_NextPart_01C5B882.C3FC5380 Content-Location: file:///C:/D0AA92EF/Doc.definitivointegrato.htm Content-Transfer-Encoding: quoted-printable Content-Type: text/html; charset="us-ascii"
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&nb=
sp; =
Documento definitivo Congres=
so
Cgil (18 luglio)
TESI 1
1.2 Ciò non potrà che avvenire a più livelli e percorrendo più strade: la definizione della dimensione sovranazionale dei contr= atti e della rappresentanza; la negoziazione/confronto con le imprese, con i governi, con le istituzioni multilaterali; la cooperazione sindacale allo sviluppo; la definizione, nei processi d’integrazione regionale (Mercosul, Europa), di una dimensio= ne normativa a tutela dei diritti sociali indisponibili e a sostegno della contrattazione collettiva.
1.3 Per questa ragione il= metro di misura utilizzato dalla Cgil per il giudizio sul Trattato costituzionale europeo è stato la presenza in esso della Carta di Nizza, della definizione cioè della cittadinanza europea come unione indivisibile= di diritti sociali, civili e politici: premessa fondamentale per far sì= che valore del lavoro, diritti sociali, contrattazione collettiva siano posti a fondamento del patto costituzionale europeo.
1.4 =
Ripudio
della guerra, della violenza e del terrorismo e promozione ed estensione de=
i diritti
del lavoro e dell’ambiente sono indissolubilmente legati. Infatti per=
noi
la pace è l’unica strategia razionale di sopravvivenza in un m=
ondo
globale e interdipendente segnato da eventi traumatici che, nominati tutti
insieme, compongono il quadro degli interrogativi aperti per la comunit&agr=
ave;
internazionale e la sensazione di rischio per le persone. Dai più
eclatanti, il terrorismo, New York, Madrid, Londra, Casablanca, Istanbul, la
guerra in Iraq, da cui vanno ritirate le truppe, l’Afghanistan, il co=
nflitto
israelo-palestinese, le tensioni interetniche nei Balcani,
1.5 Moltissimi di quegli = eventi hanno come epicentro il Mediterraneo, che può essere al contrario ma= re di pace e prosperità e ponte tra culture, oggi banco di prova della capacità dell’Europa di progettare il proprio futuro nella globalizzazione. Ma solo se l’Europa stessa saprà realizzare g= li obiettivi di cooperazione e integrazione definiti 10 anni fa a Barcellona, = poi smarriti e confinati alla sola creazione di un’area di libero scambio= , con gli effetti sociali testimoniati dagli indicatori delle agenzie Onu in quasi tutti i paesi della riva Sud.
2.2 L’elemento più negativo della politica estera degli Stati Unit= i, ispirata dai neo-conservatori, sta appunto nella riproposizione della propr= ia sovranità come luogo assoluto e indipendente di tutte le scelte politiche che investono altri soggetti; scelte che, in virtù della f= orza militare ed economica di quel paese, diventano il nuovo criterio ordinatore= con cui il resto della comunità internazionale deve misurarsi, anche qua= ndo hanno il volto della violazione dei diritti umani, della riabilitazione dell’uso della tortura.
La condizione di premessa oggi per una nuova democrazia mondiale sta nella definizione della sua necessità come scelta tra quelle possibili e in campo, alternativa dunque all’unilateralismo americano, ma che non può fare a meno anche degli Stati Uniti.
Deci= sivo in questo senso è il successo del processo d’integrazione dell’Europa, sulla base del suo modello sociale, così come di quello del Mercosul.
2.3 = Proposte importanti di riforma dell’Onu sono già state avanzate da part= e di molti paesi (molti di quelli che hanno determinato il fallimento dei negozi= ati Omc di Cancun, il Brasile tra tutti): l’elezione di un’Assemblea parlamentare da affiancare all’Onu, l’allargamento del Consiglio di sicurezza, il superamento del potere di ve= to che lo caratterizza, un rapporto nuovo con la società civile e gli stessi movimenti globali.
2.4 La nostra opinione è che quella riforma sarebbe incompi= uta e inefficace rispetto all’obiettivo di una possibile “democrazia globale” se non si affiancasse al Consiglio di Sicurezza, e con analo= ghi poteri, il Consiglio di sicurezza economico, sociale e dell’ambiente.= Il punto fondamentale infatti in generale è costruire consenso a (e poi tradurre in pratica) una nuova gerarchia tra le istituzioni politiche (l’Onu e le sue agenzie) e le istituzioni finanziarie, anche ess= e da riformare. (Fmi, Banca Mondiale e successivamente Omc).
2.5 L’asimmetria tr= a il livello politico e quello finanziario ha infatti determinato nel tempo uno scarto sempre più evidente tra impegni importanti (come quelli per il contrasto al lavoro minoril= e) e le politiche concrete e contrarie richieste ai paesi in via di sviluppo per= la concessione di prestiti (privatizzazione di salute e istruzione, acqua e risorse naturali, insieme all’imposizione di modelli produttivi come = le monocolture e l’uso di Ogm).
2.6 Quell’asimmetri= a ha dunque consentito che la globalizzazione economica e finanziaria avvenisse, direttamente attraverso le ricette delle istituzioni finanziarie e indirettamente attraverso le multinazionali, senza nessun riferimento-colle= gamento alla difesa e alla promozione di beni comuni e collettivi, secondo una logi= ca esclusiva di mercato senza limiti.
3. Diritti del lavoro, clausole sociali e ambientali.
3.1 Abbiamo consapevolezz= a del fatto che la richiesta di estendere i diritti sociali, del lavoro e dell’ambiente possa essere percepita nei paesi in via di sviluppo come misura agita più per proteggere le condizioni di vita e di lavoro dei paesi ricchi che come scelta generale di profilo dello sviluppo sostenibile= .
3.2 Avere tale consapevol= ezza non ci deve disimpegnare, anzi al contrario, ci obbliga ad assumere responsabilità dirette rispetto a quell’obiettivo, attraverso la contrattazione nazionale, sovranaziona= le e nelle multinazionali, che è il nuovo grande banco di prova del sindacato.
3.3 E soprattutto occorre=
mettere
insieme politiche contrattuali e politiche efficaci per lo sviluppo di quei
paesi, in modo che la realtà concreta non neghi le affermazioni
teoriche. Naturalmente cominciando dalla totale cancellazione del debito e
dall’attivazione di risorse per il loro sostegno (Tobin Tax, 0,7% Pil=
),
dirottando verso questa direzione gli enormi stanziamenti destinati alle spese militari. L’Italia, che
è agli ultimi posti per la percentuale di Pil finalizzato alla coope=
razione
internazionale, al contrario è ai primi posti per le spese militari.=
3.4 Così come rimaniamo convinti della necessità di rivendicare l’applicazione delle clausole sociali e ambientali Oil ne= lle relazioni commerciali, che devono essere attuate attraverso strumenti di orientamento e di sostegno del comportamento delle imprese, di cooperazione= con i paesi in via di sviluppo, in modo che i fondi per la cooperazione allo sviluppo siano anche indirizzati alla promozione di diritti sociali ed economici. A questo fine è naturalmente decisivo un ruolo più forte, di promozione e controllo, dell’Organizzazione internazionale = del lavoro (Oil).
3.5 D’altra parte i negoziati Omc non possono avvenire “senza esclusione”: i servizi di interesse pubblici e i beni co= muni fondamentali (acqua, salute, educazione) devono essere preservati dalla disciplina Omc. Così come all’agricoltura deve essere riconosc= iuta la funzione strategica e prioritaria di garantire in primo luogo la sicurez= za e la sovranità alimentare, affrontando per questa via la necessaria profonda riforma dei sussidi e delle politiche agricole di sostegno.
3.6 La nuova competizione internazionale dei paesi emergenti non si batte con nuovi dazi e vecchi protezionismi. La fine dell’accordo Multifibre ha sicuramente svelato= la necessità del cambiamento del modello di specializzazione italiano ed evidenziato le debolezze del nostro sistema industriale, debolezze che non possono però essere scaricate sulle condizioni di vita e di lavoro d= elle persone oggi occupate in quei settori. Ciò presuppone che vengano predisposte adeguate risorse per gli ammortizzatori sociali necessari negli stessi settori, misure di politica industriale orientate da efficaci politi= che pubbliche, scelte non più rimandabili nel settore tessile (etichetta= tura d’origine, tracciabilità dei prodotti, tempi più lenti = di applicazione della fine delle “clausole di salvaguardia”, misure contro la contraffazione).
4.2 Quel modello lo s’intende distinto dal mo=
dello
anglosassone, fondato su un presunto circuito virtuoso: meno tasse, meno St=
ato,
meno diritti, più crescita. Ora va detto che il modello sociale euro=
peo,
per esistere non semplicemente come descrizione storicamente determinata
dell’evoluzione dello “Stato sociale” nei singoli paesi
europei, ma come modello di sviluppo sostenibile dell’oggi, distinto =
da
quello anglosassone, e per questo alternativa concretamente possibile per lo
sviluppo globale, quel modello ha bisogno che esista l’Europa politic=
a,
che siano rilanciate le istituzioni europee e rafforzata
5. Il Trattato
costituzionale europeo.
5.1 Abbiamo dato a suo tempo del Trattato costituzionale una chiav= e di lettura positiva “a occhi aperti”, avendone presenti limiti, contraddizioni e deficit democratico e proponendo di recuperare quelle che a noi parevano e paiono le negatività= più vistose (assenza del ripudio della guerra, della cittadin= anza di residenza per i migranti, incoerenza totale della 3a parte con la 1a e la 2a) attraverso la procedura, presente nel Trattato, della raccolta di un milione di firme. Si trattava di una proposta pensata per cambiare gli aspe= tti per noi più contraddittori del Trattato, per recuperare il deficit democratico e nel contempo per rendere evidente come il Trattato stesso fos= se la tappa di un percorso costituente aperto e in progress.
5.2 Quella proposta mantiene il proprio significato nel definire contenuti, alleanze e percorsi democratici per l’Europa sociale a cui= non intendiamo rinunciare. In Italia è già avviata la raccolta di firme per la definizione della cittadinanza di residenza. Siamo infatti ben consapevoli che oggi esistono due rischi concreti che si alimentano reciprocamente: lo scarto sempre più grande tra la realtà eur= opea e la retorica europea produce disaffezione e sfiducia, come dimostra l’esito del referendum sul Trattato costituzionale in Francia e in Olanda; quella sfiducia viene utilizzata per allontanare sempre di pi&ugrav= e; la prospettiva sociale dell’Europa e avvicinare sempre di più quella dell’Europa come grande area di libero scambio, di merci e non= di persone, come dimostra l’esito della discussione sul bilancio europeo= .
5.3 L’esito del ref= erendum peraltro consegna anche al sindacato una domanda di rappresentanza che esso deve saper raccogliere assumendosi il difficile compito di essere protagoni= sta nel rilancio dell’Europa sociale e dunque dell’Europa politica, dicendo a quale Europa sociale pensiamo e quale Europa politica vogliamo.= p>
TESI 2
IL SINDACATO EUROPEO E = MONDIALE
1. Globalizzazione e rappresentanza.
1.1 Le recenti bocciatu= re del Trattato costituzionale svelano e non determinano la crisi dell’ispirazione europea. Si è detto, ed è sicuramente vero, dello scollamento che quel vo= to ha registrato tra élite politica e popolo. Va aggiunto che quella élite ha, da un lato, propugnato il sì al Trattato, dall’altro ha veicolato il contrario, additando l’Europa matrigna come responsabile delle politiche sociali ed economiche negative e liberiste che lei stessa produce= va per contrastare la congiuntura economica sfavorevole che ha attraversato e = attraversa tutta l’area euro. Si è cioè indebolita nel tempo una cultura politica che scommetteva sull’Europa come progetto di sviluppo economico e sociale alternativo e distinto. Quella crisi si è manifestata prima di oggi ed è sicuramente stata rivelata dalla guer= ra in Iraq. Appare con tutta evidenza la necessità di ridefinire il pro= filo di una proposta di tutte le forze progressiste, politiche e sociali, e prima ancora quello di una cultura politica alternativa alla filosofia che sta di= etro a ciò che s’intende per modello anglosassone di sviluppo, ma altrettanto globale.
1.2 Per farlo non solo è necessario che la rappresentanza politica investa in quella direzione, emancipandosi dalla logica inefficace e pericolosa dei compartimenti stagni – le politiche nazionali da un lato, quelle europee e internazionali dall’altro –, ma è altrettanto urgente e necessario che = la rappresentanza sociale scelga la dimensione sovranazionale come banco di pr= ova della sua efficacia, qui e ora.
DIFENDERE
1.
1.1 Gli stessi tentativi
revisionistici sulla Resistenza e sulla guerra di Liberazione – rispe=
tto
ai quali, allo stesso modo,
1.2
1.3 La difesa della Costi=
tuzione
deriva dalla sua straordinaria attualità e lungimiranza, ma anche dal
carattere altamente rappresentativo della sua originale scrittura che
testimonia, appunto, di quanto sia importante che
1.5 Anche i problemi lega= ti alle modalità dell’utilizzo dello strumento referendario in materie= non costituzionali richiederanno soluzioni largamente condivise. Il tema della difesa dello strumento referendario – alla luce delle ripetute occasi= oni nelle quali è stato vanificato dal mancato raggiungimento del quorum – è assolutamente di prima grandezza. E questo non solo in qua= nto rappresenta di per sé sempre uno strumento di partecipazione diretta= delle cittadine e dei cittadini, ma perché diventa ancor più essenz= iale e insostituibile in un assetto politico-istituzionale di tipo bipolare. Occorrerà, pertanto, ridefinire un nuovo equilibrio fra il numero di firme necessario per attivarlo e la percentuale di quorum richiesta.
2. Il processo politico-istituzionale, aperto dal bipolarismo, =
deve
completarsi portando a compimento la lunga transizione politico-istituziona=
le
avviatasi con la cosiddetta fine della prima repubblica. Ciò deve
avvenire nel pieno rispetto dei princìpi e dei valori sanciti dalla
nostra Costituzione. E’ in questo quadro e nella consapevolezza di vi=
vere
in una società sempre più complessa e in un’economia
globalizzata – nelle quali i temi della democrazia e della partecipaz=
ione
rischiano di perdere centralità – che vanno collocati ed esalt=
ati
ruoli e funzioni della rappresentanza politica e sociale e le garanzie delle
rispettive autonomie. Si trat=
ta di
rendere ancor più netto, nel sistema bipolare, il ruolo degli
schieramenti politici, quali aggregazioni portatrici di strategie
programmatiche alternative; delle forze politiche, quali soggetti
insostituibili della determinazione democratica della politica che assegna =
loro
2.1 Si tratta di re=
ndere
possibile e praticabile un’idea alta del ruolo e delle funzioni dei
soggetti della rappresentanza, nel pieno rispetto delle diverse prerogative=
e
delle reciproche autonomie. C’è bisogno, in sostanza, di
più politica, sia nella sfera della rappresentanza partitica, sia in
quella sociale, senza alcun timore di sovrapposizioni, sconfinamenti, cadut=
e di
autonomia. E quando ci riferiamo alla sfera sociale, parliamo certamente del
sindacato, ma anche di quell’importante mondo dell’associazioni=
smo,
del volontariato, dei movimenti che tanta parte rappresentano del tessuto d=
ella
società. Occorre uno sforzo di tutti e un’assunzione di
responsabilità di ognuno, affinché la ricostruzione del paese=
, al
centro della proposta politico-programmatica della Cgil, si renda compiutam=
ente
possibile. Più politica, perché solo così si suscita e=
si
rende concretamente praticabile la partecipazione; più politica, come
unica risposta democratica al governo dei giganteschi processi di
trasformazione che già sono in atto e che si presenteranno, con ancor
più forza, nel prossimo futuro; più
politica come strategia di reazione ai fenomeni di concentrazione dei poteri
nell’economia e nella società, che rischiano di limitare la de=
mocrazia
nel mondo contemporaneo.
2.2 Più politica,
affinché il tema del lavoro e la sua centralità tornino a ess=
ere
elemento fondante di un modello di società. In questi anni abbiamo
assistito a un processo politico e culturale teso a mettere in discussione =
il
valore del lavoro. Esso ha coinciso con i processi di globalizzazione
dell’economia contrassegnati da un’idea di fondo neo-liberista =
che
assegna a un mercato senza regole un primato assoluto e dà una
interpretazione sbagliata e strumentale della considerazione che i giovani
avrebbero del valore del lavoro. Ha coinciso anche con il venir meno del
vecchio assetto politico e con la fine dei partiti di massa, così co=
me
li abbiamo conosciuti per quasi mezzo secolo. Centralità del lavoro,=
quindi,
anche nella sfera della rappresentanza politica.
2.3 = Occorre battere ogni idea di democrazia plebiscitaria, nella quale tutto si riduce = a un esclusivo rapporto fra eletto ed elettore, che esclude ogni forma organizza= ta di partecipazione. E’ questo il rischio al quale il centro-destra ha sottoposto il paese, attraverso una logica maggioritaria esclusiva, tesa a ridurre il ruolo e la sovranità del Parlamento attraverso il continuo ricorso al voto di fiducia e, soprattutto, allo strumento della legge deleg= a; ad annullare il ruolo delle Regioni e delle autonomie locali, in una logica neo-centralista che ha determinato serissimi problemi nei rapporti interistituzionali; a marginalizzare i corpi intermedi della società= , in particolare il sindacato, la sua funzione di rappresentanza. Questa politica avrebbe addirittura sanzione costituzionale con la riforma in votazione al Parlamento.
2.4= I compiti e le funzioni del sindacato debbono svolgersi e svilupparsi nella pienezza della propria autonomia e in un quadro di relazioni sindacali cert= o ed esigibile, con il complesso delle controparti, chiaramente definito e regol= ato. A questo è finalizzato, da sempre, l’obiettivo della Cgil di u= na legge sulla rappresentanza e rappresentatività. Per quanto riguarda il rapporto con le controparti pubbliche ai vari livelli occorre, in particolare, definire le modalità che consentano alle parti sociali la partecipazione ai processi decisionali. E’ il caso di scelte già compiute in occasione di definizione = di taluni statuti regionali nei quali= si sono, appunto, previste esplicitamente forme e modalità di partecipazione del sindacato. E’ il caso di una possibile rivisitazio= ne dei ruoli del Cnel e dei Crel, che possono essere utilmente destinati ad aiutare il normale processo di relazioni tra le parti. Sedi, quindi, istruttorie e di studio a supporto della contrattazione e del confronto programmatico.
TESI 4
L’ITALIA E
1. La trasformazione e la ricostruzione del paese implica la definizione e l’assunzione di alcune idee-forza, di valori, di princìpi e di nuovi paradigmi sui quali costruire un’ipotesi politica all’altezza della sfida che il cambiamento impone. La costruzione della società della conoscenza e la valorizzazione del l= avoro come fattore d’innovazione e di sviluppo, l’estensione dei diri= tti come fattore di uguaglianza e di libertà, la sostenibilità sociale e ambientale dello sviluppo costituiscono i capisaldi per la definizione di u= n progetto alto, per il quale non è possibile ripercorrere le strade del passato.
Questi stessi princ&igr= ave;pi definiscono l’identità del modello sociale europeo, che sempre più deve essere fondato sul Welfare come fattore di equità sociale e sulla qualificazione e sull’avanzamento delle specializzazi= oni produttive come fattore di competitività.
Il processo d’integrazione europea va proseguito in stretto ancoraggio agli obiet= tivi di Lisbona, pensando, nel quadro dell’allargamento, all’articolazione di più velocità con forte coordinamen= to sul piano delle politiche economiche e fiscali.
Si propone con forza l’urgenza di costruire politiche sociali per l’Europa, finora residuali rispetto alle politiche di sviluppo economico.
Occorre ovviare
all’insufficiente disponibilità finanziaria dell’Ue
attraverso strumenti, attualmente assenti, di politica economica per la
formazione e la redistribuzione del reddito, la modulazione della domanda
aggregata e il sostegno al sistema produttivo. Ciò significa dotare
l’Ue di una propria politica fiscale e di un bilancio adeguati, di una
politica delle entrate e della spesa, per la riqualificazione della matrice
produttiva. Ciò può essere realizzato attraverso la definizio=
ne
di un Dpef e di un bilancio europeo assai più consistente, tale da
consentire la gestione di adeguate politiche anticongiunturali e di sviluppo
che non è più possibile perseguire in modo efficace solo a
livello nazionale. Tale processo dovrà essere accompagnato da una
riforma del sistema che regola i rapporti tra i governi degli Stati membri,=
L’economia italia= na è caratterizzata dalla crescita più bassa nell’Ue, da un andamento negativo dei saldi della bilancia commerciale, delle esportazioni extra Ue, a differenza degli altri paesi europei, dal crescente disavanzo d= ella bilancia tecnologica, dal peggioramento delle condizioni materiali di lavoratori e pensionati e dall’acuirsi delle disuguaglianze sociali. Mentre gli altri paesi europei si sono integrati verso l’alto, raffor= zando le componenti a maggiore valore aggiunto legate ai beni intermedi e di investimento, l’Italia si caratterizza sempre più per la finanziarizzazione e l’immobiliarizzazione degli investimenti e resta ancorata a una specializza= zione produttiva legata ai beni di consumo, in declino nel commercio internaziona= le, caratterizzati da un’elevata elasticità di prezzo e da una crescente concorrenza dei paesi asiatici.
Occorre individuare qua= li possano essere le misure e gli interventi possibili per affrancarsi dalla b= assa specializzazione delle imprese che sostanzialmente importano tutte le tecnologie e i beni di investimento e intermedi. In tale situazione l’indistinto sostegno agli investimenti delle imprese non fa che confermare le attuali specializzazioni produttive. A ciò si aggiunga= una difficoltà a tradurre i risultati della ricerca nella creazione di nuove filiere produttive nei set= tori in cui siamo assenti.
Per essere nei settori innovativi occorrono consistenti investimenti a redditività differit= a, per superare le barriere d’ingresso e dunque politiche pubbliche mira= te e il sostegno selettivo del sistema finanziario.
L’Europa deve sos= tenere e impostare piani per la ricerca e le infrastrutture materiali e immateriali = da finanziare con euro bond: il nostro paese deve essere dentro questi progett= i, individuando le eccellenze e le priorità. In questo quadro, investire sul welfare è una delle chiavi decisive per realizzare lo sviluppo.<= /p>
2. E’ necessario ridefinire un nuovo modello di sviluppo, attraverso una nuova politica economica e dei redditi che abbia come obiett= ivi centrali condivisi:
a) l’equità= ; nella redistribuzione della ricchezza che in questi anni si è tanto concentrata da rendere prioritaria l’esigenza di politiche pubbliche restitutive a sostegno dei redditi da lavoro dipendente e da pensioni;
b) l’avanzamento = e la qualificazione delle specializzazioni produttive e della crescita della produttività per consentire il passaggio all’economia della conoscenza, in un contesto di coesione sociale;
c) la valorizzazione de= l lavoro come fattore d’innovazione, come aspetto decisivo della libertà e dell’autorealizzazione delle persone, dell’eliminazione delle a= ree di esclusione sociale, soprattutto delle giovani generazioni;
d) i benefici derivanti dall’innalzamento dei livelli complessivi d’istruzione del nost= ro paese e l’affermarsi di un vero e proprio sistema d’istruzione = e di formazione per l’intero arco della vita.
Questo è il sign= ificato oggi di politiche industriali: a partire da uno straordinario investimento = in formazione e ricerca, l’emergenza della trasformazione del sistema as= sume valore prioritario, in una tensione sinergica del pubblico, dell’impr= esa e del lavoro, dove al pubblico spetta il compito della programmazione democratica e partecipata.
Occorre dunque finalizz= are a questo obiettivo:
a) la ricostruzione di = un ciclo di ricerca di base nei settori strategici che consenta la formazione del serbatoio di conoscenza fondamentale, propedeutico alla leadership tecnolog= ica;
b) l’individuazio= ne di grandi progetti nazionali (dentro un quadro europeo, sede alla quale compet= e la macroprogrammazione), limitati nel numero ma di grande valore strategico sul piano del contenuto tecnologico e sul piano delle interconnessioni e implementazioni che devono essere in grado di generare (pubblica amministrazione, ricerca pubblica, ricerca privata ecc.). Un’intellig= ente sinergia tra ruolo del pubblico e delle imprese, sulla base di progetti di grande innovazione e qualità, cofinanziati da risorse pubbliche e private è rappresentata dal recente piano nazionale per la competitività approvato dalla Francia;
c) il rafforzamento deg= li attori economici attraverso interventi che sostengano la crescita dimension= ale delle imprese, che premino i progetti che fanno sinergia e unità tra imprese, centri di ricerca, Università, territorio e che privilegino= le imprese impegnate in processi di ricapitalizzazione. Si pone anche con gran= de attualità il problema politico del ruolo dell’impresa cooperat= iva. A tale proposito è necessario un rinnovato e più moderno rapp= orto tra la funzione economica dell’impresa cooperativa, il funzionamento = dei rapporti con i soci e il sistema di relazioni sindacali e di regole dei rapporti di lavoro;
d) la messa in operatività dei distretti industriali sul versante dell’innovazione;
e) il rinnovamento delle
relazioni industriali e lo sviluppo del modello contrattuale e salariale;
f) la centralità= del tema della democrazia economica e dunque delle regole, dei percorsi e degli strumenti di un sistema partecipato, nel quale l’espressione di un’etica nei comportamenti dell’impresa si materializzi attrave= rso la responsabilità sociale e quindi nella disponibilità alla condivisione delle scelte, nel pieno rispetto dell’autonomia e delle prerogative delle parti. Coerente con questo obiettivo è una definiz= ione della governance sul piano delle regole, della trasparenza e del conflitto = di interessi;
g) l’avvio di un = radicale cambiamento nel mondo dei servizi all’impresa, all’interno di u= na rinnovata politica industriale. La necessità di qualificare l’intera struttura economica e produttiva rende indispensabile un adeguato sistema di servizi di qualità tecnologicamente avanzati, con operatori professionalizzati, cancellando la logica del contenimento dei co= sti fondata sul basso costo del lavoro e sulla riduzione dei diritti realizzata= con gli appalti al massimo ribasso;
h) le scelte sulle infrastrutture materiali e immateriali, a partire dal Mezzogiorno, sul sist= ema scolastico e formativo, sul Welfare.
3. La finanza pubblica va rimessa sotto controllo ricreando le condizioni di una cultura diffusa di trasparenza e di governo dei conti pubblici: risanamento e sviluppo si alimentano reciprocamente e contemporaneamente. Nell’emergenza di questa crisi sono improponibili= politiche dei due tempi, da qualunque versante esse decidano di partire: non si posso= no frenare gli investimenti per ragioni di bilancio, mentre una spesa pubblica= di qualità e selezionata deve essere strumento attivo per lo sviluppo.<= /p>
Tale alimento reciproco= non può che realizzarsi attraverso una nuova distribuzione dei prelievi, che renda disponibili risorse da finalizzare alla crescita e all’aumento del benessere dei cittadini, e un guadagno di efficienza e di efficacia della spesa.
Il prelievo fiscale cos= tituisce uno strumento redistributivo del reddito capace di ridurre disuguaglianze e sperequazioni. Negli anni 90 si sono diffusi in Occidente, a partire dagli Stati Uniti, la riduzione del prelievo fiscale e il taglio del bilancio pubblico, rendendo così inevitabile una corrispettiva riduzione e privatizzazione dei servizi sociali.
La pressione fiscale non
può essere ridotta ma dovrà cambiare l’incidenza delle
diverse imposte, realizzando interventi che spostino il carico fiscale e
contributivo dal lavoro e dagli investimenti verso le rendite.
L’equità d= i un sistema fiscale è data dalla misura della sua progressività, prevista dalla Costituzione e oggi limitata ai redditi da lavoro e pensione: tale carattere va ripristinato rivedendo l’imposizione sulle persone e ristabilendo quella finalità redistributiva che un sistema fiscale d= eve avere sia direttamente sia come alimentatore di risorse per un welfare inclusivo in grado di garantire, in chiave universalistica, soddisfacenti standard qualitativi ai servizi sociali. Il soggetto pubblico deve essere m= esso in condizione di svolgere in pieno il proprio ruolo all’interno della nuova politica dei redditi.
In questo quadro si pon= e il cosiddetto “federalismo”. La sua missione non può che es= sere quella di strumento per l’unità sociale e civile del paese, attraverso il pieno finanziamento delle funzioni trasferite al sistema delle Regioni e delle Autonomie locali e attraverso il fondo perequativo, finaliz= zato a garantire sostegno alle realtà più svantaggiate. Le funzioni statali, a partire dai livelli essenziali “uniformi e universalistici” delle prestazioni, devono avere garanzie di finanziamento su tutto il territorio nazionale.
L’inflazione inci= de pesantemente sui redditi da lavoro e pensione aumentando le disuguaglianze, erodendo il potere d’acquisto e incidendo pesantemente sulla determin= azione dell’imponibile (drenaggio fiscale). Per attutirne l’impatto, è necessario evitare il fenomeno dello slittamento degli scaglioni d’imposta, facendo pagare le tasse su base reale anziché nomin= ale. Occorre infine rivedere l’intero sistema delle deduzioni per risolver= e il problema degli incapienti.
La ripresa di una lotta
credibile contro l’evasione e l’elusione fiscale è
determinante:
4. Le politiche pubbliche devono mantenere un peso decisivo nel= la regolamentazione del mercato e un fondamentale potere decisionale in campo economico, attraverso la politica di bilancio, la definizione di standard normativi, il controllo dei monopoli naturali, finalizzato a garantire l’universalità dei servizi e dei diritti.
Per affrontare compiuta= mente il tema dello sviluppo bisogna affrontare il tema della penetrazione della criminalità organizzata nell’economia in una parte consistente= del paese. Occorrono misure particolari, per affermare la legalità del funzionamento delle amministrazioni pubbliche e delle imprese, secondo le proposte emerse in molte iniziative di categoria e di territorio e per ulti= mo nella Conferenza di Palermo.
L’agenda delle ri= forme necessarie presuppone la ridefinizione dell’intervento pubblico in economia, anche al fine di rendere il mercato più regolato e trasparente.
L’intervento pubb= lico va riorientato, sia per mettere a punto nuove politiche industriali capaci di innovare, rafforzare e spostare in avanti, verso filiere tecnologiche più avanzate, il nostro apparato produttivo di beni e sevizi, sia per garantire un mercato concorrenziale: vanno costruite le condizioni per un dinamismo economico di supporto alle imprese attraverso modelli di ricerca sviluppo, formazione, innovazione e trasferimento tecnologico.
Le regole che presiedono direttamente o indirettamente al corretto e trasparente funzionamento del mercato e delle singole imprese (diritto societario, diritto fallimentare, legge sulla tutela del risparmio, indipendenza delle Autorità di controllo), costituiscono un aspetto decisivo per l’ammodernamento del sistema economico italiano, oggi il più arretrato fra tutti i paesi sviluppati dell’Occidente.
Capitoli centrali di qu= esto ammodernamento sono gli indirizzi generali sulle politiche tariffarie di servizi strategici come le comunicazioni e l’energia e l’uso de= lla leva fiscale come strumento di contenimento del loro prezzo finale. E’ ormai improcrastinabile la liberalizzazione degli ordini professionali, ind= ispensabile al fine di rompere gli steccati che cristallizzano la società italia= na, di ridurre il peso dei poteri delle lobbies che innalzano i costi riducendo l’efficienza del sistema, di creare le condizioni per pari opportunità di accesso dei giovani ad attività di elevato contenuto professionale.
5. Le privatizzazioni dei servizi a rilevanza industriale (ener= gia, trasporti, telecomunicazioni ecc.), così come sono state realizzate negli anni scorsi, non hanno favorito la nascita di nuovi soggetti economic= i, né d’investitori istituzionali e in alcuni casi hanno concentr= ato posizioni di rendita e di potere in poche mani. Esse hanno acuito il confli= tto d’interessi largamente presente nella nostra economia, hanno sottratto risorse al core business delle imprese acquirenti a favore di rendite nei mercati protetti, hanno addossato alle società acquisite un pesante indebitamento, con forti penalizzazioni sugli investimenti di queste in innovazione e ricerca. Esse dunque hanno rappresentato un’occasione mancata per migliorare i servizi ai cittadini e alle imprese e per l’attuazione di una politica industriale centrata sull’innovazi= one della struttura economica italiana, che risulta così più arretrata e meno attrez= zata alle sfide della competizione.
Le distorsioni che si s= ono prodotte vanno ripensate criticamente e superate in avanti compiendo scelte= che non antepongano l’esigenza di cassa ai processi di privatizzazione, decidendo strategicamente in quali settori sia giusto mantenere, nel quadro= di un sistema liberalizzato, la presenza di proprietà pubblica, ristabilendo l’ordine temporale di liberalizzazione e privatizzazione= . In ogni caso, nei settori a rete, va garantita la terzietà delle imprese proprietarie delle reti e un rafforzamento dei poteri dei regolatori pubbli= ci.
Per quanto riguarda le = imprese pubbliche locali, fornitrici di servizi strategici per le imprese e per i cittadini, possono e devono essere attori economici di nuove politiche industriali se s’impegnano in processi di fusione che ne garantiscano= la crescita dimensionale, la qualità delle prestazioni e la capacit&agr= ave; competitiva, che consentano importanti investimenti tecnologici in grado di modernizzare e qualificare l’infrastrutturazione, soprattutto nel Mezzogiorno, superando cos&igr= ave; le logiche di finanziarizzazione che pure si sono determinate a scapito del= la qualità, per rendere praticabili gli obiettivi di riduzione nel cons= umo di acqua ed energia, produzione dei rifiuti e salvaguardia dell’ambie= nte.
Un’attenzione spe= cifica merita il tema dell’acqua, che è un fondamentale bene comune.<= /p>
Un’opportunit&agr= ave; positiva è rappresentata dai servizi finanziari che dovrebbero facilitare lo sfruttamento delle opportunità di crescita e l’accesso alle innovazioni, favorire l’apertura degli assetti proprietari anche in funzione della crescita dimensionale delle imprese.
Il sistema bancario, tu= ttavia, manifesta evidenti debolezze soprattutto sui terreni, fondamentali a questi fini, della gestione finanziaria e della riorganizzazione societaria. Il suo vero fallimento è stato quello di non aver saputo intervenire nella ricostruzione degli assetti proprietari in un contesto – quello del nostro paese – in cui a un’elevatissima flessibilità del lavoro corrisponde un’assoluta rigidità del capitale. Le banche italiane, malgrado i progressi realizzati in questi anni, sono ancora largamente inadeguate. Il ruolo svolto nelle crisi industriali le ha portat= e a diventare, attraverso la conversione dei crediti in compartecipazione, azioniste di larga parte del sistema produttivo italiano. Risulta centrale disporre di alcuni grandi istituti di dimensione europea capaci di promuove= re e accompagnare l’internazionalizzazione del sistema produttivo italiano= , di svolgere un ruolo indispensabile a sostegno della sua riorganizzazione e de= lla creazione di nuove filiere tecnologiche che richiedono l’impiego di ingenti risorse a redditività differita e dunque l’apporto di rilevanti investimenti a lungo termine. La politica portata avanti dalla Ba= nca d’Italia non ha aiutato tale processo e non ha innovato le banche italiane rispetto ai loro competitori continentali, anche se è dimostrato che le stesse, quando ne hanno la forza, possono diventare protagoniste di grandi alleanze internazionali.
6. La valorizzazione e la finalizzazione dell’intervento pubblico al rilancio anche qualitativo del sistema Italia deve coinvolgere = le pubbliche amministrazioni, nelle loro componenti:
a) l’intervento p= ubblico sul sistema dei beni comuni e del welfare (istruzione, scuola, salute, acqu= a), riaffermando un’unitarietà della potestà pubblica che inquadri in un “agire comune” il sistema dei poteri in campo sociale collocato oggi ai diversi livelli istituzionali;
b) l’intervento p= ubblico per l’innovazione e la ricerca, che caratterizzi la qualità del sistema produttivo, definendo le necessarie nuove regole e identificando strutture che semplifichino il rapporto tra pubblica amministrazione e impr= ese, senza destrutturare il sistema di regole che attualmente è alla base= di uno sviluppo centrato su qualità e sostenibilità.
Anche per il lavoro pub= blico, così come per quello privato, vanno rimosse le politiche che ne hanno ampliato la precarietà. E ciò richiede lotte che pongano la questione al primo posto delle piattaforme.
Infatti, la qualificazi= one dell’intervento pubblico dipende fortemente da una rinnovata centralità del lavoro pubblico, che ha in sé quattro grandi opportunità: garantisce i diritti fondamentali delle persone, produce sviluppo, favorisce l’insediamento produttivo, è frontiera e presidio della legalità.
Il governo Berlusconi, asservendo totalmente la struttura amministrativa e burocratica alla politi= ca, ha cancellato il principio di terzietà e d’imparzialità della p.a. e, di fatto, ha contraddetto la scelta, che ribadiamo fortemente= , di separare l’amministrazione, cioè la gestione, dalla politica.<= /p>
7. Cruciale per uno sviluppo diverso è un sistema format= ivo di qualità, basato sul diritto allo studio universalmente garantito,= che offra a tutti pari opportunità nell’accesso a una buona scuola pubblica, che assuma il successo scolastico e formativo come una priorità che si estenda all’età adulta, in un’ott= ica di formazione per tutto l’arco della vita. La politica del centrodest= ra, imponendo un modello rigidamente duale basato su meno istruzione pubblica e sulla discriminazione economica, sociale e culturale di appartenenza, ha le= so diritti, costituzionalmente garantiti, d’inclusione sociale e di cittadinanza, la cui priorità va assicurata, cancellando e sostituen= do i provvedimenti adottati su scuola, università e ricerca, anche con l’intento di realizzare gli obiettivi di Lisbona, nei confronti dei q= uali l’Italia accusa un gravissimo ritardo.
In questo quadro, l’obbligo scolastico a 16 anni, come primo provvedimento della nuova legislatura, per poi portarlo entro la fine della stessa a 18 anni, con le conseguenti modifiche nella legislazione sul mercato del lavoro, è un obiettivo fondamentale per elevare il livello culturale del nostro paese, p= er evitare il rapido scivolament= o nelle posizioni marginali dello sviluppo e per scommettere nei percorsi successiv= i su una professionalità più alta e versatile.
L’autonomia di sc= uole, Università e enti di ricerca, sancita dalla Costituzione, rappresenta una scelta di grande valore e uno strumento indispensabile per innalzare i livelli di conoscenza e per impedire un incremento della frantumazione soci= ale.
La società della conoscenza deve fondare la sistematica capacità d’innovazione = del sistema produttivo su un’ampia diffusione del sapere critico. Solo persone capaci di continuare autonomamente ad apprendere non si sentono minacciate dall’innovazione e possono comprenderla e promuoverla. Del resto, in un ambiente soggetto a cambiamenti continui, le nozioni possedute sono soggette a rapida obsolescenza. Per questo occorre triplicare, in un lasso di= tempo certo, il numero dei laureati, con particolare riguardo alle materie scientifiche e tecniche (con ciò superando il gap che ci separa dagli altri paesi europei).
Occorre inoltre che il = sistema formativo abbia come obiettivo primario una formazione che consenta l’aggiornamento ricorrente delle proprie conoscenze, così come occorre sviluppare un sistema di educazione e formazione permanente in tutto l’arco della vita. In questo quadro il sindacato deve porsi i seguenti obiettivi: sviluppare la formazione continua, anche attraverso l’util= izzo qualificato dei Fondi interprofessionali, rafforzare i diritti d’acce= sso individuale alla formazione, saldare l’attivazione dei percorsi forma= tivi con lo sviluppo degli inquadramenti.
Occorre, dunque, riport= are in tempi certi il rapporto tra spesa per la ricerca e Pil alla media europea, incrementando gli investimenti della ricerca universitaria e degli enti pubblici di ricerca, fondamentale per quanto riguarda in particolare la ric= erca di base, incentivando la ricerca attiva delle imprese, anche favorendo aggregazioni di imprese minori che abbiano questo obiettivo.
L’innovazione &eg= rave; la risultante di una crescita del livello di conoscenza della popolazione adul= ta, di un consistente progresso nella ricerca di base, di un processo di cooper= azione tra soggetti pubblici e privati. Occorre acquisire al sistema nuove conosce= nze e incorporare innovazione nei cicli produttivi, innalzando così la qualità delle produzioni.
Si tratta di una vera e= propria produzione di beni immateriali collettivamente fruibili e disponibili per la competizione economica, che preveda il rafforzamento delle scelte di politi= ca scientifica e di politica industriale per l’innovazione.
E’ questo un prob= lema che deve essere affrontato con un incremento della spesa pubblica per la ricerc= a e attraverso adeguati incentivi alla ricerca privata.
Le risorse pubbliche pe= r la ricerca vanno prioritariamente finalizzate a valorizzare la presenza italia= na (centri pubblici, residua grande impresa, consorzi di piccole imprese) nei grandi progetti di ricerca europei; a organizzare grandi progetti nazionali= di ricerca di base e applicata; a rafforzare, con forti incentivi, la ricerca universitaria e degli enti di ricerca, anche in sinergia con le imprese; a sostenere i centri di ricerca ancora attivi nei grandi gruppi.
Anche a livello territo= riale va sostenuta la collaborazione tra università, istituti di ricerca, sis= temi di imprese e servizi finanziari specializzati (venture capital), incentivan= do le imprese a coordinarsi e cooperare per meglio accedere alle risorse della= e per la ricerca, raccordandole con le politiche e le risorse per la formazio= ne continua.
9. Per una nuova politica di sviluppo sostenibile è fondamentale una localizzazione sul territorio che si proponga di favorire = il mutamento della specializzazione produttiva, l’innovazione tecnologic= a, la diffusione dell’informazione, specie per i distretti e le medie imprese, la promozione di centri di formazione e di conoscenza, lo sviluppo= di strumenti assicurativi di copertura del rischio, la crescita dimensionale d= elle imprese, il rigore nel rispetto della legalità, la messa in sicurezza del territorio, il rispetto dell’ambiente, la valorizzazione del lavo= ro.
Occorre passare dalla g= estione della crisi all’anticipo della domanda, riconfigurando il tessuto produttivo e riannodando politiche pubbliche capaci di coniugare lavoro, diritti e stato sociale, prevedendo, a tal fine, strumenti operativi che facciano sistema tra i soggetti in campo.
Pertanto non servono po= litiche di finanziamenti individuali a pioggia ma vanno perseguiti, attraverso il coordinamento tra i diversi livelli istituzionali (Regioni, Stato centrale, Ue), politiche di sostegno finanziario e organizzativo a programmi di svilu= ppo locale integrato. Ogni incentivo individuale e collettivo dovrà esse= re finalizzato alla formazione di reti cooperative che innalzino complessivame= nte la competitività di un determinato territorio e abbiano come obietti= vo esplicito la qualità e la sicurezza del lavoro.
In questo quadro il sis= tema della autonomie – enti locali, scuola, università, ricerca – può svolgere un ruolo fondamentale nella costruzione dei sistemi territoriali d’innovazione e di offerta formativa.
Si tratta, in altri ter= mini, di definire un modello di “ricerca e sviluppo” mediante un interve= nto dello Stato che sappia collegare ai grandi progetti europei i punti di eccellenza che tuttora permangono nel nostro paese e che sappia rendere fruttuoso il legame tra le università, le istituzioni scolastiche, i centri di ricerca, i centri di formazione professionale, le agenzie formati= ve, le istituzioni locali e i sistemi territoriali di piccola-media impresa (nell’industria e nei servizi).
10. La sfida dell’innovazione è sfida per la valorizzazione del lavoro e di chi lo svolge: a un lavoro povero corrisponde un’impresa povera (e viceversa), con un rapporto inversamente proporzionale tra dimensione e utilizzo delle nuove tecnologie. L’ass= enza di crescita della produttività totale dei fattori è dipesa da= ll’assenza d’innovazione e la bassa crescita della produttività del fatto= re lavoro è dipesa dalla maggiore intensità delle prestazioni e dalla forte crescita di forme di lavoro atipiche e precarie. Limiti dimensionali delle imprese, specializzazione nelle attività tradizionali, bassa crescita nei mercati internazionali, delocalizzazioni d= elle imprese di settori manifatturieri maturi motivate dalla sola contrazione dei costi di produzione, debolezza della concorrenza, insufficienza del sistema= dei servizi, finanziari e non: sono questi&nbs= p; i punti d’attacco per una politica industriale che si ponga l’obiettivo di portare il paese fuori dal tunnel della recessione, da= lla crisi di interi settori (auto= e indotto, chimica di base, tessile-abbigliamento-calzaturiero ecc.).
Anche per l’agroi= ndustria, che assume un ruolo centrale data la consistenza dei sostegni pubblici in Europa e in Italia, bisogna puntare sull’ammodernamento, l’innovazione e la ricerca, abbandonando gradualmente obsolete politi= che protezionistiche che affondano le radici nella storia economica italiana, in particolare nel Mezzogiorno.
A livello europeo, spec= ie dopo l’allargamento, è ormai sul tavolo la questione della percentu= ale del bilancio Ue destinata all’agroindustria. Si pone, in questo quadr= o, la centralità del settore attraverso: l’adozione di nuovi crit= eri di sostegno; la qualità delle produzioni; la sicurezza alimentare pe= r i consumi di massa; l’abbattimento del costo della Politica agricola comune, che si trasferisce sul prezzo dei beni di prima necessità e, quindi, sul potere d’acquisto dei salari e delle pensioni; la riconversione a favore delle politiche di sviluppo rurale. Il sistema dell’impresa agricola va normalizzato; vanno ricondotte a legalit&agr= ave; la prestazione lavorativa e l’impresa, anche condizionandone i sosteg= ni economici al rispetto di leggi e contratti.
Infine, il turismo rapp= resenta una leva importante. Il settore va riorientato in direzione di un cambiamen= to, già espresso dalla domanda, soprattutto straniera, attraverso il coordinamento della politica turistica che superi la parcellizzazione della promozione e punti su progetti integrati, come i sistemi turistici locali. A tale scopo occorre puntare: alla destagionalizzazione dell’offerta; al rafforzamento delle reti turistiche meridionali; al recupero e alla valorizzazione dei beni culturali, storici, ambientali; all’innalzame= nto degli standard qualitativi dell’offerta complessiva; al potenziamento delle strutture di supporto, a partire dai sistemi di trasporto; alla qualificazione professionale dei lavoratori.
11. Il rinnovamento del paese passa anche attraverso il riequilibrio territoriale. Il Meridione ha bisogno di più politiche pubbliche e di migliore qualità, attraverso l’attivazione di flussi significativi di risorse concentrati sull’innovazione, sulla diffusione e la qualità dei saperi, sulla costruzione del capitale sociale, su interventi infrastrutturali sostenibili. sul rilancio dell’azione di contrast= o alla virulenta ripresa dell’iniziativa criminale delle organizzazioni mafi= ose. Va assunta la centralità dell’idea di sostenibilità economica, sociale e ambientale dello sviluppo del Mezzogiorno. E’ indispensabile e urgente che lo Stato e le autonomie locali compiano scelte nette a tutela della legalità, anche attraverso il rilancio dell’azione di contrasto all’iniziativa criminale delle organizzazioni mafiose.
Per superare il degrado sociale, particolarmente acuto nelle grandi aree urbane, è necessario costruire politiche rivendicative che anticipino e accompagnino le grandi trasformazioni sociali e culturali e diano risposte alla crescente domanda = di diritti.
La sfida/opportunit&agr=
ave; del
rapporto tra l’allargamento dell’Unione europea e la proiezione
verso il Mediterraneo rappresenta un obiettivo importante anche per
La dimensione mediterra= nea, infatti, assume importanza strategica nella prospettiva dell’area di libero scambio che, a partire dal 2010, produrrà modificazioni profonde in tutta la regione.
Per questo alle questio= ni dello sviluppo del Mezzogiorno è organicamente collegato il progetto di un Mediterraneo grande mare di pace, che promuova il dialogo tra popoli e cult= ure diversi in una logica di cooperazione e solidarietà.
12. La nostra proposta è quella di una politica industri= ale e dei servizi finalizzata alla costruzione di condizioni generali e specifi= che favorevoli allo sviluppo. Si tratta, in primo luogo, di mettere a fattor co= mune le migliori energie e potenzialità disponibili nelle condizioni date, oggi troppo disperse per poter dar vita a progetti di crescita, in cui la produzione industriale mantenga un ruolo centrale. E’ una politica che penalizza la rendita, ovunque si annidi, e valorizza gli investimenti produttivi a lungo termine.
A tali obiettivi &egrav= e; ancorata l’esigenza di una nuova politica di contrattazione confedera= le territoriale che, accanto alle materie del welfare, preveda anche quelle che attengono l’innovazione. Si tratta di attivare un modello di partecipazione nel territorio che arricchisca gli spazi di democrazia e valorizzi il ruolo del lavoro nel cambiamento.
13. Per sostenere lo sviluppo delle aziende più esposte = alla competizione internazionale un ruolo fondamentale è rivestitio dalle infrastrutture materiali (porti, aeroporti, strade, ferrovie, reti, energia, acquedotti, telecomunicazioni). La competitività trarrebbe vantaggio dall’attuazione di un piano per l’intero paese, che colmi il profondo divario al Sud, (a partire dalle urgenze dei settori idraulico, dell’energia, dello smaltimento dei rifiuti) e superi le strozzature = al Nord. Il Sud, nel quadro di una riduzione generalizzata delle risorse desti= nate alle infrastrutture operata dalle leggi finanziarie del governo Berlusconi, è risultato essere particolarmente penalizzato dalla riduzione degli investimenti, mantenendo invariato il differenziale infrastrutturale. La le= gge obiettivo, che avrebbe dovuto accelerare i progetti, si è rivelata, = nei fatti, un autentico fallimento. Non ha consentito l’apertura di nuovi cantieri e, di fatto, ha bloccato quelli in essere, senza avere favorito, p= er altro, il necessario processo di qualificazione delle imprese e del mercato delle costruzioni, sempre più caratterizzato dal ricorso esasperato = al subappalto e alla subcontrattazione.
14. Particolare attenzione va posta al sistema dei trasporti, ciascuna branca del quale presenta attualmente elementi di grande criticità e nel contempo potenzialità per lo sviluppo del pae= se. Occorrono regole, risorse finanziarie, programmazione d’interventi, a partire dalla priorità delle autostrade del mare e del sistema dei porti, che, data la collocazione del paese sulle grandi direttrici dei traf= fici dall’Oriente, rappresenta un vantaggio competitivo naturale. Il paese= ha bisogno di un trasporto aereo che non lo renda dipendente da quello degli a= ltri paesi. Va risolta la crisi endemica del vettore nazionale, va perseguita un’alleanza internazionale, va razionalizzata la rete aeroportuale che tende a dilatarsi irrazionalmente. Vanno colte le opportunità offerte dall’alta capacità ferroviaria. Le Ferrovie italiane continuan= o a manifestare elementi di preoccupante criticità, malgrado le pesanti ristrutturazioni già intervenute. Il mantenimento dell’unicità dell’azienda e della sua capacità d’investimento in tutti gli ambiti: rete, materiale rotabile per il trasporto merci e passeggeri rappresentano gli elementi che rendono possibi= le lo sviluppo del trasporto ferroviario, essenziale per un sistema dei traspo= rti competitivo. Va affrontata l’emergenza del trasporto pubblico locale = come priorità per una mobilità urbana sostenibile. Non è più rinviabile, infine, la riforma dell’autotrasporto, per rilanciare il sistema logistico attraverso provvedimenti per una razionalizzazione, anche con incentivi/disincentivi, nella movimentazione d= elle merci e dei semilavorati che, per effetto della trasformazione dei sistemi produttivi, aumentano la necessità di trasporti, in particolare su gomma, e conseguentemente l’impatto sul territorio.
15. Una strategia di sviluppo deve proporsi di ribaltare “l’economia dello spreco” invalsa in questi anni, propone= ndo al contrario un’economia del benessere, attenta all’uso sosteni= bile e ottimale delle risorse. Essa va realizzata attraverso l’innovazione= dei prodotti e dei processi, la riduzione del contenuto energetico e di materie prime per unità di prodotto, la manutenzione idrogeologica del territorio e la sua messa in sicurezza. Le Politiche integrate di prodotto possono essere un utile strumento per combinare innovazione di prodotto e competitività, e una notevole opportunità in un sistema produttivo connotato da Pmi e da filiere di prodotto complete.
Gli strumenti per la realizzazione di tali obiettivi debbono essere il coinvolgimento degli operatori (tecnici, ricercatori, ecologisti, personale sanitario ecc.), la definizione di un idoneo quadro legislativo di sostegno e una contrattazione aziendale e territoriale sul complessivo arco di temi che sostanziano la realizzazione di un progetto di sostenibilità.
La tutela dell’am= biente richiede un forte sistema integrato di protezione civile, che veda un ruolo attivo di tutti gli attori istituzionali (Stato, Regioni, comunità locali, volontariato), dentro il quale va mantenuta e valorizzata nella sua funzione originaria, che il governo vuole manomettere, la componente dei Vi= gili del fuoco.
Il paese deve dotarsi d=
i una
politica energetica che assuma realmente i vincoli del protocollo di Kyoto.=
Investire con decisione=
nella
sostenibilità significa investire sull’Italia, sulle sue risor=
se
naturali, storiche, culturali e umane. Anche in questo campo la ricerca
può svolgere un ruolo fondamentale. La priorità dell’in=
novazione
implica la rimessa in discussione d’interessi consolidati dove, molto
spesso, si annidano quelle posizioni parassitarie o di rendita che gravano
sulla collettività. Sappiamo bene come tutto questo determini resist=
enze
e reazioni anche conflittuali che troppo spesso riducono il paese
all’immobilismo. Per superare queste resistenze e favorire una gradua=
le e
progressiva riconversione di qualità del nostro sistema di produzion=
e e
di consumo riteniamo fondamentale lavorare per far maturare le indispensabi=
li volontà
e decisioni costituzionali e politiche. Nel contempo però riteniamo
altrettanto indispensabile predisporre e rendere praticabili gli strumenti =
e le
metodologie che consentano di integrare la dimensione economica con quella
sociale e ambientale, al fine di consentire una valutazione complessiva,
preventiva e condivisa, dell’efficacia delle politiche di sviluppo.=
p>
TESI 5
UN’OCCUPAZIONE SO= LIDA E STABILE
1. Riportare a unità il mondo del lavoro.
1.1 Il mondo del lavoro= e i suoi protagonisti sono al centro di un ampio processo di frantumazione e di riduzione dei diritti e delle tutele come mai da molti anni a questa parte.
All’interno di am= pie trasformazioni tecnologiche e culturali che interessano la stessa base occupazionale italiana, assistiamo a un’ampia frantumazione nel merca= to del lavoro e nel lavoro: nel mercato attraverso una moltiplicazione delle f= orme contrattuali precarie, un’immersione di parte del tessuto imprenditor= iale e una forte compressione dei salari e dei diritti individuali e collettivi,= tanto nei settori privati che pubblici; nel lavoro, nei luoghi, nei tempi e nei m= odi del produrre, attraverso una parcellizzazione dei modelli aziendali e della catena del ciclo produttivo e dei servizi.
1.2 Si è giunti così alla vanificazione di leggi dal forte valore anche simbolico, c= ome quella per il collocamento delle persone con disabilità, introducendo disposizioni che, anziché favorire l’inclusione sociale dei lavoratori più deboli, determinano la loro ghettizzazione. Cos&igrav= e; come, dopo le lunghe, impegnative e positive lotte e acquisizioni sul piano contrattuale e normativo per la tutela della salute e della sicurezza, si è registrata una grave battuta d’arresto in materia, dovuta an= che a un affievolirsi dell’attenzione e della vigilanza del sindacato nei= luoghi di lavoro, e soprattutto al venir meno di un ruolo efficace di vigilanza de= lle istituzioni pubbliche.
1.3 Conseguenze pi&ugra= ve; dirette di questo processo culturale, produttivo, sociale e normativo sono infatti oggi: una condizione di precarietà nel lavoro che genera precarietà sociale; una riduzione della coesione sociale e un aumento dell’illegalità; un impoverimento del lavoro dipendente privat= o e delle pubbliche amministrazioni; un depauperamento delle competenze e delle professionalità; una riduzione degli strumenti e dei luoghi del sape= re e della formazione strettamente connessi a un lavoro di qualità; uno svilimento delle capacità e dell’efficienza delle amministrazi= oni pubbliche, con una riduzione del loro ruolo e della qualità dei serv= izi da esse erogati; una caduta nei livelli di sicurezza e prevenzione degli infortuni; uno svuotamento degli strumenti democratici e del ruolo dei sogg= etti collettivi in azienda e nel territorio; un tentativo di negare alla radice l’essenza stessa della confederalità che è alla base del movimento sindacale italiano.
1.4. Riportare a unit&a=
grave;
il mondo del lavoro e rivendicarne il protagonismo e la visibilità;<=
span
style=3D'mso-spacerun:yes'> dare voce e maggiore rappresentanza
anche al lavoro precario, al lavoro dipendente più povero, ai lavora=
tori
emarginati sono le coordinate entro cui, per
Questa era del resto l’intuizione e il portato più profondo, ancorché non compiutamente realizzato, della politica europea a partire dal Libro Bianco di Delors.
1.5 Non è un cas= o dunque se il lavoro è uno dei terreni su cui più organica è s= tata l’iniziativa del governo di centro-destra, inserendosi peraltro in un processo di precarizzazione dei rapporti di lavoro già in atto.
Il Libro bianco del gover= no Berlusconi disegna una società caratterizzata dall’indiscussa e indiscutibile supremazia delle ragioni dell’impresa, che deve essere libera di competere nella globalizzazione senza vincoli, di costo e di diri= tti. Ai lavoratori, e alle loro organizzazioni sindacali, è preclusa ogni= funzione paritaria nell’impresa; non solo il conflitto ma anche il semplice “confronto” è considerato come portatore di ritardi e ca= usa d’impacci competitivi. Al suo posto, e al posto di un riconoscimento delle ragioni del lavoro nell’impresa, si suggerisce al sindacato uno spazio, eventualmente bilaterale con le imprese e le loro associazioni, in = cui esercitare attività di servizio fin= o al collocamento e alla certificazione dei rapporti di lavoro. Quindi, un’uscita progressiva del sindacato dall’impresa, cui consegue = la svalutazione del ruolo contrattuale del sindacato, a favore degli spazi di contrattazione individuale e fittiziamente “paritari” tra lavoratore e impresa.
Una decontrattualizzazione inaccettabile dei rapporti di lavoro, nel pubblico e nel privato, che porterebbe allo snaturamento della funzione contrattuale collettiva del sindacato confederale.
1.6 Base teorica di questo disegno è stata un’artificiosa contrapposizione tra gli intere= ssi dei lavoratori tradizionali (gli insiders) e gli interessi dei lavoratori irregolari o dei disoccupati (gli outsiders), sostenendo che la ragione del= la condizione dei secondi fosse l’eccessiva tutela dei primi.
L’attacco
all’articolo 18, la concezione della “donna” come soggetto
strutturalmente svantaggiato, del lavoratore disabile come “peso̶=
1;
per la competitività dell’impresa, sono stati la logica
conseguenza di tutto ciò; emblemi, non unici, di una specifica visio=
ne
ideologica della società e del rapporto tra lavoratori, cittadini e
impresa, così come prospettata nello stesso “patto di Parma=
221;
tra
S’inserisce in ques= to disegno, del resto, il tentativo del governo, spalleggiato dalla parte più retriva del padronato italiano, di smantellare ulteriormente le tutele per la salute e sicurezza nel lavoro, con un’ipotesi di Testo unico che è stato costretto a ritirare anche grazie alla mobilitazio= ne dei lavoratori, degli Rls, dei sindacati, delle associazioni della prevenzi= one e di tanta parte del mondo giuridico e medico-scientifico.
2. La proposta alternativa della Cgil.
2.1
Quindi si deve e si pu&og= rave; cambiare strada. Andare oltre la legge 30 significa ribaltarne l’inte= ra filosofia: vanno infatti cancellate tutte le norme che precarizzano il rapp= orto di lavoro e favoriscono la destrutturazione e l’impoverimento dell’impresa; vanno cancellate le norme che indeboliscono la contratt= azione collettiva; vanno cancellate le norme che alimentano ulteriori forme di svantaggio. Questo significa p= er noi cancellare la legge 30 e sostituirla con un sistema di norme e diritti complessivamente alternativo, partendo dalle nostre proposte.
2.2 Per questo
a) sul piano culturale,= in difesa delle ragioni dei diritti del lavoro anche e proprio nella nuova congiuntura economica: prova ne sono, a sostegno della grande iniziativa co= ntro la manomissione dell’art.18 e per i diritti al lavoro, le proposte di legge di iniziativa popolare su cui 5 milioni di uomini e donne hanno voluto condividere le nostre scelte; proposte caratterizzate da un’impostazi= one non solo di merito, ma anche culturalmente, alternativa a quella del govern= o, che ne hanno così dimostrato gli ideologismi e le mistificazioni, a partire dai presunti “vincoli comunitari” alla base delle propo= ste del centrodestra;
b) sul piano contrattuale=
e di
contrasto, impedendo l’ingresso nel mondo del lavoro delle forme
più pericolose di precarietà (staff leasing, lavoro a chiamat=
a),
evitando unitariamente ogni stravolgimento degli enti bilaterali frutto del=
la
contrattazione ed evitandone la costituzione nei campi del collocamento e d=
ella
certificazione dei rapporti di lavoro; contrattando, unitariamente nella
stragrande maggioranza dei casi, affinché – per le tipologie
d’impiego “tradizionali” – non si realizzassero le =
ipotesi
di precarizzazione, in particolare per le donne, previste dalle nuove leggi=
, come nel caso del part-time; e invece fossero
accresciuti diritti e prospettive di stabilizzazione della condizione
occupazionale, com’è avvenuto per i
contratti d’inserimento. Ciò naturalmente non ci può
esimere dal contrastare ogni tentativo di relegare i rapporti a part-time,
specie per le donne, in posizioni cui sia negata ogni prospettiva di cresci=
ta
professionale e d’inclusione nell’organizzazione del lavoro;
c) sul piano della propos= ta e dell’interlocuzione dialettica con le forze politiche, a livello nazionale e regionale, cercando di dare massima centralità alla dimensione del servizio pubblico, da un la= to, e al protagonismo dei soggetti collettivi e contrattuali dall’altro. Su quest’ultimo punto vale la pena ricordare le iniziative nazionali del= la Cgil, alle cui piattaforme si fa esplicito rinvio e riferimento: sui servizi all’impiego e le politiche regionali sul lavoro; sulla politica del lavoro e i diritti; sulla conoscenza; sui diritti degli immigrati; sulle politiche di emersione; su salute e sicurezza nel lavoro.
Il semplice elenco dei te= mi contraddistingue un approccio organico globalmente alternativo alla filosof= ia liberista del centrodestra: rimettere al centro il valore sociale del lavor= o e la sua “unità” vuol dire, infatti, fare i conti con l’area tanto dei “vecchi” che dei “nuovi lavoriR= 21;.
2.3 Per questo proponia= mo un concetto allargato della dipendenza economica come fondamento dei diritti, delle tutele e dei costi cui deve far fronte l’impresa, attraverso una ridefinizione di lavoratore ”economicamente dipendente” cui far corrispondere l’equiparazione dei diritti e dei costi.
Questo vuol dire fare d= el contratto subordinato a tempo indeterminato la normale forma di lavoro e di assunzione per l’ordinaria attività di impresa, e quindi limitare i contratti cosiddetti flessibili a una mera eccezione. Vuol dire ridurre le tipologie non a tempo indeterminato, non solo attraverso interventi legisla= tivi e contrattuali che puntino anche a una loro progressiva stabilizzazione, ma anche attraverso un aggravamento del loro costo unitario.
Vuol dire riportare in
“correlazione” diretta la fatica e l’impegno nel lavoro c=
on
una retribuzione giusta, con un corredo di diritti universali,
indipendentemente dal nome contrattuale, estendendo così lo Statuto =
dei
diritti dei lavoratori; consapevoli del fatto che parti importanti dei sist=
emi
di welfare potranno innovarsi e ampliare la portata degli interventi, alla =
luce
delle grandi trasformazioni avvenute, solo con più stabilità =
nel
lavoro, oltre che con il riconoscimento che la stessa imparzialità d=
ella
pubblica amministrazione s’indebolisce se la prestazione lavorativa
è svolta con tipologie precarie.
3. Contrastare la frammentazione delle imprese.
3.1 Questo vuol dire che l’impresa va considerata nella complessa sfaccettatura che ne costitu= isce l’attuale configurazione. Esternalizzazioni, internalizzazioni, appal= ti, trasferimenti e cessioni d’impresa o dei suoi rami (così come = il ricorso al lavoro temporaneo o in collaborazione) sono elementi di natura strutturale che vanno indirizzati e non subiti passivamente. A cominciare d= al contrastare, anche nei servizi pubblici, operazioni di esternalizzazione motivate dal solo risparmio sul costo del lavoro. Occorre quindi allargare i diritti di contrattazione, a cominciare da quelli d’informazione/consultazione. A tale scopo, all’interno di una riflessione sugli accorpamenti contrattuali, serve introdurre il concetto d= i “codatorialità” nei confronti dell’intera catena d’imprese interessate dalla filiera di esternalizzazioni, e renderle tutte complessivamente responsabil= i.
3.2 Analogamente, e pi&ug= rave; in generale, serve una profonda revisione delle norme sul socio-lavoratore, che ripristini almeno l’equilibrio raggiunto nella legge 142/01 prima del= le modifiche della legge 30. Inoltre sugli affidamenti nella pubblica amministrazione, va affermato che i diritti tutelati costituzionalmente e i servizi relativi ai beni comuni non possono essere esternalizzati nella gestione né affidati a strutture terze. Ma occorre fare di più= ;, anche oltre i meccanismi di affidamento in appalto: si deve evitare che l’impresa che esternalizza si possa poi disinteressare del lavoro e d= ei lavoratori che ha ceduto.
3.3 Occorre poi interveni=
re per
evitare fenomeni di dumping, contrastando uno svuotamento dei contratti
collettivi attraverso l’impiego improprio della cooperazione e del te=
rzo
settore, come ad esempio avviene con
l’affido di commesse a cooperative in sostituzione di assunzioni rego=
lari
di lavoratori con disabilità. Rimane ferma per
3.4 Occorre assumere l’importanza del sapere e della formazione all’interno di un sistema scolastico e universitario accessibile per tutti e di qualità come elemento centrale e strettamente intrecciato a un modello solidale di mercato del lavoro e a uno sviluppo di qualità. Si pone qui l’impegno di modificare la legislazione sul lavoro dei minori in stretta connessione con il contrasto ad ogni forma di lavoro minorile e con l’obiettivo del raggiungimento, nella legislatu= ra, dell’obbligo scolastico a 18 anni; così come l’impegno p= er la formazione continua lungo tutto l’arco della vita, strumento collettivo di mobilità sociale, e per il diritto individuale alla formazione come strumento di valorizzazione della persona. In questo quadro= va rilanciato un forte intervento del sindacato per rafforzare i diritti d’accesso individuale alla formazione, ridefinendo e rafforzando le opportunità già esistenti nei vari contratti, spesso solo parzialmente utilizzate (150 ore, congedi formativi ecc.) e saldando nelle piattaforme contrattuali l’attivazione di percorsi formativi con lo sviluppo degli inquadramenti e del salario. In tale contesto assume valore = la tematica dell’apprendistato, non come mero strumento per sottoinquadr= are i lavoratori più giovani, ma come vero contratto a causa mista, con = un forte investimento sul piano formativo, intrecciando proficuamente formazio= ne formale esterna e formazione sul lavoro (piani formativi aziendali), con il riconoscimento pubblico delle competenze acquisite (libretto formativo). = p>
3.5 Occorre assumere la
sicurezza, la prevenzione, il benessere dei lavoratori come portato pi&ugra=
ve;
generale di una ricostruzione di diritti universali; l’altra medaglia=
di
un contrasto alla precarietà che fa=
male,
che – nella competizione sul costo – arriva a disconoscere perf=
ino
il diritto all’integrità fisica e psichica.
4. Tutelare il lavoro, combattere l’illegalità.
4.1 Occorre garantire un = nuovo sistema universale di ammortizzatori sociali e di tutele, fondato sul princ= ipio che il lavoro va difeso e non reso più facilmente eliminabile in cas= o di difficoltà. Va quindi esplicitamente premiata l’impresa che ridistribuisce il lavoro, piuttosto che ridurlo, e imposto il vincolo del “piano sociale d’impresa” là dove la difesa del la= voro risulti impossibile. Un nuovo e universale= sistema di ammortizzatori che abbia una forte integrazione con un modello di welfare dove, accanto a strumenti per la dif= esa nel lavoro, siano concretamente agibili diritti più ampi di cittadin= anza, di lotta all’esclusione e= alla povertà. In tale ambito il ricorso agli ammortizzatori sociali va connesso all’insieme delle politiche attive del lavoro (composte da interventi di formazione, riqualificazione, valorizzazione delle competenze comunque acquisite, utilizzo dei fondi dello 0,30) da avviarsi su base territoriale per governare al meglio le fasi di transizione da un impiego all’altro. Si pone qui, tra l’altro, la proposta di “contratto d’inclusione”, istituto di collegamento tra la= voro e welfare, fortemente intrecciato, come indicato nelle proposte della Cgil,= con modalità anche nuove di sostegno al reddito.
4.2 Occorre fare della lo= tta contro il lavoro nero la priorità per un paese in cui ancora troppe donne e uomini, troppi immigrati, troppe imprese si situano fuori dalla legalità, dai sistemi di protezione sociali. L’intervento sull’economia irregolare è di straordinaria importanza, non so= lo per evidenti ragioni etiche e di solidarietà, ma anche per impedire forme di concorrenza sleale, per restituire alla collettività ingenti quantità di ricchezza attualmente evasa, per rompere quelle stesse c= onvenienze tra soggetti deboli che minano la solidarietà generale (indicativa la condizione delle assistenti familiari). E’ il presupposto per ogni possibile patto fiscale tra le ragioni del lavoro, dell’impresa e del= la cittadinanza. Si tratta qui di operare coniugando un uso sempre più mirato ed efficace della repressione (ponendo mano a una radicale riforma d= ella legislazione del governo di centrodestra, a partire da quella sui servizi ispettivi), con misure selettive e temporanee di accompagno e sostegno alle imprese (o ai sistemi d’impresa di matrice distrettuale) che dimostri= no di poter sostenere il ritorno alla legalità e i ritmi della competiz= ione globale (crescendo anche in dimensioni e innovazione); sostenendo i piani di stabilizzazione previdenziale dei lavoratori e la loro qualificazione professionale; spezzando le forme peggiori di ricatto e d’illegalità che costringono centinaia di migliaia di lavorato= ri italiani ed extra comunitari in una condizione di rassegnazione e accettazi= one dello sfruttamento, fino al gr= ave e crescente fenomeno del lavoro minorile.
4.3 Per fare tutto ci&o= grave; occorre un rinnovato ruolo della dimensione pubblica nel fissare non solo le regole, ma nell’intervenire con politiche attive universali e realmen= te fruibili nel mercato del lavoro, che facciano ritornare alla “legalità” e “visibilità” i soggetti sociali più deboli; occorre scommettere su una dimensione regionale/territoriale della politica del lavoro, che si basi sulla garanzi= a di un equilibrio reale tra la tutela dei diritti, che non può che essere nazionale, e un’articolazione delle politiche strumentali (servizi all’impiego, connessioni con i sistemi formativi professionali e per tutta la vita, ammortizzatori sociali e politiche per popolazioni a rischio= ), in modo da essere coerente con la nostra opzione generale di “federal= ismo solidale”. In questo contesto la battaglia per il ruolo dei servizi pubblici all’impiego, di cui riaffermiamo la centralità, va saldata con il tema delle risorse necessarie per il loro rilancio, specie in previsione della diminuzione della copertura da parte dei Fondi comunitari;= va altresì rafforzata la riqualificazione degli operatori impegnati nei servizi, e assicurata ad essi la necessaria stabilità occupazionale = e di rapporto di lavoro.
Questa è oggi l’unica strada per uscire dalla crisi economico-produttiva e per garantire una crescita e uno sviluppo duraturo e socialmente sostenibile: il paese e i lavoratori necessitano oggi di risposte diverse anche rispetto al passato, più ampie e coraggiose per costruire un futuro migliore. = p>
TESI 6
1. La globalizzazione neoliberista, con l’accrescere delle disuguaglianze è, da una parte, causa delle consistenti migrazioni a livello nazionale, intra-europeo e internazionale = e, dall’altra, substrato per risposte nazionalistiche e xenofobe, che so= no anche risposte errate al tentativo d’imposizione del “pensiero unico” che vorrebbe cancellare i pluralismi culturali, etnici, religi= osi, di genere.
L’immigrazione &e= grave; un fenomeno complessivamente in crescita e molto articolato, che comprende persone in fuga da guerre e tirannie o da selvagge ristrutturazioni economi= che e socio-politiche, tratta delle donne e dei bambini, ricerca d’occupazione e/o di miglioramento delle proprie condizioni. Oggi cir= ca tre milioni di cittadini stranieri risiedono regolarmente nel nostro paese e molte centinaia di migliaia sono, oltre a quelli in attesa di permesso di soggiorno, irregolari.=
2.
3. La presenza di un flusso costante di migr= anti permette all’Italia e all’Europa di contrastare il declino demografico della popolazione, di rallentarne il processo d’invecchiamento, di mantenere stabili le forze di lavoro e, conseguentemente, di accrescere il peso delle classi lavoratrici nella società. Gli studi della Commissione europea confermano il carattere positivo dell’immigrazione verso l’Europa e l’Italia.
La contraddizione tra apprezzabili “dichiaraz=
ioni
di principio” e concrete politiche per l’immigrazione ha, nel
“Libro Verde” dell’Unione europea, una sua manifestazione
evidente. La preoccupazione maggiore è che
Infatti il concetto di co= ntratto di soggiorno riflette la negazione della legittimità del progetto migratorio giacché la facoltà di risiedere nel nostro paese è rigidamente vincolata alla domanda di lavoro delle imprese del pae= se ospitante; con la crudele conseguenza che ove – per qualsivoglia moti= vo – non vi sia più la costanza del rapporto di lavoro il migrante perde il diritto al soggiorno ed è obbligato, pena la carcerazione, a tornarsene a casa. L’opportunità di rimanere in Italia dipenderà dunque, in generale, dal grado d’acquiescenza che l’immigrato saprà dimostrare nei confronti di colui da cui egli dipende a ogni effetto: il padrone (“imparare a stare al proprio posto”).
La legge Bossi-Fini ha = poi determinato una diminuzione dei diritti per le immigrate, che si trovano in= una situazione più vulnerabile rispetto all’istruzione, all’occupazione, alla sanità e alla partecipazione alla vita pubblica.
5. Complessivamente le proposte del sindacato hanno come obiettivo una legislazione finalizzata alla riorganizzazione e al rafforzamento delle tutele e alla lotta al sommerso e assumono, quindi, l’obiettivo della cancellazione immediata della legge Bossi-Fini, e conseguentemente il varo di una nuova legge quadro sull’immigrazione = che non riproponga tuttavia princìpi e strumenti di legislazioni precede= nti che, dopo 8 anni, hanno mostrato tutti i propri limiti e inadeguatezze e ch= e si caratterizzi invece per un’organicità e una sistematicit&agrav= e; di nuove norme che sanciscano:
a) l’istituzi= one di un “Permesso di soggiorno per ricerca di occupazione”, certi che una tale norma possa divenire l’architrave di una più aperta e giusta politica sull’immigrazione in Italia e in Europa; una politica basata sull’agibilità di una via legale per sconfiggere il traffico criminale delle persone e l’abuso del lavoro migrante in ner= o, senza diritti e tutele;
b) la chiusura dei Cpt (C= entri di permanenza temporanea), non solo perché rappresentano un vero e prop= rio buco nero rispetto alle tutele dei diritti umani previsti dalle norme nazio= nali ed internazionali, ma anche perché, nel quadro di una legge alternat= iva che supera il proibizionismo attraverso la via legale all’immigrazion= e, non avrebbero più nessuna funzione e giustificazione;
c) la nascita di una rete= di strumenti per l’inserimento e l’integrazione, che attivi, tra l’altro, centri di accoglienza e di servizi all’immigrazione, qualificati sotto la responsabilità degli enti locali, in grado di assicurare alloggio, informazione, formazione, istruzione, assistenza psico-socio-sanitaria, mediazione culturale e tutela legale, affinché= ; la diversità arricchisca tutta la società;
d) il trasferimento agli = enti locali delle competenze per i rinnovi dei permessi di soggiorno e per l’ottenimento della carta di soggiorno, prevedendo adeguate risorse.<= /p>
<= /span>
6. E’ inoltre indispensabile intervenire per ottenere:
a) la regolarizzazione de= gli irregolari presenti sul territorio nazionale. La possibilità di usci= re dalla clandestinità e di ottenere il diritto al permesso di soggiorno per quanti possano dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro, così da dare impulso alla lotta al lavoro “nero”, rendere l’immigrato protagonista della propria “emersione” e, a un tempo, affermare un ruolo virtuoso dello Stato come copromotore di un proce= sso di riscatto sociale;
b) l’urgente approv= azione di una legge organica sul diritto d’asilo: solo l’Italia, tra i paesi più industrializzati, è ancora senza una legge quadro c= he tuteli i rifugiati secondo i dettami della Costituzione e dei trattati internazionali sottoscritti dall’Italia;
c) l’estensione del= diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni amministrative;
d) la riforma della legge sull’acquisizione della cittadinanza italiana che dia maggior peso al principio dello “jus soli”;
e) l’adeguamento del personale per gli uffici consolari (per dare una risposta alle lungaggini burocratiche imposte agli immigrati).
E’ del resto con profonda convinzione che sia= mo stati e siamo tra i protagonisti di una campagna internazionale su due importanti petizioni popolari: per la ratifica della convenzione Onu sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie e per l’istituz= ione della Cittadinanza di residenza europea.
7. Le discriminazioni istituzionali, sancite proprio dalle leggi, vanno rimosse con azioni riformatrici. In molti altri casi, si tratta di svantaggi che non rendono effettiva la parità di trattamento formalmente sancita: emblematico è l’andamento deg= li infortuni, che, a differenza degli italiani, per i lavoratori migranti &egr= ave; in forte crescita, a causa proprio delle tipologie di attività e contrattuali e alla non formazione riservata loro. Qui deve intervenire la capacità contrattuale innovativa del sindacato, che può valere per gli immigrati e più in generale per tutti i soggetti deboli, tan= to più quando questa disparità si somma all’essere donna. Ancor più degli uomini, le lavoratrici immigrate, anche se diplomate= o laureate, arrivano in Italia con una professionalità e un’esperienza di lavoro raramente riconosciute e sono costrette a lavorare, salvo poche eccezioni, nel settore dell'assistenza alle persone e alle famiglie o come addette alle pulizie; spesso presso una famiglia, con = un ciclo continuo di lavoro, nell’isolamento più completo e con i problemi connessi alla convivenza con il datore di lavoro. Esse sono un’importante risorsa sia per le famiglie, poiché spesso permettono, soprattutto alle donne italiane, la conciliazione fra lavoro professionale e famiglia, sia per l’economia del paese.
8. L’impegno della Cgil, forte anche della significativa presen=
za
di lavoratrici e lavoratori tra gli iscritti, così come tra i delega=
ti
immigrati, si esplicita principalmente nel versante contrattuale.
Noi siamo per affermare la parità di trattamento e di
cittadinanza, una parità effettiva, e quindi il profilo
dell’iniziativa sindacale dovrà rimuovere gli ostacoli alla
parità, dovrà connotarsi come azione contrattuale e rivendica=
tiva
antidiscriminatoria, sapendo che su questa strada il cammino è molto
impegnativo perché oggi si registrano condizioni discriminanti per i
lavoratori immigrati in tutte le sfere della vita sociale, dalla durata dei
contratti individuali di lavoro, al salario, agli ammortizzatori sociali, a=
lla
salute e sicurezza, al welfare nazionale e locale, alla casa fino al sistema
pensionistico. Deve essere chiaro che una maggiore qualificazione e
specializzazione delle aziende italiane passa anche per un diverso e pi&ugr=
ave;
giusto rapporto con l’immigrazione.
9. La complessità dei problemi e la concezione di confederalità della Cgil ci devono impegnare anche sul versante della formazione per combattere esclusioni, abbandoni, svantaggi scolastici e sfruttamento del lavoro minorile, così come concezioni e pratiche di assimilazione che assegnano un valore negativo agli apporti culturali delle comunità straniere, che stanno alimentando forme di autoseparazione con la nascita di asili nido e scuole materne su base etnic= a. Dobbiamo operare per un inserimento non solo rispettoso delle diversit&agra= ve; ma che permetta positive ibridazioni culturali, anche attraverso l’incremento dei mediatori linguistici nelle scuole e rafforzamento d= ei processi di educazione e d’istruzione degli adulti.
A tal fine è necessario sviluppare maggiorme= nte un rapporto crescente con le comunità esistenti nei vari territori.
10. La complessità dei problemi e del=
le
soluzioni impegna
TESI 7
UNO STATO SOCIALE INCLU=
SIVO,
EFFICIENTE E DI QUALITA’
In questi anni si &egra= ve; verificato un attacco con due diverse caratteristiche: da un lato un proces= so di svuotamento strisciante delle riforme realizzate negli anni precedenti c= on privazione di risorse, mezzi e strumenti per la loro realizzazione; dall’altro lato vere e proprie controriforme come la legge delega in materia pensionistica.
Caratteristica comune di tutti questi provvedimenti è la
volontà di determinare le condizioni nelle quali il privato aumenti
progressivamente i propri spazi, fino a condizionare ciò che
resterà di pubblico. Obiettivo del governo è stato quello di
colpire un modello economico e sociale proiettato verso la solidariet&agrav=
e;,
l’eguaglianza, la coesione sociale, un rapporto positivo tra le
generazioni: di affermare, cioè, una cultura secondo la quale
c’è incompatibilità fra politiche di welfare e politich=
e di
sviluppo, producendo una conseguente precarizzazione sociale, una crescita
dell’insicurezza, il rischio di una lacerazione profonda nelle relazi=
oni
e nel legame sociale.
Tutto ciò si &egra= ve; accompagnato a una più marcata connotazione integralista di alcune d= elle scelte compiute. È il caso della svolta in senso punitivo sulle toss= icodipendenze con l’annullamento, di fatto, del principio della riduzione del danno= e la mortificazione dell’azione svolta fino ad ora nella prevenzione e = nel recupero. O ancora il disegno di legge sulla psichiatria, con il quale si tornerebbe a produrre stigma, pregiudizio, separazione, paura.
Tra l’altro, leggi = come queste sulle tossicodipendenze o sulla psichiatria non farebbero altro che aggravare, più di quanto sia già oggi, la condizione delle carceri, dal momento che la popolazione carceraria rappresenta sempre più quella parte di società collocata ai suoi margini: senza fissa dimora, tossicodipendenti, immigrati clandestini. È negato il diritto alla salute, aumentano i casi di suicidio, il sovraffollamento ha raggiunto livelli inaccettabili.
2.
2.1. I prossimi anni dovranno pertanto essere caratterizzati da un grande investimento sul primo e vero patrimonio del nostro paese: le person= e.
Investimento che affermi = il diritto al sapere, alla formazione permanente, il diritto al benessere, il diritto a un sistema di tutele che sia in grado di accompagnare la persona = nel ciclo di vita rendendola più forte.
2.2. Un welfare improntato a un’idea di Stato= laico che sappia riconoscere e valorizzare le differenze, che sappia rispondere ai bisogni delle diverse famiglie, senza la pretesa di definire “il modello” di famiglia, di convivenza accettabile, di affetti ammissibi= li a tutela pubblica. Ciò rappresenta anche la condizione per costruire u= na società che dia nuovamente senso alle parole uguaglianza e libertà.
3. Se l’investimento nel welfare è indispensabile per realizzare un nuovo modello di sviluppo, allora il tema risorse pubbliche ad esso dedicate diventa di assoluta priorità. E’ urgente un reale incremento d= elle risorse ad esso destinate, recuperando in primo luogo il divario tuttora presente e in aumento tra la spesa sociale italiana rispetto a quella degli altri paesi europei. Ciò, naturalmente, non è compatibile con l’idea di ridurre il gettito fiscale e con l’idea del “travaso”, ridurre cioè la spesa di singoli capitoli, ad esempio quello pensionistico, a vantaggio di altri, di fronte a una realtà che ha visto comprimere ogni capitolo di spesa, da quella previdenziale, a quella sanitaria, a quella per l’assistenza, a quella per la casa. Risorse necessarie anche per recuperare il continuo taglio agli stanziamenti per Regioni ed enti locali che ha caratterizzato gli ultimi quattro anni, rendendo difficile non solo l’ampliamento ma anche il mantenimento quali-quantitativo dell’insieme dei servizi socio-sanita= ri.
3.1. Riaffermiamo la centralità del ruolo del sistema pubblico e del suo operare attraverso i criteri di efficacia, di efficienza e di economicità. Da questo punto di vista è decis= iva la sua funzione di razionalizzazione dell’offerta di prestazioni, sul= la base di una lettura della domanda che ne evidenzi l’appropriatezza e l’essenzialità.
La funzione del pubblico = non sta solo nella programmazione e nella definizione delle regole e degli standard qualitativi, ma nella gestione stessa dei servizi, a partire dalla sanità e dall’istruzione. Qui, infatti, affidarsi alle sole re= gole del mercato significa creare disuguaglianze, iniquità, selezione deg= li aventi diritto sulla base del censo e della cultura.
Inoltre se si procede, co= me in questi ultimi anni è accaduto in alcune realtà, attraverso appalti, esternalizzazioni, cessioni di servizi a privati, project financin= g, sperimentazioni gestionali pubblico-privato funzionali alla logica di riser= vare al pubblico solo il cosiddetto core business, alla lunga si rende improbabile l’esercizio anche della funzione programmatoria, come l’esperienza concreta sta documentando.=
Occorre, quindi, definire obiettivi e priorità che diano senso a un nuovo e moderno sistema di welfare.
4. Una delle priorità è consentire ai giovani l’accesso al sistema di protezione sociale da cui oggi molti di loro = sono sostanzialmente esclusi. Il paradosso è che proprio di fronte a una diffusa precarizzazione dei rapporti di lavoro e alla discontinuità = nel reddito, che necessita di nuove e maggiori tutele, sono proprio i giovani e= le giovani coppie che incontrano insopportabili difficoltà nell’accesso all’abitazione, al credito, ai servizi, alla possibilità di scegliere consapevolmente di fare i figli voluti.
Oltre a una politica di s= ostegno al reddito, occorre che nel territorio siano strutturati interventi integra= ti, in grado di rispondere anche alle difficoltà temporanee, sia di tipo economico (vedi prestito d’onore), sia con i servizi, tra i quali lo sviluppo di un mercato sociale dell’affitto capace di soddisfare una grande e crescente domanda inevasa.
Per un numero crescente di giovani – ma anche d’anziani a basso reddito, immigrati, lavora= tori in mobilità per ragioni di lavoro, famiglie monoreddito – l’incidenza dei costi dell’abitare sul reddito (affitto, mutui, tariffe) ha raggiunto livelli tali da condizionare pesantemente i consumi d= elle famiglie e divenire ragione di crisi per la crescita del paese. Non è rinviabile, dunque, un piano d’investimenti pubblici e in partecipazi= one con soggetti privati, della cooperazione e del no profit, mirato prioritariamente ad allargare l’offerta abitativa in affitto a canone sociale agevolato.
4.1. È evidente che la mancanza di ammortizz= atori sociali, di un sostegno alle situazioni di povertà e discontinuità nel reddito, di una politica per le famiglie, rischia = di aggravare l’ansia anche verso un sistema previdenziale che non garant= isce più le prestazioni del passato, perché le carenze di sostegni adeguati durante la vita attiva si ripercuotono inevitabilmente anche sulle prestazioni per la vecchiaia, con un impatto ancora più pesante.
Infatti un sistema legato= alla rigida corrispondenza tra quanto versato in tutta la vita lavorativa e il rendimento pensionistico finale, se inserito in un contesto del mercato del lavoro più precario, senza tutele, e con redditi bassi per un lungo periodo produce un abbassamento del tasso di solidarietà interno che compromette anche l’equità, tanto da produrre una quantit&agra= ve; insopportabile di situazioni a rischio di vere e proprie povertà. A ciò sono particolarmente esposti i lavoratori e lavoratrici con contratto di lavoro atipico, a partire dai parasubordinati.
È altrettanto evid= ente che in una situazione siffatta rischia di rimanere compromessa anche l’id= ea della previdenza complementare come noi l’abbiamo voluta e come la vogliamo difendere, volontaria ed effettivamente integrativa di una previde= nza pubblica che rimane il pilastro fondamentale, perché si riduce, anziché ampliarsi, l’area delle persone che possono aderirvi c= ome scelta volontaria, impediti non da un fattore culturale, ma dal reddito, da= lla precarietà.
4.2. La stessa riforma delle pensioni del 1995, che= pure garantisce omogeneità e sostenibilità economica nel tempo, anticipando riforme a cui guardano anche altri paesi europei, lascia irriso= lto questo problema, per l’abbassamento del tasso di solidarietà interno al sistema. Infatti, va reso più esplicito che accanto agli aspetti di sostenibilità finanziaria devono sempre stare, in modo indissolubile, quelli di sostenibilità sociale.
Oggi la priorità &= egrave; contrastare la legge approvata nel 2004 dal governo attuale, che non risolv= e ma accentua tutti questi problemi e, al contrario occorre rafforzare e integra= re gli strumenti della riforma del ’95 e intervenire sulla “adeguatezza” dei redditi pensionistici in due direzioni: in pr= imo luogo verso i già pensionati (e verso coloro che lo saranno in futur= o), che subiscono da oltre 10 anni una costante e progressiva erosione del loro potere d’acquisto adeguando l’automatica rivalutazione dell’intera pensione all’inflazione reale, anche rivedendo il paniere Istat, e realizzando quanto già contenuto e non ancora attua= to nella “riforma Dini” circa la redistribuzione contrattata della ricchezza prodotta nel paese sui redditi pensionistici.
4.3. In secondo luogo bisogna agire sulle parti più deboli del sistema ossia, i lavoratori e le lavoratrici con carr= iere discontinue e a basso reddito e i giovani che sono inseriti nel sistema di calcolo contributivo. Ciò significa garantire una pensione pubblica dignitosa, avviare una grande operazione di stabilizzazione dei rapporti di lavoro, d’innalzamento dei redditi bassi e di ripristino della flessibilità in uscita compromessa dalla controriforma del governo.<= /p>
Occorre prevedere la cope= rtura figurativa piena per tutti i periodi coperti da ammortizzatori, per quelli di congedo parentale e = per il lavoro di cura: ciò se veramente si vuole incentivare il lavoro femminile e nello stesso tempo arrivare a una vera e sostanziale parit&agra= ve; nelle responsabilità familiari. Inoltre, occorre realizzare la totalizzazione dei contributi; la non penalizzazione del part-time ai fini = pensionistici; la riduzione a un importo pari all’assegno sociale della soglia per p= oter avere la liquidazione della pensione prima dei 65 anni; l’estensione = ai lavoratori parasubordinati dell’insieme dei diritti sociali, a partir= e da una piena tutela in materia di malattia, maternità, infortuni, indennità di disoccupazione e sostegno al reddito; il sostegno ai ba= ssi redditi, sia fiscalizzando tutta o parte della contribuzione, sia rafforzan= do il loro rendimento ai fini pensionistici. Si tratta, inoltre, di impedire c= he il rapporto tra la pensione e il precedente reddito da lavoro si abbassi ulteriormente, anche eliminando situazioni di dumping tra i lavoratori in relazione alle diverse aliquote contributive, realizzando la parificazione dei diritti e una progressiva ma reale armonizzazione delle aliquote che innalzi anche quelle= del lavoro autonomo.
Va confermata la scelta volontaria alla pensione integrativa mantenendo la distinzione tra il rispa= rmio individuale verso le polizze assicurative e la previdenza complementare col= lettiva, che va agevolata nel prelievo fiscale sui rendimenti annui e non sulla rendita finale che, al= pari di quella pubblica, deve essere assoggettata a imposizione progressiva. La contrattazione e la gestione dei fondi negoziali devono poi agevolare lR= 17;adesione dei lavoratori con rapporti di lavoro atipici e prevedere anche una mutualità interna che contribuisca a ridurre gli ostacoli che oggi rendono difficile l’esercizio di questa opportunità. E’ importante estendere i profili d’investimento socialmente responsabil= i e quelli con rendimento garantito, soprattutto per le quote di Tfr investito. Infine, ancora carente è la tutela prevista nel caso di trasformazio= ne del montante contributivo in rendita anche per il permanere della distinzio= ne, fatta dalle assicurazioni, tra uomini e donne per l’interpretazione d= ata alle proiezioni sulle aspettative di vita. Si ritiene che una maggiore protezione sarebbe realizzabile se la gestione delle rendite fosse permessa anche agli enti previdenziali pubblici, che potrebbero meglio garantire lo stesso adeguamento della rendita all’inflazione.
4.4. Rafforzare gli elementi solidaristici del sist= ema previdenziale significa anche ripensare la necessità di utilizzo di risorse generali da immettere nel sistema, per evitare che la solidarietà sia solo tra chi contribuisce. Nell’ambito della vertenza più generale per un fisco equo, va equiparata la no tax area relativa ai pensionati a quella dei lavoratori attivi. Rafforzare la solidarietà significa rendere esigibili i diritti dei lavoratori immigrati e rimuovere le norme discriminatorie. Occorre realizzare le convenzioni con i paesi di origine per garantire la reciprocità nei diritti sociali e previdenziali e sancire il diritto dei lavoratori immigra= ti che lasciano l’Italia per sempre alla liquidazione dei contributi versati.
5. Occorrono politiche capaci di utilizzare sia sul piano socia= le che su quello economico le risorse degli anziani.
Le politiche neoliberiste interpretano il concetto d’invecchiamento attivo con un’unica soluzione: aumento obbligatorio dell’età pensionabile. Soluzio= ne non solo sbagliata in quanto tale, ma anche perché non in grado di affrontare il rischio di estraneazione dalla vita attiva, dalla partecipazi= one sociale e dalla vita politica di una quota crescente di popolazione.
Una seria politica per l’invecchiamento attivo richiede, in realtà, diverse misure.= p>
In primo luogo è di fondamentale importanza predisporre una rete di servizi socio-sanitari capa= ci di garantire benessere e affrontare i bisogni derivanti dalle situazioni di maggiore fragilità, in particolare per le persone non autosufficient= i o a rischio di non-autosufficienza. In secondo luogo una politica d’invecchiamento attivo richiede l’incremento dei tassi d’attività per tutti, che sappia contrastare anche l’espulsione precoce dal mercato del lavoro che oggi colpisce fasce sempre più giovani di lavoratori a partire dagli over 45. Inoltre bisogna predisporre politiche che siano in grado di consentire al lavorator= e, qualora lo decida liberamente, di continuare l’attività lavora= tiva dopo aver maturato i diritti pensionistici. Ciò significa agire sull’organizzazione del lavoro e la regolazione dei rapporti di lavor= o; sulla possibilità d’uscita morbida dal lavoro con part-time e pensione; sulla formazione come apprendimento lungo tutto l’arco della vita; sulla possibilità di prevedere forme d’affiancamento, trasmissione di competenze, tutoraggio, attuati dagli anziani a favore dei giovani alle prime esperienze.
6. Occorre insistere per una società nella quale servizi= e organizzazione dei tempi della città e orari di lavoro facilitino le relazioni tra soggetti e nelle famiglie.
Decisive per le donne, ad esempio, sono le politiche sociali di sostegno all’occupabilità= ;, in grado di favorire la realizzazione degli obiettivi di Lisbona.
Perciò si devono i= nvestire risorse sui servizi destinati al supporto del lavoro di cura, che ricade an= cora oggi prevalentemente sulle donne, affinché possano essere d’incentivo anche alla condivisione delle responsabilità familiari. Ciò vuol dire, ad esempio, che la responsabilità sociale dello Stato non è quella di sostenere la famiglia col bonus = da spendere sul mercato.
Anche la politica fiscale= deve essere di sostegno alle famiglie. Riteniamo che la logica del quoziente familiare non sia adeguata né sufficiente perché finisce per favorire i redditi più alti; occorre invece che, attraverso la leva fiscale, vengano rimodulati i sostegni economici in relazione alla composiz= ione del nucleo familiare e alla condizione reddituale, ma anche finanziati serv= izi capaci di ridare qualità al sistema di welfare a partire dalle priorità di maggiori risorse, piena integrazione socio-sanitaria, adeguate politiche formative e di sostegno all’infanzia e ai minori; = non autosufficienza, lotta alla povertà.
6.1. E quando parliamo di servizi per la prima infanzia pensiamo a luoghi di socializzazione in cui si crea un contesto educativo in grado di sviluppare le potenzialità di crescita affettiva, cognitiva e relazionale – e quindi superando il concetto di servizi a domanda individuale –, rilanciando l’obiettivo, stabilito dalla Ue a Lisbona, di raggiungere entro il 2010 il 33% di offerta formativa nella fas= cia 0-3 anni e la reale generalizzazione da subito delle scuole dell’infa= nzia, dando priorità alle strutture pubbliche. È un approccio oppos= to a quello con il quale il governo ha impostato, ad esempio, la questione dei n= idi aziendali, delineando un modello nel quale l’aspetto essenziale &egra= ve; soltanto la custodia del bambino e non la sua crescita e il suo sviluppo. V= anno poi rimosse immediatamente le liste di attesa per le iscrizioni alle scuole d’infanzia pubbliche. Ribadiamo, inoltre, il giudizio negativo sulla logica degli anticipi, affermata e sollecitata dai provvedimenti del govern= o, perché complica l’identità pedagogica e organizzativa della scuola dell’infanzia e apre la strada a una forzatura dei tempi dell’apprendimento, senza rispettare i tempi e i ritmi di crescita dei bambini.
7. Il carattere di universalità e di esigibilità = dei diritti va riaffermato nello stesso sistema socio-sanitario. Molti studi pongono in evidenza la crescita del numero delle persone in stato di povertà e la crescita dell’area della “vulnerabilit&agra= ve; sociale”, di persone e famiglie che possono trovarsi, improvvisamente= (ad esempio a causa di licenziamento, sfratto, malattia grave), in una condizio= ne di disagio o deprivazione, frutto anche dell’accentuarsi delle disuguaglianze che caratterizzano la fase attuale dello sviluppo.
Per questo è particolarmente grave la scelta dell’attua=
le
governo di cancellare l’esperienza del Reddito minimo d’inserim=
ento
e di aver ritardato, in molte sue parti, l’applicazione della legge di
riforma dei servizi sociali.
Riproponiamo l’introduzione una misura che abbia caratteristic=
he
analoghe al Reddito minimo di inserimento, superando l’anomalia per c=
ui
l’Italia – insieme alla Grecia – è l’unico p=
aese
europeo privo di uno strumento di contrasto della povertà e
dell’esclusione ed è fra quelli che registrano il tasso pi&ugr=
ave;
alto di povertà minorile.
Inoltre, la crescita della società multietnica determina nuovi
bisogni e necessita di nuove tutele anche sanitarie, in particolare verso g=
li
immigrati che non sono ancora regolarizzati. È una condizione, quest=
a,
che somma al rischio per la loro salute, le occasioni di esclusione.
Contrastare la vulnerabilità sociale vuol dire dichiarare gue=
rra
all’analfabetismo, perché l’esclusione è un fenom=
eno
che ha alle spalle scarse o nulle competenze scolastiche.
8. Occorre=
dare
piena attuazione alla legge di riforma del sistema integrato dei servizi,
affinché la programmazione sanitaria e quella sociale siano strettam=
ente
correlate per dare risposte adeguate alle diverse forme di disagio sociale e
alle vecchie e nuove patologie come, tra l’altro, già previsto
dalla legge 229 di cui continuiamo a difendere i principi.
8.1 Il sistema territoriale è l’elemen= to su cui operare una vera e propria svolta. Infatti il punto critico del nostro servizio sanitario nazionale sta proprio in una concezione ancora troppo os= pedalocentrica, nella permanente carenza dei servizi dedicati alla prevenzione e in un’ancora insufficiente rete di interventi territoriali e distrettual= i. È qui che bisogna cambiare. Cresce, infatti, una domanda di servizi sanitari dedicati prevalentemente alle forme di cronicità e d’assistenza socio-sanitaria. Una risposta a questo fenomeno attraver= so una tradizionale politica di “posti letto” si rivela sempre più costosa e non soddisfa i reali bisogni dei soggetti interessati.= E i costi non possono gravare sui cittadini con l’utilizzo dei voucher e l’applicazione dei ticket, di cui chiediamo l’abolizione.
E’ il territorio-di= stretto il luogo nel quale s’intercettano i bisogni, s’interpreta la domanda d’assistenza, si portano i servizi vicino alle persone in for= ma partecipata, con un potenziamento dei servizi di prevenzione, cura, riabilitazione in grado di rispondere alle vecchie e nuove patologie, potenziando le cure domiciliari e le strutture territoriali per le cure primarie. Occorre poi la definizione di percorsi terapeutici capaci di garantire la continuità assistenziale delle cure dalla fase dell’acuzie clinica a quella post-acuta, improntando la politica dei farmaci e della diagnostica al concetto di appropriatezza con l’elabo= razione di linee guida e protocolli diagnostico-terapeutici condivisi.
8.2 E’ essenziale tornare a investire nella prevenzione per creare ambienti di lavoro e di vita salubri, eliminare le condizioni di rischio a partire dai posti di lavoro, sostituire le sostanze tossiche o pericolose.
8.3 Assoluta priorità va poi data alle politiche di prevenz= ione e di sostegno alle situazioni di non autosufficienza. Si tratta, infatti, di far fronte a un fenomeno le cui caratteristiche e quantità rappresentano, già oggi e sempre più in avvenire, una vera e propria emergenza per milioni di persone e di famiglie.
A tal fine ribadiamo la necessità della costituzione di un fondo nazionale per la non autosufficienza che garantisca la fruibilità e l’esigibilità dei servizi su tutto il territorio nazionale, naturalmente prevedendo che nelle Regioni si possano attuare forme e modi di implementazione del fondo stesso.
Tutto ciò consente di superare una debolezza tipica del nostro sistema di welfare, caratterizzato prevalentemente dai trasferimenti monetari e non da= una diffusa offerta di servizi.
8.4 Se è la dimensione locale = quella che consente di progettare azioni integrate e di personalizzare interventi capaci di sostenere i percorsi di autonomia delle persone, è in ques= to contesto che si deve investire in nuove forme di sicurezza sociale, in formazione e sapere anche per contrastare i crescenti fenomeni di analfabetismo, in una politica delle abitazioni, superando le tradizionali politiche di settore. L’obiettivo non è solo di assistere ma di ricostruire legami sociali e attraverso essi un’idea di comunit&agrav= e;. In tal modo, ad esempio, l’handicap non è circoscrivibile a un problema privato di chi ne è portatore o portatrice, o della sua famiglia, ma può entrare in circolo come risorsa di cultura, di resp= onsabilità, questione su cui cresce un apprendimento collettivo. È così c= he può svilupparsi la sua autonomia e indipendenza nel lavoro e nella società.
Poniamo = quindi l’esigenza di un grande investimento per la valorizzazione delle professionalità socio-sanitarie e del lavoro di cura, come presuppos= to per una qualificazione dell’intero servizio. Investimento che richied= e un riconoscimento in termini retributivi e di diritti. Da questo punto di vista diventa necessario ragionare di indicatori della ricchezza oltre i termini = e le forme tradizionali: quantificare, ad esempio, quanto il lavoro di cura, retribuito e non retribuito, incide sul Pil comporterebbe una rivisitazione= di tanti parametri, non ultimi quelli stabiliti a Maastricht.
10. Proprio il valore che noi attribuiamo alla dimensione local= e, non subita ma assunta come decisiva per conoscere la realtà e la dimensione dei bisogni, conferma la nostra= azione di contrasto verso la riforma costituzionale in via di approvazione. È, questo, un atto che produce una rottura dell’unità del paese e del carattere universalistico delle prestazioni sociali; si approfondiscono le disuguaglianze territoriali; si afferma un’idea della sussidiarietà tra i diversi livelli istituzionali in cui lo Stato rinuncia a funzioni e competenze decisive nei campi fondamentali della sanità e dell’istruzione. Si afferma = un principio di competizione tra le diverse realtà territoriali a scapi= to, naturalmente, di quelle meno forti economicamente e socialmente. Anzich&eac= ute; una sinergia tra i diversi attori economici, pubblici, privati, no-profit, = si afferma una subalternità e un arretramento del pubblico in un campo<= span style=3D'mso-spacerun:yes'> delicato come quello della produzi= one di servizi e prestazioni sociali. In questa ottica il pubblico è sussidiario al privato.
10.1 Per noi, al contrari= o, sono proprio universalismo ed equità che danno senso e valorizzano la dimensione locale. Per questo è importante che lo Stato definisca i diritti e la loro esigibilità, attraverso la definizione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e il corredo di risorse per renderli realizzabili su tutto il territorio, superando i gravi squilibri che penalizzano in particolare i cittadini del Mezzogiorno; alle Regioni e agli enti locali spetta l’organizzazione della loro fruibilità. Il prelievo regionale e locale deve integrare tali risorse e coprire servizi aggiuntivi a quelli previsti dai livelli essenziali.
In questo modo si fa conv= ivere l’interesse e la solidarietà nazionali, con la vitalità= di sistemi territoriali che rendono il loro welfare fattore di sicurezza e di sviluppo.
10.2 Un ruolo efficace, autorevole, del pubblico consente di integr= are e valorizzare le esperienze del privato, profit e no-profit, evitando, come invece accade oggi, che esse vengano utilizzate per comprimere i costi dei servizi e come strumento di dumping contrattuale; ciò può ess= ere superato anche attraverso la costruzione di contratti di settori che riguar= dino lavoratori pubblici e privati con l’obiettivo dell’omogeneizzaz= ione dei trattamenti contrattuali normativi ed economici. Un nuovo e diverso rapporto tra pubblico e privato può configurarsi, invece, attraverso= lo strumento dell’accreditamento.
Alcune regioni hanno operato affinché strutt= ure private entrassero nel “mercato” del socio-sanitario, indipendentemente da ogni accertamento sui requisiti di legge e con l’unico obiettivo di spostare risorse dal pubblico al privato. Un uso corretto e razionale dell’accreditamento consente di ribaltare questa logica. L’accreditamento infatti va subordinato alla programmazione r= egionale e al possesso di requisiti di qualità e di appropriatezza delle prestazioni. È così che si evitano costi pesanti alla collettività e il privato s’integra agli indirizzi definiti da= lla programmazione regionale. Inoltre, le politiche di corresponsione di buoni e voucher alle famiglie vanno ripensate proprio per evitare che, invece di es= sere elemento di “personalizzazione” nell’offerta di servizi, diventino semplicemente un veicolo per il ridimensionamento dell’offe= rta pubblica di questi e veicolo strisciante di privatizzazione e mercificazioni degli stessi.
&nbs= p;
11. Nel territorio, inoltre, pu&o= grave; e deve trovare espressione piena la partecipazione democratica dei cittadin= i e delle loro associazioni. Non solo per esercitare una puntuale verifica sull’attività svolta e sulla qualità delle prestazioni erogate ma anche per affermare un principio: il destinatario di un servizio è portatore anche d’idee, competenze, risorse che possono e de= vono entrare in una compiuta relazione con il servizio stesso. Da questo punto di vista la partecipazione è parte fondamentale del servizio stesso. Occorre applicare positivamente quanto previsto dall’articolo 118 del= la Costituzione, che assegna allo Stato, alle Regioni e alle città metropolitane il compito di favorire l’autonoma iniziativa dei cittad= ini, singoli e associati, per attività di interesse generale. E’ qu= esto il terreno su cui si rafforza il ruolo del volontariato, dell’associazionismo e della cooperazione sociale, in quanto soggetti= in grado di intercettare e interpretare le esigenze della comunità loca= le e fornire proposte e progetti adeguati a soddisfarle. Il protagonismo e la partecipazione effettiva delle forze sociali e del terzo settore alla realizzazione di un’efficiente rete di servizi richiede una amministrazione pubblica forte ma non autoreferenziale, che incoraggi, sost= enga e regoli l’iniziativa di chi s’impegna nella società civ= ile, che indichi e faccia rispettare parametri di qualità dei servizi al = fine di soddisfare i bisogni dei cittadini e i diritti di chi lavora, e di utili= zzare al meglio le risorse di coloro che dedicano una parte del loro temo al lavo= ro volontario.
12. Tutto questo rende necessario dare forza e qualità a= lla contrattazione. Per rendere sempre più concreta ed efficace la batta= glia del sindacato per la difesa e l’estensione dei diritti diventa fondamentale la contrattazione territoriale sulle politiche sociali. In pri= mo luogo, perché qui si contrattano temi e questioni sempre più centrali per la qualità della vita delle persone e delle famiglie. In secondo luogo, la contrattazione deve essere sempre più confederale e capace di rendere piena la partecipazione dei soggetti interessati, a parti= re dallo Spi e dalle categorie, in particolare quelle che rappresentano i lavoratori direttamente coinvolti. In tal modo la titolarità negozia= le di ogni struttura acquista più forza e qualità in quanto real= izza “confederalità”, la capacità cioè di rappresentare interessi diversi e portarli a sintesi: lavoratori, operatori, utenti, giovani, donne, anziani, migranti. Interessi diversi che vanno rappresentati in un progetto capace di tutelare ed estendere i diritti civi= li e sociali, individuali e collettivi.
E’ in questo = contesto che va sviluppata l’azione di tutela individuale indispensabile a garantire l’esigibilità dei diritti civili e sociali individua= li e collettivi, attraverso un sistema di servizi integrato, fortemente connesso all’azione confederale e delle categorie.
TESI 8  =
; &n=
bsp;  =
; &n=
bsp;  =
; &n=
bsp;  =
; &n=
bsp;
=
LE POLITICHE CONTRATTUALI=
1. La nostra proposta sulle politiche contrattuali deve essere rigorosa e funzionale all’insieme della linea politica assunta su tut= to ciò che riguarda la nostra rappresentanza e il nostro ruolo di sinda= cato generale.
Essa non può presc= indere da luci e ombre che hanno caratterizzato i risultati della contrattazione n= egli anni più recenti.
1.1 Vi è stata mediamente una dinamica delle retribuzioni nette inferiore a quella inflazionistica, per effetto di un’iniqua politica fiscale e per la mancata restituzione del fiscal drag che ha prodotto una r= eale erosione delle retribuzioni, nonché per un’esigua distribuzione della produttività. A ciò va aggiunto un sistema parametrale e d’inquadramento fermo nel tempo; il ritorno a un addensamento sostanz= iale nei livelli di minor professionalità, collegato al diffondersi di va= rie forme di lavoro precario e atipico; il sistematico ritardo nei rinnovi dei Ccnl, per responsabilità delle controparti pubbliche e private che h= anno di fatto prodotto un allungamento dei tempi di rinnovo; la mancata revisione del meccanismo di calcolo dell’inflazione riferita ai meccanismi Ista= t e quindi alla composizione e al peso delle voci del paniere.
1.2 Contro questi effetti
negativi, che hanno pesato sulla tenuta dei salari,
2. La contrattazione di secondo livello nell’ultimo decen= nio è stata prevalentemente insufficiente, con risultati diversificati all’interno delle categorie e fra Nord, Centro e Sud, e ha risentito dell’incidenza della profonda crisi industriale, in particolare degli ultimi 4 anni.
2.1 I dati disponibili in= dicano una copertura media nazionale pari a un terzo dei lavoratori e delle lavoratrici e sull’insieme dei comparti. I risultati ottenuti evidenz= iano differenze qualitative e quantitative fra aziende, settori e territori, anc= he per le diverse modalità e struttura contrattuale con le quali si è esercitata la contrattazione decentrata.
2.2 Nel pubblico impiego,= nei settori dell’istruzione, dell’università e della ricerca= la generalizzazione della contrattazione decentrata è stata resa possib= ile dalla definizione per legge del sistema della rappresentanza sindacale e de= lle Rsu.
Oggetto della contrattazi= one è stato l’intervento sull’insieme delle condizioni delle prestazioni del lavoro, sulle questioni retributive e professionali, messe = in discussione anche dal taglio dei trasferimenti finanziari al sistema delle autonomie locali e dall’attacco al sistema dell’istruzione e de= lla ricerca pubblica.
2.3 Nello stesso settore dell’impiego pubblico si assiste a un attacco al sistema contrattuale attraverso il tentativo di tornare indietro dalla contrattualizzazione del rapporto di lavoro, che rimane punto fermo per il sindacato, per un sistema fatto di interventi legislativi che snaturano il ruolo e la funzione della contrattazione in nome di “un primato” dell’interesse del= la politica non solo sulle tematiche relative al rapporto di lavoro (come &egr= ave; successo per il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco o come il governo inte= nde prefigurare per i docenti, dopo la cancellazione della contrattazione e del= le Rsu), ma con la massiccia estensione dello spoils system, che stravolge i princìpi d’imparzialità e di interesse generale sui qua= li si basa l’agire pubblico.
3. I limiti più evidenti di cui dobbiamo prendere atto riguardano il ruolo e lo sforzo esercitato su tutto ciò che attiene l’organizzazione del lavoro e i cambiamenti prodotti dai numerosi processi di ristrutturazione, trasformazione, ed esternalizzazione che hanno modificato e frantumato buona parte del sistema delle imprese nell’ul= timo decennio. A ciò va aggiunto l’insufficiente coinvolgimento nel= la contrattazione delle nuove e diverse forme di lavoro.
3.2 Tali processi hanno contribuito a indebolire il nostro ruolo contrattuale, e a favorire in molte realtà fenomeni che devono essere rigorosamente contrastati, in particolare:
a) l’introduzione d= i doppi regimi contrattuali, che hanno contrapposto lavoratori in forza a lavorator= i di futura assunzione;
b) aumenti salariali lega= ti a parametri, indici e obiettivi non verificabili, che hanno impedito alle Rsu di esercitare un controllo reale sulla prestazione lavorativa;
c) l’insufficiente = rapporto fra contrattazione del salario e controllo di orari, ambiente, organizzazio= ne del lavoro;
d) frequenti erogazioni unilaterali.
4. E’ ormai un dato incontestabile il fatto che in Italia= si è verificato uno spostamento della ricchezza prodotta verso i profit= ti e le rendite e che le retribuzioni hanno complessivamente subito un arretrame= nto tra i più significativi in Europa.
4.1 Tutto questo in una f=
ase in
cui il processo di ristrutturazione delle imprese a livello globale ha
indebolito, spiazzandoli, i sistemi di regolazione legislativa nazionale
provocando una tendenza alla decontrattualizzazione dei rapporti tra capita=
le e
lavoro.
Ciò che s’in= tende imporre è l’assunzione di un modello di competitività basato sulla compressione dei costi e dei diritti quale valore assoluto nell’evoluzione aziendalistica delle relazioni industriali.
4.2 La legislazione, di m= atrice “liberista”, enfatizza il processo di frantumazione della forma impresa, nella moltiplicazione delle tipologie dei rapporti di lavoro e nel rapporto diretto fra azienda e singolo lavoratore. Nella tendenza all’= ;individualizzazione del rapporto di lavoro, così come nella frammentazione delle figure giuridiche d’impresa, sta la crisi della stessa “forma-contratto” quale compromesso fra interessi diversi e asimmetrici, asimmetria che sta alla base dell’organizzazione collett= iva degli interessi più deboli.
4.3 Vi è quindi la necessità di far fronte alla linea di decontrattazione e di individualizzazione, attraverso il superamento e la sostituzione di tale legislazione “liberista”.
4.4 Anche per queste ragi= oni il sindacato deve saper mettere in campo una proposta alta di politica contrattuale, per ristabilire autorità negoziale, autorità salariale, autorità normativa, a tutti i livelli della contrattazion= e e per tutte le tipologie di lavoro, in linea con le nostre politiche sul merc= ato del lavoro.
5. Il nostro congresso si caratterizza nella centralità = del valore del lavoro. La politica contrattuale, le sue funzioni, i suoi compit= i e il ruolo del sindacato ne sono una parte determinante.
5.1 Il nostro punto di riferimento deve essere il lavoro e le opzioni prodotte in questi anni, che hanno avuto la loro massima espressione all’assemblea di Chianciano n= el maggio del 2004 e nel documento del Direttivo nazionale del 30 settembre 20= 04.
5.2 Occorre rilanciare una campagna di rinnovata politica contrattuale, in grado di riunificare il val= ore del lavoro, che abbia carattere acquisitivo e non solo difensivo, sia per le retribuzioni che per i diritti, rivendicando altresì investimenti per l’innovazione di prodotto e di processo quale fattore determinante per assicurare qualità e continuità produttiva e salvaguardia dell’occupazione.
6.
Pertanto
6.1 Ferma restando la necessità di rivendicare e verificare una nuova e diversa politica redistributiva a sostegno del lavoro dipendente e l’intervento per la fiscalizzazione contributiva dei salari più bassi, il contratto collettivo nazionale di lavoro rimane lo strumento universale e indispensab= ile per concorrere alla difesa e all’incremento del potere d’acquis= to delle retribuzioni e per aumentare i salari contrattuali, nonché per garantire pari diritti su tutto il territorio nazionale, per tutte le lavoratrici e i lavoratori.
6.2 Occorrono regole, par= ametri e criteri certi di riferimento per tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro, a partire dall’inflazione effettiva e prevedendo altres&igrav= e; l’utilizzo di quote di produttività, affinché le catego= rie, nella loro autonomia, definiscano le piattaforme per i rinnovi dei Ccnl, al fine di stabilire le richieste salariali e dare risposte alle esigenze di modifica delle parti normative e alla revisione degli inquadramenti professionali.
6.3 Per incrementare il r= eale potere d’acquisto ed estendere i diritti, vanno respinte regole e mod= elli che portano a un federalismo contrattuale finalizzato a determinare differe= nze per aree geografiche e territori, oltre a ridurre la possibilità di accrescere le condizioni di parità di trattamento e di tutela per tu= tti i lavoratori e le lavoratrici, indipendentemente dalle caratteristiche del rapporto di lavoro.
6.4 Il livello nazionale = della contrattazione non va depotenziato, alla luce degli assetti istituzionali e della titolarità delle competenze introdotte già con la rifor= ma del titolo V° della Costituzione e attribuite alle Regioni e alle Auton= omie Locali soprattutto a seguito dell’inaccettabile ipotesi di stravolgim= ento della Costituzione, in particolare con la “devolution” in tema = di sanità e assistenza; istruzione; polizia locale.
6.5 Il contratto nazionale rimane garante= delle modalità concrete con le quali la valorizzazione del lavoro contribu= isce all’uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazion= ale. Anche queste motivazioni raff= orzano la nostra contrarietà al cosiddetto “federalismo contrattuale”.
6.6 Al contrario, occorre un progetto che indichi modalità e qualità di riaggregazione del ciclo produttivo, per consentire parità di costi contrattuali e contributivi. Riduzione significativa delle tipo= logie e del numero dei contratti, definendo percorsi condivisi per regole che vincolano l’individuazione delle aree o delle filiere contrattuali di riferimento, al fine di consolidare la contrattazione sull’intera organizzazione del lavoro, evitando la pluralità contrattuale e rispondendo alle nostre proposte di politiche produttive e di sviluppo.
6.7 Il ricorso a continue esternalizzazioni e frantumazioni, ad appalti e subappalti prevalentemente = per ridurre il costo del lavoro e introdurre precarietà, ha contribuito = ad attivare un insopportabile dumping contrattuale. Una nuova e più incisiva legislazione sugli appalti può contribuire alla difesa di diritti, salute, sicurezza, legalità.
7. Per rafforzare l’autorità normativa occorre inoltre:
7.1 Realizzare un sistema informativo in un quadro di democrazia industriale in grado di rendere esigibile il diritto alla conoscenza preventiva, al fine di consentire la contrattazione d’anticipo a monte dei processi di ristrutturazione e quindi delle strategie d’impresa.
Nella disponibilità= ; di strumenti per la contrattazione d’anticipo, si colloca il nostro ruolo per il governo dei processi, che non può declinarsi né con la presenza del sindacato nei consigli di amministrazione né tanto meno= con forme di partecipazione azionaria dei lavoratori.
7.2 Affermare e individua= re strumenti e sedi, a partire dagli osservatori, nei quali le parti sociali possono monitorare, verificare e controllare l’andamento della produttività e la sua distribuzione.
7.3 Introdurre nel Ccnl n= ormative sulla politica degli orari, in grado di contenere tutti gli aspetti di deregolamentazione introdotti dalla legislazione italiana e stabilire regol= e di sostegno alla contrattazione di secondo livello.
Il sistema degli orari, d=
elle
turnazioni e delle flessibilità deve favorire la possibilità =
di
conciliare per uomini e donne il tempo di vita e il tempo di lavoro, e
ricostruire organicamente una strategia di riduzione del tempo di lavoro.
Sulla politica degli orar=
i,
E’ inoltre importan= te riprendere il controllo degli orari di fatto e del ricorso agli straordinari nonché rilanciare la strategia dei contratti di solidarietà q= uale uno degli strumenti per contenere le riduzioni del personale, e al tempo st= esso difendere l’integrità dell’impresa in una fase di crisi industriale e di aumento delle delocalizzazioni.
7.4 Ridefinire un sistema
classificatorio nazionale per l’individuazione delle
professionalità, nonché un sistema di regole e di rimandi alla
contrattazione aziendale per il loro
riconoscimento.
7.5 Realizzare azioni pos=
itive
per pari opportunità per le lavoratici al fine di impedire
discriminazioni di genere.
7.6 Istituire un osservat=
orio
nazionale, con articolazioni decentrate, sulle discriminazioni razziali o
etniche, per promuovere azioni finalizzate a eliminare comportamenti
discriminatori nei luoghi di lavoro.
7.7 Puntare su formazione=
e
riqualificazione prevedendo, nei rimandi a livello decentrato, normative
(orari, luoghi, modalità) in grado di rendere esigibile questo dirit=
to a
tutti i lavoratori e alle lavoratrici, facendo sì che sia compatibile
con i carichi familiari, che incidono prevalentemente sulle donne.
7.8 Portare avanti un sis=
tema di
contrattazione e di controllo su tutto ciò che attiene ai piani della
sicurezza e ad azioni preventive per la tutela della salute e per impedire
infortuni, malattie professionali, morti sul lavoro
7.9 Bilateralità: =
gli enti
bilaterali non sono sede di contrattazione e pertanto non possono sostituir=
si a
essa, ma devono al contrario applicare le intese avvenute tra le parti soci=
ali
nelle sedi proprie del negoziato. =
span>
Gli enti bilaterali non d= evono svolgere funzioni di certificazione a partire dai rapporti di lavoro, n&eac= ute; tanto meno gestire il mercato del lavoro.
8. La contrattazione decentrata va estesa e riqualificata, a pa= rtire da quella aziendale o di gruppo, di posti di lavoro nel caso del pubblico impiego, del sistema dell’istruzione e della ricerca. Essa non va ridimensionata ma al contrario resta per noi la scelta centrale per consegn= are ai delegati, ai lavoratori e alle lavoratrici un ruolo effettivo d’intervento e di negoziato su organizzazione del lavoro, salute e sicurezza, condizioni di lavoro, orari, riconoscimento della professionalità e tutto ciò che il Ccnl demanda ai luoghi di lavoro, nonché distribuire aumenti salariali variabili e con quote da consolidare attraverso l’individuazione di obiettivi raggiungibili, parametri e indicatori da concordare nella contrattazione, collegati ai risultati del lavoro e della sua organizzazione, in grado di consentire la = loro verificabilità e il loro controllo.
8.1 L’esigenza &egr= ave; quella di mettere in campo una contrattazione che superi in via definitiva = la contraddizione che vuole gli stessi lavoratori attenti e responsabili, ment= re nello stesso tempo li si priva sia di certezze attraverso le tante forme di lavoro precario, che di autonomia attraverso la perdita del governo del pro= prio tempo di lavoro e di vita, con particolare riferimento alle lavoratrici. = p>
8.2 Questa riconquista de= lla capacità d’intervento autonomo dei lavoratori sulle loro condizioni di lavoro, sull’organizzazione della produzione o delle modalità di offerta dei servizi pubblici, è tanto più importante se consideriamo che in conseguenza di una ricerca esasperata da parte delle imprese, e in buona parte della pubblica amministrazione, di una competitività fondata sui costi, si è determinato un interven= to unilaterale, solo in parte contrastato dalla contrattazione, che ha fatto arretrare prassi condivise sulla gestione degli orari di lavoro, sui carich= i di lavoro, sulla qualità del lavoro in gran parte espressa con l’= uso di una diffusa precarietà.
8.3 Nella contrattazione = di secondo livello vanno riaffermati i valori di solidarietà, equità, uguaglianza, di rispetto delle differenze (di genere, etniche ecc.) come fondamento per un’iniziativa di portata strategica, e coer= ente con l’iniziativa della Cgil, che abbia l’obiettivo di realizzare percorsi d’inclusione, nel ciclo produttivo e organizzativo dell’impresa, di tutti i lavoratori precari e ai margini del ciclo pe= r effetto delle riorganizzazioni dell’impresa, dei limiti avuti nelle contrattazioni precedenti e per effetto dei danni provocati dalla nuova produzione legislativa.
8.4 Nel lavoro pubblico la contrattazione integrativa deve rappresentare lo strumento principale per valorizzare il lavoro, costruendo un rapporto fra la contrattazione ed un n= uovo spazio pubblico sul versante della tutela dei diritti delle persone, dell’efficacia e della trasparenza dell’agire pubblico.
9. La contrattazione territoriale, di sito, di distretto, di filiera.
9.1 Ferma restando la sce=
lta
prioritaria del livello aziendale,
9.2 Alcune esperienze si =
sono
consolidate, altre vanno ridefinite individuando ambiti di sperimentazione,
anche per far fronte a una filiera produttiva lunga e articolata in pi&ugra=
ve;
tipologie contrattuali.
9.4 L’obiettivo di = consolidare ed estendere l’esercizio della contrattazione per i livelli decentrati (territoriali, sito, distretto, filiera) impone l’individuazione di f= orme organizzative in grado di assicurare un allargamento della rappresentanza e= dei diritti sindacali.
10.
11. L’Europa.
11.1 Fermo restando ci&og= rave; che viene proposto nelle tesi sulle politiche europee, occorre prevedere un livello contrattuale per la dimensione sovranazionale dell’impresa, c= he affronti la nuova dimensione societaria in ambito europeo, che intervenga su tutto ciò che ha prodotto la forte delocalizzazione e il nuovo asset= to delle multinazionali, che preveda strumenti e regole per le direttive sul lavoro e sul ruolo dei Cae, degli organismi previsti dalle direttive sulla Società europea, che consegni al sindacato una funzione contrattuale= e non solo informativa.
11.2
11.3 Una delle questioni più importanti che va messa al centro del confronto negoziale sovranazionale, in particolare per le imprese multinazionali riguarda la responsabilità sociale dell’impresa nei confronti dei diritti = dei lavoratori e delle lavoratrici, dell’ambiente e dell’economia, = in tutti i paesi in cui opera.
12. Il ruolo confederale nella contrattazione territoriale e sociale.
12.1 Dalle politiche di s= viluppo alle politiche contrattuali emerge con forza la necessità di aprire = una nuova fase per la contrattazione confederale nel territorio, anche attraver= so processi democratici di coinvolgimento dei lavoratori, delle lavoratrici, d= ei pensionati, delle pensionate.
12.2 Tale scelta è= ancora più urgente per il peso che le politiche sociali territoriali e di sostenibilità e sicurezza ambientale hanno assunto, sia per quanto riguarda gli effetti della redistribuzione del reddito, sia per quanto rigu= arda le più specifiche politiche dello sviluppo locale. Per tale obiettivo è necessario coinvolgere le associazioni che possono contribuire alla costruzione di uno sviluppo di qualità sia dal punto di vista social= e, occupazionale, ambientale.
12.3 Il fine è que= llo di progettare e di definire politiche di sviluppo locale del territorio, affrontando i temi della reindustrializzazione, della finalizzazione specialistica di filiera, di nuovi insediamenti industriali, della riunificazione del lavoro, dello sviluppo sostenibile quindi legato ai prob= lemi dell’ambiente e della tutela del territorio, della crescita professio= nale con la formazione d’anticipo e i fabbisogni formativi; e affrontando = le politiche sociali e dei servizi come fattore di sviluppo nel territorio.
12.4 La programmazione ne= goziata e la contrattazione sono necessarie affinché vi sia un uso delle ris= orse che premino il territorio ed evitino dispersioni a pioggia, responsabilizza= ndo le istituzioni in una funzione di effettiva promozione dello sviluppo.
12.5 L’intreccio = di queste politiche deve vedere la confederazione assumerle in accordo con le categorie, compreso lo Spi, trovando risposte di rappresentanza e di reinsediamento confederale nel territorio.
12.6 Contrattazione confe= derale territoriale, da un lato, e contrattazione nei posti di lavoro, dall’altro, devono consentire all’insieme del sindacato di elev= are la sua capacità di rappresentanza e di riunificazione degli interess= i di uomini e donne, siano essi lavoratori, cittadini, studenti, pensionati, immigrati, ragazzi e ragazze che costituiscono il nuovo contesto del mondo = del lavoro e della società in cui viviamo.
13. Le nostre proposte sulle politiche della contrattazione e s= ul ruolo negoziale del sindacato dovranno continuare a misurarsi con Cisl e Ui= l al fine di costruire obiettivi comuni e progetti unitari in grado di sostenere= e difendere le esigenze e i bisogni delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati del nostro paese.
TESI 8
ALTERNATIVA (Rinaldini)
1. La nostra proposta sulle politiche contrattuali deve essere rigorosa e coerente all’insieme della linea sindacale e politica che assume la centralità del lavoro, e la sua autonoma espressione, come scelta fondamentale per un nuovo progetto sociale.
La stagnazione economica = italiana è anche il frutto di una politica economica e industriale che ha sce= lto di competere nell’economia globale sul terreno dei costi, sul peggioramento delle condizioni di lavoro, sulla precarizzazione e sui bassi salari. Oggi occorre superare l’impostazione monetarista che vede nel taglio della spesa pubblica e delle retribuzioni gli strumenti per favorire= lo sviluppo. Esiste un rapporto positivo tra la necessità di affermare = una nuova politica economica e industriale e la necessità di invertire il processo in atto nella redistribuzione della ricchezza, oggi a tutto vantag= gio delle rendite e dei profitti.
1.1 Nel corso di questi a= nni le scelte compiute dal governo con il sostegno della Confindustria su fisco, lavoro, Stato sociale hanno determinato una redistribuzione del reddito con= tro il lavoro e le pensioni e hanno generato precarizzazione della vita e del lavoro. Il sistema delle imprese, inoltre, ha utilizzato profitti e produttività per attuare, a partire dalle grandi imprese, operazioni= di natura prevalentemente finanziaria piuttosto che di carattere industriale.<= /p>
2. La contrattazione di secondo livello, pur con risultati diversificati all’interno delle categorie e nelle aree territoriali, è stata complessivamente insufficiente.
2.1 La copertura dell’insieme delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti con la contrattazione rimane un obiettivo della nostra iniziativa, non scindibile dalla riunificazione del lavoro a fronte di processi sempre più este= si di frammentazione e frantumazione del ciclo del prodotto. La situazione att= uale evidenzia una copertura contrattuale differenziata anche per le diverse mod= alità e struttura contrattuale con le quali si esercita la contrattazione decentr= ata.
2.2 Nel pubblico impiego,= nei settori dell’istruzione, dell’università e della ricerca= la generalizzazione della contrattazione decentrata è stata resa possib= ile dalla definizione per legge del sistema della rappresentanza sindacale e de= lle Rsu. Oggetto della contrattazione è stato l’intervento sull’insieme delle condizioni di lavoro, sulle questioni retributive e professionali, messe in discussione anche dal taglio dei trasferimenti finanziari al sistema delle autonomie locali e dall’attacco al sistema dell’istruzione e della ricerca pubblica.
2.3 Nello stesso tempo nel settore dell’impiego pubblico si assiste a un attacco al sistema contrattuale attraverso il tentativo di revocare la contrattualizzazione del rapporto di lavoro, che rimane punto fermo per il sindacato, per riesumare = un sistema fatto d’interventi legislativi che snaturano il ruolo e la funzione della stessa contrattazione in nome di «un primato» dell’interesse della politica, non solo sulle tematiche relative al rapporto di lavoro (com’è successo per il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, o come il governo intende prefigurare per i docenti dopo = la cancellazione della contrattazione e delle Rsu), ma con la massiccia estens= ione dello Spoils system, che stravo= lge i princìpi d’imparzialità e d’interesse generale sui quali si basa l’agire pubblico.
3. I limiti più evidenti della nostra iniziativa contrattuale riguardano l’intervento su tutto ciò che attiene all’organizzazione del lavoro e ai cambiamenti prodotti dai processi = di trasformazione e di esternalizzazione delle imprese. A ciò va aggiun= to l’insufficiente coinvolgimento, a partire dall’elaborazione del= le piattaforme, delle nuove e diverse forme del lavoro.
3.2 Tali processi, che av= vengono nell’ambito di una situazione di crisi del sistema industriale, hanno contribuito a indebolire il nostro ruolo contrattuale favorendo in molte realtà fenomeni che devono essere rigorosamente contrastati, in particolare:
3.3 l’introduzione = di doppi regimi contrattuali che hanno contrapposto lavoratori in forza a lavoratori= di futura assunzione;
3.4 aumenti salariali leg= ati a parametri, indici e obiettivi non verificabili che hanno impedito alla Rsu = di esercitare un controllo reale sulla prestazione lavorativa;
3.5 l’insufficiente rapporto fra contrattazione del salario e controllo degli orari, ambiente e organizzazione del lavoro;
3.6 accordi sull’ut= ilizzo degli impianti che scaricano gli orari più disagiati su determinate fasce di lavoratrici e lavoratori;
3.7 aumenti salariali leg= ati a parametri di presenza, a carattere individuale e/o collettivo;
3.8 frequenti erogazioni unilaterali.
4. È ormai un dato incontestabile il fatto che in Italia= si è verificato uno spostamento della ricchezza prodotta verso i profit= ti e le rendite e che le retribuzioni hanno subìto un arretramento tra i più significativi in Europa.
4.1 Tutto questo in una f= ase in cui il processo di ristrutturazione delle imprese a livello globale ha indebolito, spiazzandoli, i sistemi di regolazione legislativa nazionale provocando una tendenza alla decontrattualizzazione dei rapporti tra capita= le e lavoro. Ciò che si intende imporre è l’assunzione di un modello di competitività basato sulla compressione dei costi e dei diritti quale valore assoluto nell’evoluzione aziendalistica delle relazioni industriali.
4.2 La legislazione, di m= atrice liberista, enfatizza il processo di frantumazione della forma impresa, nella moltiplicazione delle tipologie dei rapporti di lavoro e nel rapporto diret= to fra azienda e singolo lavoratore. Nella tendenza all’individualizzazi= one del rapporto di lavoro sta la crisi della stessa «forma-contratto&raq= uo; quale compromesso tra interessi diversi e asimmetrici che sta alla base del= la tutela collettiva degli interessi più deboli. Vi è quindi la necessità di una nuova legislazione sul lavoro che sostituisca e abo= lisca quella esistente.
4.3. Anche per queste rag= ioni il sindacato deve saper mettere in campo una proposta alta di politica contrattuale per ristabilire autorità negoziale, salariale e normati= va a tutti i livelli della contrattazione e per tutte le tipologie di lavoro, in coerenza con le nostre politiche sul mercato del lavoro.
5. Il nostro Congresso si caratterizza sulla centralità = del lavoro. La politica contrattuale, le sue funzioni, i suoi compiti e il ruolo del sindacato ne sono parte determinante.
Il problema della ridefin= izione delle regole contrattuali è posto. È dunque necessario definire i criteri di una nostra proposta che sia funzionale ai nostri obiettivi, nella consapevolezza che l’obiettivo della Confindustria è quello di ridurre e modificare strutturalmente funzione e ruolo della contrattazione collettiva a livello nazionale e a livello decentrato.
Un sistema di regole cont= rattuali non è un problema tecnico, di ingegneria contrattuale, né tan= to meno può essere ridotto a un fatto di congiuntura sociale e politica= , ma inerisce ruolo e funzione della contrattazione per un non breve periodo.
La logica liberista vuo=
le
ridisegnare la stessa funzione della rappresentanza sociale e ne subordina =
il
ruolo a pura funzione rispetto a un solo punto di vista, quello delle impre=
se e
del mercato. È questa la radice più profonda della messa in
discussione del ruolo della contrattazione e delle relazioni industriali in
buona parte dei paesi industrializzati ed è questo l’obiettivo=
che
persegue
Questo è il valo= re che assegniamo alle scelte e alle opzioni che abbiamo prodotto in questi anni c= ome Cgil dall’Assemblea di Chianciano al Comitato direttivo del 30 settem= bre 2004.
5.1 Occorre rilanciare una campagna di rinnovata politica contrattuale in grado di riunificare il lavo= ro, che abbia carattere acquisitivo e non solo difensivo, sia per le retribuzio= ni che per i diritti, rivendicando altresì investimenti per l’innovazione di prodotto e di processo quale fattore determinante per assicurare qualità, continuità produttiva e salvaguardia dell’occupazione.
6.
Non si tratta di definire= le regole del prossimo contratto nazionale con un accordo quadro, bensì= di definire una politica contrattuale e un sistema contrattuale, che segnerà per un periodo non breve le relazioni industriali e quindi r= uolo e funzione della rappresentanza sociale.
- Contratto nazionale;
- contrattazione decentra= ta;
- collegamento con le pol= itiche negoziali in Europa;
- contrattazione confeder= ale territoriale.
6.1 Il contratto nazionale rappresenta lo strumento assolutamente decisivo, in cui il lavoro esercita = il massimo e più unificante ruolo di solidarietà generale sulle retribuzioni e sui diritti.
6.2. Per questo il livello nazionale della contrattazione va rafforzato e vanno respinte regole e mode= lli che portano a un federalismo contrattuale finalizzato a determinare differe= nze per aree geografiche e territori e a provocare un più generale smantellamento dei diritti universalistici.
Così come il livel= lo nazionale non va depotenziato alla luce degli assetti istituzionali e delle titolarità introdotte già con la riforma del titolo V della Costituzione e attribuite alle Regioni e alle Autonomie locali, soprattutto= a seguito dell’inaccettabile ipotesi di stravolgimento della Costituzio= ne, in particolare con la «devolution» in tema di sanità e assistenza, istruzione, polizia locale.
6.3 Contratto, fisco, politiche sociali devono coerentemente essere
affrontati con l’obiettivo di invertire l’attuale tendenza e
recuperare, nella distribuzione della ricchezza, quote verso il lavoro e le
pensioni. La redistribuzione della ricchezza verso profitti, rendita e fina=
nza
non viene registrata dagli indici d’inflazione anche se poi essa si
manifesta come condizione sociale e potere d’acquisto sociale. Il pot=
ere d’acquisto,
la situazione economica, quote di produttività e la distribuzione de=
lla
ricchezza devono essere i criteri di riferimento del contratto nazionale.
Starà all’autonoma valutazione delle organizzazioni sindacali
decidere come equilibrare le proprie richieste nazionali rispetto
all’insieme della situazione sociale ed economica, fermo restando
l’obiettivo della redistribuzione della ricchezza e dell’aumento
delle retribuzioni reali in sede nazionale.
6.4. Un contratto naziona= le che allarga le competenze è la condizione necessaria per puntare nella contrattazione articolata alla riunificazione della rappresentanza del lavoro, con una vertenzialità= ; di sito industriale, di filiera, di prodotto, di servizio.
Per questo accanto alla contrattazione aziendale e di gruppo, bisogna prevedere un forte coordiname= nto tra obiettivi e sedi di rappresentanza e di trattativa: a livello di sito e= a livello di filiera.
Una nuova e più in= cisiva legislazione sugli appalti può contribuire alla difesa dei diritti, salute, sicurezza, legalità.
6.5 È necessario introdurre strumenti che incentivino il rispetto da parte delle controparti pubbliche e private dei rinnovi contrattuali, a tal fine va incrementato il valore dell’indennità di vacanza contrattuale con una tempisti= ca e gradualità che abbia come riferimento il prolungarsi dei tempi della trattativa.
Una valutazione a parte m= erita poi la questione per la quale i Ccnl pubblici vengono sempre rinnovati in ritardo rispetto alle loro scadenze e, una volta sottoscritti, diventano esigibili dalle lavoratrici e dai lavoratori in tempi lunghi e comunque superiori alle stesse disposizioni legislative in materia.
È necessario intro= durre strumenti che incentivino il rispetto da parte del governo e di tutte le controparti pubbliche delle scadenze e tempistiche previste. In particolare dopo i novanta giorni dalla scadenza del Ccnl, nel caso in cui le trattative non siano state ancora aperte, le eventuali azioni di lotta proclamate dalle organizzazioni sindacali potranno derogare dai contenuti della Legge 83/2000 sulla regolamentazione del diritto di sciopero nei servizi pubblici a eccez= ione della garanzia sui servizi minimi essenziali che andrà comunque mantenuta. Inoltre dopo la sottoscrizione il Contratto nazionale si intende= rà definitivamente approvato e quindi esigibile se entro 45 giorni dalla sua f= irma i comitati di settore e gli organi di controllo non avranno espresso esplic= ite riserve o dinieghi.
7. Per rafforzare l’autorità normativa occorre ino= ltre realizzare:
7.1 Una normativa nel Ccn= l sulla politica degli orari, in grado di contrastare tutti gli aspetti di deregolamentazione introdotti dalla legislazione e stabile regole di sosteg= no alla contrattazione di secondo livello.
Il sistema degli orari de= lle turnazioni e delle flessibilità deve favorire la possibilità = di conciliare per uomini e donne complessivamente il tempo di vita ricostruendo organicamente una strategia di riduzione del tempo di lavoro a 35 ore settimanali.
Per questo deve essere co= nfermato l’orario settimanale e rafforzato il ruolo contrattuale delle Rsu nel= la definizione degli orari plurisettimanali.
L’offensiva della Confindustria per la gestione unilaterale del tempo di lavoro è l’espressione più evidente della volontà di ridurre la contrattazione collettiva a un fatto residuale, puramente adattiva a un uni= co punto di vista, quello dell’impresa esautorando le Rsu di qualsiasi prerogativa negoziale.
Si tratta di riprendere il controllo degli orari di fatto e del ricorso agli straordinari, nonch&eacut= e; di rilanciare la strategia dei contratti di solidarietà quale strume= nto per difendere l‘occupazione e la stessa integrità dell’impresa in una fase di crisi industriale e di aumento delle delo= calizzazioni, rifiutando qualsiasi procedura di riduzione occupazionale che preveda i licenziamenti.
7.2 Coerentemente con le =
scelte
compiute contro la legge 30 nella contrattazione, va perseguito
l’obiettivo di renderne inefficace l’applicazione. Il sindacato
deve operare anche sul piano contrattuale per l’abrogazione della leg=
ge
7.3 Va ridefinito un sist= ema informativo che in un quadro di democrazia industriale, fornisca gli strume= nti per rendere esigibile il diritto alla conoscenza preventiva al fine di consentire la contrattazione d’anticipo a monte dei processi di ristrutturazione e quindi delle strategie d’impresa a partire dalla c= essione di ramo d’azienda, mettendo i lavoratori e le lavoratrici e le loro organizzazioni nelle condizioni di potersi avvalere di esperti e strutture competenti di loro scelta.
7.4 Ridefinire un sistema classificatorio nazionale per l’individuazione delle professionalità anche attraverso un sistema di regole che rafforzi il ruolo della contrattazione aziendale.
7.5. Azioni positive per = pari opportunità, per le lavoratrici al fine di impedire discriminazioni = di genere.
7.6. Istituzione di un Osservatorio nazionale con articolazioni decentrate aventi per finalit&agra= ve; l’eliminazione di comportamenti discriminatori nei luoghi di lavoro.<= /p>
7.7. Formazione e riqualificazione prevedendo, nei rimandi a livello decentrato, normative (orari, luoghi, modalità) in grado di rendere esigibile questo dirit= to da tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici, compatibili con i carichi familiari che incidono prevalentemente sulle donne.
7.8. Un sistema di contra= ttazione e di controllo che unifichi l’insieme dei lavoratori coinvolti su tut= to ciò che attiene ai piani della sicurezza e a azioni preventive per la tutela della salute e per impedire infortuni, malattie professionali, morti= sul lavoro.
7.9. Gli enti bilaterali = non devono svolgere funzioni di certificazione a partire dai rapporti di lavoro= , ne tanto meno gestire il mercato del lavoro.
8. Il secondo livello di contrattazione deve avere per oggetto l’organizzazione del lavoro, l’ambiente di lavoro, la produttività, la qualità, la professionalità nei luoghi lavorativi. La contrattazione non potrà più limitarsi alla pu= ra contrattazione del premio di risultato. L’esperienza ci ha insegnato = che, salvo importanti eccezioni la funzione partecipativa del premio di risultato è stata nulla. La contrattazione deve, in primo luogo, affrontare i problemi dell’organizzazione e della condizione di lavoro, tenendo co= nto della professionalità e del salario aziendale. La contrattazione deve porsi l’obiettivo di stabilizzare la parte prevalente del premio di risultato, partendo da quanto sinora raggiunto. Vanno superati gli indici riferiti ai bilanci e il legame con la presenza, mentre la contrattazione d= ella parte variabile dovrà essere strettamente collegata a quella della prestazione e dell’organizzazione del lavoro.
8.1 Questa riconquista de= lla capacità di intervento autonomo delle lavoratrici e dei lavoratori sulle proprie condizioni di lavoro, sull’organizzazione della produzione o delle modalità di offerta dei servizi pubblici, è tanto più importante di fronte ad una scelta esasperata da parte delle imprese e di b= uona parte della Pubblica amministrazione per una competitività fondata s= ui costi. Si è determinato in questo modo un intervento unilaterale, so= lo in parte contrastato dalla contrattazione, che ha fatto arretrare prassi negoziali condivise sulla gestione degli orari di lavoro, sui carichi di lavoro, sulla qualità del lavoro e che ha prodotto l’estensione della precarietà.
8.2 Nella contrattazione = di secondo livello, vanno riaffermati i valori di solidarietà, equità, uguaglianza, di rispetto delle differenze (di genere, etniche ecc.) come fondamento per un’iniziativa di portata strategica e coere= nte con l’iniziativa della Cgil. L’unificazione dei diritti è l’obiettivo prioritario della nostra iniziativa. Questo significa l’estensione a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori dei risult= ati contrattuali e la definizione di percorsi e modalità per la trasformazione dei rapporti di lavoro precari a tempo indeterminato.
8.3 Nella contrattazione = va rilanciato l’impegno della Cgil a tutela della sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori, per una diversa gestione delle 626 che finora= non ha portato a concreti miglioramenti nella difesa della salute nel mondo del lavoro.
Nei luoghi di lavoro occo= rre realizzare ogni anno un’assemblea retribuita esclusivamente dedicata = alla tutela della salute. Rls ed Rsu devono operare sulla base di precisi progra= mmi di salute e sicurezza costruiti con i lavoratori e contrattati con le impre= se che devono avere l’obbligo di fornire agli Rls tutta la documentazione necessaria.
8.4 Nel lavoro pubblico la contrattazione integrativa deve rappresentare lo strumento principale per valorizzare il lavoro, costruendo un rapporto fra la contrattazione e un nu= ovo spazio pubblico, sul versante della tutela dei diritti delle persone, dell’efficacia e della trasparenza dell’agire pubblico.
9. La contrattazione territoriale, di sito, di distretto, di filiera.
9.1. Ferma restando la scelta prioritaria del livello aziendale, la Cgil, al fine di este=
ndere la
contrattazione decentrata, in particolare nelle piccole imprese, ritiene ch=
e i
contratti nazionali di categoria potranno prevedere il ricorso anche a ques=
to
livello decentrato, il suo confine e le materie a esso demandate. Non deve
trattarsi di un livello aggiuntivo a quello aziendale, né tanto meno
contrapposto. Saranno i singoli comparti e relativi Ccnl a definire, sulla =
base
della struttura del modello produttivo, delle sue articolazioni e dei
cambiamenti verificatisi in questi anni sia nel pubblico che nel privato e =
nel
terziario, a individuare le modalità, le caratteristiche e gli strum=
enti
dell’eventuale livello territoriale.
9.2 Alcune esperienze si =
sono
consolidate, altre vanno ridefinite individuando ambiti di sperimentazione
anche per far fronte a una filiera produttiva lunga e articolata in pi&ugra=
ve;
tipologie contrattuali.
Questa sperimentazione apre la strada alla soluzion= e di un problema più generale. È evidente che le categorie sindaca= li sono nate e si sono definite sulla base delle diverse esigenze che le differenze dei cicli produttivi determinavano. Oggi queste differenze sono = in gran parte saltate nel settore privato e pubblico. Tutto questo produce la necessità di ripensare l’organizzazione sindacale rispetto all’attuale suddivisione delle categorie e dei contratti.
Si tratta allora di ridefinire l’organizzazio= ne corrispondente all’attuale modello sociale e alle scelte di politica rivendicativa che vogliamo compiere per la riunificazione del lavoro.
9.4. L’obiettivo di consolidare ed estendere l’esercizio della contrattazione per i livelli decentrati (territoriali, sito, distrett= o, filiera) impone l’individuazione di forme organizzative in grado di assicurare un allargamento della rappresentanza e dei diritti sindacali.
10.
11. Europa.
11.1 Fermo restando ciò che viene proposto nelle tesi sulle politiche europee, occorre prevedere un livello contrattuale per la dimensi= one sovranazionale dell’impresa, che affronti la nuova dimensione societa= ria in ambito europeo, che intervenga su tutto ciò che ha prodotto la fo= rte delocalizzazione e il nuovo assetto delle multinazionali, che preveda strum= enti e regole per le direttive sul lavoro e sul ruolo dei Cae, degli organismi previsti dalle direttive sulla Società europea, che consegni al sindacato una funzione contrattuale e non solo informativa.
11.2
11.3 Una delle questioni più importanti che va messa al centro del confronto negoziale sovranazionale, in particolare per le imprese multinazionali, riguarda la responsabilità sociale dell’impresa nei confronti dei diritti = dei lavoratori e delle lavoratrici, dell’ambiente e dell’economia, = in tutti i paesi in cui opera.
12. Il ruolo confederale nella contrattazione territoriale e sociale.
12.1 Dalle politiche di sviluppo alle politiche contrattuali emerge= con forza la necessità di aprire una nuova fase per la contrattazione confederale nel territorio, anche attraverso processi democratici di coinvolgimento dei lavoratori, delle lavoratrici, dei pensionati e delle pe= nsionate.
12.2 Tale scelta è ancora più urgente per il peso che= le politiche sociali territoriali e di sostenibilità e sicurezza ambien= tale hanno assunto sia per quanto riguarda gli effetti della redistribuzione del reddito sia per quanto riguarda le più specifiche politiche dello sviluppo locale. Per tale obiettivo è necessario coinvolgere le associazioni che possono contribuire alla costruzione di uno sviluppo di qualità sia dal punto di vista sociale che occupazionale e ambiental= e.
12.3 Il fine è quello di progettare e definire politiche di sviluppo locale del territorio, affrontando i temi della reindustrializzazi= one, della finalizzazione specialistica di filiera, di nuovi insediamenti industriali, della riunificazione del lavoro, dello sviluppo sostenibile qu= indi legato ai problemi dell’ambiente e della tutela del territorio, della crescita professionale con la formazione d’anticipo e i fabbisogni formativi; e affrontando le politiche sociali e dei servizi come fattore di sviluppo nel territorio.
12.4 La programmazione negoziata e la contrattazione sono necessarie affinché vi sia un uso delle risorse che premino il territorio ed evitino dispersioni a pioggia, responsabilizzando le istituzioni in una funzione di effettiva promozione dello sviluppo.
12.5 L’intreccio = di queste politiche devono vedere la confederazione assumerle in accordo con le categorie compreso lo Spi, trovando risposte di rappresentanza e di reinsediamento confederale nel territorio.
12.6 L’insieme del = ruolo della contrattazione confederale territoriale e del ruolo della contrattazi= one nei posti di lavoro, deve consentire all’insieme del sindacato di ele= vare la sua capacità di rappresentanza e di riunificazione degli interess= i di uomini e donne, siano essi lavoratori, cittadini, studenti, pensionati, imm= igrati, ragazzi e ragazze che costituiscono il nuovo contesto del mondo del lavoro e della società in cui viviamo.
13. Le nostre proposte sulle politiche della contrattazione e il ruolo negoziale del sindacato dovranno continuare a misurarsi con Cisl e Ui= l al fine di costruire obiettivi comuni e progetti unitari in grado di sostenere= e difendere le esigenze e i bisogni delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati del nostro paese.
TESI 9
1. La società italiana ha bisogno di più partecipazione. Occorre, perciò, invertire il trend di questi ultimi anni, contrassegnato da una progressiva e costante riduzione degli spazi di partecipazione, conseguenza, anche, dell’avanzare di quell’idea= di democrazia plebiscitaria che ha connotato la politica del centro-destra. Una prova decisiva di questa tendenza è rappresentata dall’allonta= namento, sempre più marcato, dalla vita politica e sociale di soggetti che ne erano stati protagonisti, come le donne. Ma il problema c’è st= ato e c’è anche per il mondo del lavoro. Allargare, quindi, gli sp= azi di partecipazione per rendere più forte la democrazia.
1.1 Occorre riattua= lizzare tutti i canali che hanno consentito, anni addietro, una grande e proficua stagione di partecipazione democratica, a livello istituzionale, politico e sociale. Bisogna intanto colmare il deficit di democrazia e di rappresentan= za determinato dall’assenza delle donne, ai vari livelli politici, socia= li e istituzionali del paese. E’ necessario invertire una tendenza, nient’affatto intrinseca alle riforme istituzionali ed elettorali dec= ise per il sistema delle Regioni e delle autonomie locali. L’elezione dir= etta dei sindaci, dei presidenti di Regioni e Province non determina, infatti, in sé una caduta di partecipazione. In tutti i casi occorre battersi co= ntro ogni insorgere di problemi di questa natura – ridando in particolare ruolo e funzione alle assemblee elettive – e sviluppare iniziative che consentano a ogni cittadino e a ogni cittadina di concorrere da protagonist= a ai processi decisionali. Allo stesso modo occorre riaprire canali di partecipazione effettiva dell’utenza nei grandi sistemi pubblici R= 11; sanità, scuola e politiche sociali, innanzitutto – attraverso = le loro associazioni di rappresentanza. Così come il terzo settore – per il quale si conferma = la necessità, prevista anche nella recente intesa Cgil Cisl Uil e Forum= del terzo settore, di garantire ai lavoratori che vi operano diritti e piena applicazione dei contratti di lavoro –, innanzitutto nella sua componente di volontariato, deve effettivamente rappresentare esso stesso uno strumento della partecipazione democratica, in particolare alla progettazione della politica sociale. Ma n= on vi può essere partecipazione diffusa se non si realizzano condizioni= che ne favoriscano lo sviluppo anche nei partiti. C’è bisogno che i nuovi partiti, nati negli ultimi quindici anni e che hanno cambiato radical= mente la fisionomia delle vecchie forme di rappresentanza, siano luoghi di rappresentanza dei cittadini e delle cittadine e di promozione di idee, cul= ture e valori, a partire dalla riaffermazione di una nuova centralità del lavoro.
1.2 Più partecipazione deve significare anche più contrattazione e quindi più sindacato. C’è bisogno di consolidare, estendere e qualificare la contrattazione. C’e bisogno, in sostanza, anche in que= sto caso, d’invertire una tendenza di questi ultimi anni, in particolare relativamente agli orientamenti del governo centrale e di quelli regionali e del sistema delle autonomie che lo hanno imitato. Occorre, perciò, più contrattazione territoriale e sociale in grado non solo di meglio tutelare e difendere le condizioni di vita e di reddito delle lavoratrici e= dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, ma anche di incidere sugli assetti economici, sociali, ambientali e di potere di un territorio. E̵= 7; in questo modo che si completa il già citato quadro di partecipazion= e e di protagonismo nell’assetto dei grandi sistemi pubblici. Allo stesso modo c’è bisogno anche di relazioni sindacali strutturate – entro le quali ricondurre= anche la legge 146/90 e i suoi interventi correttivi allo stretto ambito dei serv= izi essenziali e superando la logica dell’iter di regolamentazione – e improntate a un’effettiva volontà di considerare il sindacato un elemento essenziale e imprescindibile della dialettica impresa-lavoro.
1.3 Nei luoghi di lavoro = la democrazia e la partecipazione rappresentano l’asse strategico per definire nuovi assetti di potere. Se l’imperativo oggi è la valorizzazione del lavoro; se rimane di prima grandezza l’obiettivo di accrescere il potere dei lavoratori nei luoghi della produzione e negli uff= ici; se libertà e uguaglianza passano anche dalla conquista del diritto a= lla formazione permanente e alla piena accessibilità da parte dei lavoratori ai processi formativi acquisitivi di nuovi saperi; se la disarticolazione del mercato del lavoro = ci consegna una battaglia per nuovi diritti e tutele, è vitale, innanzitutto, affermare il valore della democrazia e allargarne progressivamente gli spazi. Allo stesso modo occorre operare su tre fronti assolutamente distinti: estendere la contrattazione ben oltre i confini fin= ora definiti; completare l’elezione dei Rappresentanti dei lavoratori per= la sicurezza e di quelli territoriali, e generalizzare le Rappresentanze sinda= cali unitarie e renderne più forte e qualificato l’esercizio del po= tere contrattuale e la rappresentanza, anche attraverso l’acquisizione del= le necessarie competenze sociali per intercettare la condizione di disagio sem= pre più diffusa fra i lavoratori; conquistare nuove forme di partecipazi= one che definiscano un’effettiva democrazia industriale, in grado di affermare diritti certi ed esigibili, innanzitutto, d’informazione su= lle strategie di impresa.
1.4 Nel sindacato occorre
definire per via endosindacale le forme della partecipazione democratica de=
gli
iscritti e dell’insieme delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pen=
sionate
e dei pensionati alle scelte che compie. Questo accordo endosindacale &egra=
ve;
urgente poiché non è più rinviabile la definizione di =
un
quadro di regole certe ed esigibili che consentano la periodicità
triennale del voto per l’elezione delle Rsu e ai lavoratori di decide=
re
sulla validazione certificata delle piattaforme e degli accordi – anc=
he
attraverso lo strumento referendario – definendo così una
condizione di base uniforme per l’insieme delle categorie e per le
confederazioni.
2. Più partecipazione e più politica per il sinda=
cato
significano necessariamente anche più confederalità. La
profondità della crisi e le grandi trasformazioni degli assetti
produttivi nel mercato del lavoro, in generale nell’economia e nella
società, rimandano, infatti, a un nuovo grande problema di
riunificazione del mondo del lavoro. Si riproducono, cioè, condizioni
che
2.1 Un’idea alta di confederalità s’invera dentro una progettualità che ne definisca con precisione l’identità e la proposta politica. La scelta di caratterizzarci come sindacato di programma, definita al XII Cong= resso, mantiene inalterata la sua attualità; anzi, dalla crisi del paese tr= ae ancor più forza. E, allo stesso modo, la centralità dei dirit= ti decisa dall’ultimo Congresso, rappresenta l’orizzonte valoriale entro il quale praticare oggi politiche per l’unificazione del mondo = del lavoro.
2.2 Tale
progettualità rappresenta, altresì, condizione per
l’autonomia del sindacato. Le ragioni dell’autonomia affondano
certamente nella storia della Cgil e non solo; così come la sua dife=
sa,
nelle varie fasi storiche, ha poggiato su diverse motivazioni; è sta=
ta
garantita dall’impegno personale delle compagne e dei compagni che ne
hanno portato la responsabilità, ma oggi, accanto a tutto ciò,
prevale certamente l’aspetto della progettualità intesa come i=
dea
generale di società e proposta politica concreta per realizzarla. In
questo senso va assunta come vincolo essenziale. E questo, soprattutto, in
presenza dell’evolversi del sistema politico italiano. Il formarsi di
schieramenti politico-programmatici fra loro alternativi rende, infatti, an=
cor
più indispensabile la definizione di un progetto sindacale con il qu=
ale
interloquire – pena l’essere esposti, in particolare agli occhi=
di
chi rappresentiamo, a rischi oggettivi di subalternità – per v=
erificarne
la vicinanza o la distanza dai programmi degli schieramenti. Nessuna
indifferenza, di conseguenza, ma autonomia piena. Naturalmente la definizio=
ne
di un tale progetto non riguarda solo
2.3 La stessa unità
sindacale non può prescindere dalla costruzione di un progetto comun=
e.
Lo stesso insopprimibile pluralismo esistente fra le Confederazioni –=
e
che poggia su ragioni eminentemente sindacali, relative, tra l’altro,=
a
come storicamente ciascuna ha inteso l’esercizio della funzione sinda=
cale
– se non si misura con questa ricerca comune, anziché
rappresentare – come effettivamente rappresenta – una ricchezza,
rischia di costituire un ostacolo insormontabile. Per questo avanziamo a Ci=
sl e
Uil la proposta di lavorare assieme alla definizione di una Carta programma=
tica
dei valori del sindacato confederale. Valori che, nel caso dell’assol=
uto
rispetto del pluralismo e della gelosa difesa dell’autonomia, sono co=
muni
da tempo, anche se declinati in modo diverso all’interno di ogni
organizzazione.
TESI 9 ALTERNATIVA (Patta)
PER RILANCIARE I VAL=
ORI
DELLA CONFEDERALITA’, L’AUTONOMIA E L’UNITA’
1. La società italiana ha bisogno di più partecipazione. Occorre, perciò, invertire il trend di questi ultimi anni, contrassegnato da una progressiva e costante riduzione degli spazi di partecipazione, conseguenza, anche, dell’avanzare di quell’idea= di democrazia plebiscitaria che ha connotato la politica del centro-destra. Una prova decisiva di questa tendenza è rappresentata dall’allontanamento, sempre più marcato, dalla vita politica e sociale di soggetti che ne erano stati protagonisti, come le donne. Ma il problema c’è stato e c’è anche per il mondo del lavoro. Allargare, quindi, gli spazi di partecipazione per rendere pi&ugrav= e; forte la democrazia.
1.1 Occorre riattua= lizzare tutti i canali che hanno consentito, anni addietro, una grande e proficua stagione di partecipazione democratica, a livello istituzionale, politico e sociale. Bisogna intanto colmare il deficit di democrazia e di rappresentan= za determinato dall’assenza delle donne, ai vari livelli politici, socia= li e istituzionali del paese. E’ necessario invertire una tendenza, nient’affatto intrinseca alle riforme istituzionali ed elettorali dec= ise per il sistema delle Regioni e delle autonomie locali. L’elezione dir= etta dei sindaci, dei presidenti di Regioni e Province non determina, infatti, in sé una caduta di partecipazione. In tutti i casi occorre battersi co= ntro ogni insorgere di problemi di questa natura – ridando in particolare ruolo e funzione alle assemblee elettive – e sviluppare iniziative che consentano a ogni cittadino e a ogni cittadina di concorrere da protagonist= a ai processi decisionali. Allo stesso modo occorre riaprire canali di partecipazione effettiva dell’utenza nei grandi sistemi pubblici R= 11; sanità, scuola e politiche sociali, innanzitutto – attraverso = le loro associazioni di rappresentanza. Così come il terzo settore – per il quale si conferma = la necessità, prevista anche nella recente intesa Cgil Cisl Uil e Forum= del terzo settore, di garantire ai lavoratori che vi operano diritti e piena applicazione dei contratti di lavoro –, innanzitutto nella sua componente di volontariato, deve effettivamente rappresentare esso stesso uno strumento della partecipazione democratica, in particolare alla progettazione della politica sociale. Ma n= on vi può essere partecipazione diffusa se non si realizzano condizioni= che ne favoriscano lo sviluppo anche nei partiti. C’è bisogno che i nuovi partiti, nati negli ultimi quindici anni e che hanno cambiato radicalmente la fisionomia delle vecchie forme di rappresentanza, siano luo= ghi di rappresentanza dei cittadini e delle cittadine e di promozione di idee, culture e valori, a partire dalla riaffermazione di una nuova centralit&agr= ave; del lavoro.
1.2 Più partecipazione deve significare anche più contrattazione e quindi più sindacato. C’è bisogno di consolidare, estendere e qualificare la contrattazione. C’e bisogno, in sostanza, anche in que= sto caso, d’invertire una tendenza di questi ultimi anni, in particolare relativamente agli orientamenti del governo centrale e di quelli regionali e del sistema delle autonomie che lo hanno imitato. Occorre, perciò, più contrattazione territoriale e sociale in grado non solo di meglio tutelare e difendere le condizioni di vita e di reddito delle lavoratrici e= dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, ma anche di incidere sugli assetti economici, sociali, ambientali e di potere di un territorio. E̵= 7; in questo modo che si completa il già citato quadro di partecipazione e= di protagonismo nell’assetto dei grandi sistemi pubblici. Allo stesso mo= do c’è bisogno anche di relazioni sindacali strutturate – entro le quali ricondurre= anche la legge 146/90 e i suoi interventi correttivi allo stretto ambito dei serv= izi essenziali e superando la logica dell’iter regolamentazione – e improntate a una effet= tiva volontà di considerare il sindacato un elemento essenziale e imprescindibile della dialettica impresa-lavoro.
1.3 Nei luoghi di lavoro = la democrazia e la partecipazione rappresentano l’asse strategico per definire nuovi assetti di potere. Se l’imperativo oggi è la valorizzazione del lavoro; se rimane di prima grandezza l’obiettivo di accrescere il potere dei lavoratori nei luoghi della produzione e negli uff= ici; se libertà e uguaglianza passano anche dalla conquista del diritto a= lla formazione permanente e alla piena accessibilità da parte dei lavoratori ai processi formativi acquisitivi di nuovi saperi; se la disarticolazione del mercato del lavoro = ci consegna una battaglia per nuovi diritti e tutele, è vitale, innanzitutto, affermare il valore della democrazia e allargarne progressivamente gli spazi. Allo stesso modo occorre operare su tre fronti assolutamente distinti: estendere la contrattazione ben oltre i confini fin= ora definiti; completare l’elezione dei Rappresentanti dei lavoratori per= la sicurezza e di quelli territoriali, e generalizzare le Rappresentanze sinda= cali unitarie e renderne più forte e qualificato l’esercizio del po= tere contrattuale e la rappresentanza, anche attraverso l’acquisizione del= le necessarie competenze sociali per intercettare la condizione di disagio sem= pre più diffusa fra i lavoratori; conquistare nuove forme di partecipazi= one che definiscano un’effettiva democrazia industriale, in grado di affermare diritti certi ed esigibili, innanzitutto, d’informazione su= lle strategie di impresa.
1.4 Diritti nel lavoro e democrazia sindacale sono sempre stati elemento determinante della qualità della democrazia del nostro paese. Con la conquista dello Statuto dei lavoratori e con la successiva battaglia per la sua applicazion= e, diritti e democrazia riuscirono a varcare i cancelli dei luoghi di lavoro. L'affermarsi dei diritti sindacali nei luoghi di lavoro contribuì a = dare vita a un’importante stagione di democrazia, partecipazione e diritti sociali nel paese.
Anche oggi si pone l'esig= enza, non più rinviabile, di dare certezza alle lavoratrici e ai lavorator= i, di poter contare e decidere sulle proprie condizioni.
Un eventuale accordo tra
sindacati non può essere
sostitutivo di una normativa legislativa, che ha la caratteristica di essere
comunque esigibile dai lavoratori e dalle lavoratrici, anche nel caso di
dispareri tra le organizzazioni sindacali. Per queste ragioni
Tale accordo ha lo scopo = di realizzare un sostanziale avanzamento nella costruzione di un processo unit= ario, democratico e partecipativo, per l'affermazione della parità dei dir= itti e delle garanzie democratiche per i lavoratori e le loro associazioni e per= la verifica della rappresentatività e della piena titolarità alla rappresentanza.
1. Generalizzazione dell'elezione delle Rsu (Rappresentanze sindacali unitarie= ) in tutti i luoghi di lavoro e contestuale certificazione degli eletti, superan= do il concetto delle quote riservate ai delegati nominati dalle organizzazioni sindacali. Rsu elette con voto libero, segreto e con sistema proporzionale, garantendo un’adeguata presenza di genere, dotate di poteri certi di = contrattazione in ambito aziendale e territoriale.
2. Deve= essere assunta la prassi di eleggere delegazioni trattanti certificate composte da= Rsu titolate a condurre con le organizzazioni sindacali la contrattazione e alle quali viene riconosciuto il diritto di voto sui risultati conseguiti prima = che essi siano sottoposti all'insieme delle lavoratrici e lavoratori, nonch&eac= ute; il diritto alla circolazione di eventuali posizioni differenti.
3. L’insieme dei delegati e delle delegate eletti/e nelle Rsu e regolarm= ente certificati esprimono con voto la propria valutazione di merito, rispetto a piattaforme e ipotesi di accordo. Tale valutazione, unitamente a quella del= le organizzazioni sindacali, viene consegnata alle assemblee dei lavoratori.= p>
4. Le piattaforme e le ipotesi d’accordo devono essere presentate in tutti i luoghi di lavoro, discusse e votate in modo certificato dai lavoratori e da= lle lavoratrici in assemblea per la loro convalida. L'esito del voto è vincolante per le organizzazioni sindacali.
5. Le organizzazioni sindacali sono tenute a indire la consultazione referendaria= a scrutinio segreto fra tutti lavoratori e lavoratrici qualora essa sia richi= esta da una percentuale minima di lavoratrici e lavoratori (che potrà var= iare da settore a settore) oppure da una percentuale minima di delegati e delega= te eletti e regolarmente certificati. La consultazione referendaria sarà indetta anche qualora ne facesse richiesta una delle organizzazioni sindaca= li rappresentative.
E’ altresì necessario realizzare una validazione democratica delle piattaforme rivendicative e degli accordi raggiunti nella contrattazione sociale territoriale.
Democrazia e rappresent= anza sindacale debbono essere diritti di tutti i lavoratori e lavoratrici del pa= ese: per questo è necessario estenderli anche nelle imprese sotto i 16 dipendenti, alle quali va esteso l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
2. Più partecipazione e più politica per il sinda=
cato
significano necessariamente anche più confederalità. La
profondità della crisi e le grandi trasformazioni degli assetti
produttivi nel mercato del lavoro, in generale nell’economia e nella
società, rimandano, infatti, a un nuovo grande problema di
riunificazione del mondo del lavoro. Si riproducono, cioè, condizioni
che
2.1 Un’idea alta di confederalità s’invera dentro una progettualità che ne definisca con precisione l’identità e la proposta politica. La scelta di caratterizzarci come sindacato di programma, definita al XII Cong= resso, mantiene inalterata la sua attualità; anzi, dalla crisi del paese tr= ae ancor più forza. E, allo stesso modo, la centralità dei dirit= ti decisa dall’ultimo Congresso, rappresenta l’orizzonte valoriale entro il quale praticare oggi politiche per l’unificazione del mondo = del lavoro.
2.2 Tale
progettualità rappresenta, altresì, condizione per
l’autonomia del sindacato. Le ragioni dell’autonomia affondano
certamente nella storia della Cgil e non solo; così come la sua dife=
sa,
nelle varie fasi storiche, ha poggiato su diverse motivazioni; è sta=
ta
garantita dall’impegno personale delle compagne e dei compagni che ne
hanno portato la responsabilità, ma oggi, accanto a tutto ciò,
prevale certamente l’aspetto della progettualità intesa come i=
dea
generale di società e proposta politica concreta per realizzarla. In
questo senso va assunta come vincolo essenziale. E questo, soprattutto, in
presenza dell’evolversi del sistema politico italiano. Il formarsi di
schieramenti politico-programmatici fra loro alternativi rende, infatti, an=
cor
più indispensabile la definizione di un progetto sindacale con il qu=
ale
interloquire – pena l’essere esposti, in particolare agli occhi=
di
chi rappresentiamo, a rischi oggettivi di subalternità – per
verificarne la vicinanza o la distanza dai programmi degli schieramenti.
Nessuna indifferenza, di conseguenza, ma autonomia piena. Naturalmente la
definizione di un tale progetto non riguarda solo
2.3 La stessa unità
sindacale non può prescindere dalla costruzione di un progetto comun=
e.
Lo stesso insopprimibile pluralismo esistente fra le Confederazioni –=
e
che poggia su ragioni eminentemente sindacali, relative, tra l’altro,=
a
come storicamente ciascuna ha inteso l’esercizio della funzione sinda=
cale
– se non si misura con questa ricerca comune, anziché
rappresentare – come effettivamente rappresenta – una ricchezza,
rischia di costituire un ostacolo insormontabile. Per questo avanziamo a Ci=
sl e
Uil la proposta di lavorare assieme alla definizione di una Carta programma=
tica
dei valori del sindacato confederale. Valori che, nel caso dell’assol=
uto
rispetto del pluralismo e della gelosa difesa dell’autonomia, sono co=
muni
da tempo, anche se declinati in modo diverso all’interno di ogni
organizzazione.
TESI 9 ALTERN=
ATIVA (Rinaldini)
1. La società italiana ha bisogno di più partecipazione. Occorre, perciò, invertire il trend di questi ultimi anni contrassegnato da una progressiva e costante riduzione degli spazi di partecipazione, conseguenza, anche, dell’avanzare di quell’idea= di democrazia plebiscitaria che ha connotato la politica del centro-destra. Una prova decisiva di questa tendenza è rappresentata dall’allontanamento, sempre più marcato, dalla vita politica e sociale di soggetti che ne erano stati protagonisti, come le donne. Il prob= lema è di assoluta evidenza per il mondo del lavoro. La scelta perseguita= nel corso di questi anni della precarizzazione e individualizzazione dei rappor= ti di lavoro, la scomposizione del ciclo lavorativo e l’offensiva nei riguardi della contrattazione collettiva, sono parte integrante e determina= nte di questo processo. Estendere, quindi, gli spazi di partecipazione per rend= ere più forte la democrazia, vuole dire anche abrogare e sostituire l’attuale legislazione sul lavoro.
1.1. Occorre riattu= alizzare tutti i canali che hanno consentito anni addietro una grande e proficua stagione di partecipazione democratica, a livello istituzionale, politico e sociale. Bisogna intanto colmare il deficit di democrazia e rappresentanza determinato dall’assenza delle donne, ai vari livelli politici, socia= li e istituzionali del paese. È necessario invertire una tendenza. L’elezione diretta dei sindaci, dei presidenti di Regioni e Province = non determina in sé una caduta di partecipazione. In tutti i casi occorre battersi contro ogni insorgere di problemi di questa natura – ridando= in particolare ruolo e funzione alle assemblee elettive – e sviluppare iniziative che consentano a ogni cittadino e a ogni cittadina di concorrere= da protagonista ai processi decisionali. Allo stesso modo occorre riaprire can= ali di partecipazione effettiva dell’utenza nei grandi sistemi pubblici – sanità, scuola e politiche sociali, innanzitutto – attraverso le loro associazioni di rappresentanza. Così come il terzo settore – per il quale si conferma la necessità, prevista anche nella recente intesa Cgil Cisl Uil e Forum del terzo settore, di garantire = ai lavoratori che vi operano diritti e piena applicazione dei contratti di lav= oro – innanzitutto nella sua componente di volontariato, deve effettivame= nte rappresentare esso stesso uno strumento della partecipazione democratica, in particolare alla progettazione della politica sociale. Ma non vi può essere partecipazione diffusa se non si realizzano condizioni che ne favoriscano lo sviluppo anche nei partiti. C’è bisogno che i n= uovi partiti, nati negli ultimi quindici anni e che hanno cambiato radicalmente = la fisionomia delle vecchie forme di rappresentanza, siano luoghi di rappresentanza dei cittadini e delle cittadine e di promozione d’idee, culture e valori, a partire dalla riaffermazione di una nuova centralit&agr= ave; del lavoro. Anche nel corso di questi anni si è accentuata la distanza tra la politica e le dinamic= he che coinvolgono il lavoro, contribuendo a determinare la percezione d’isolamento delle lavoratrici, dei lavoratori e degli strati sociali più deboli.
1.2. Più partecipazione deve significare anche più contrattazione e quindi più sindacato. C’è bisogno di consolidarla, estenderla e qualificarla. C’è bisogno, in sostanza, anche in questo caso, = di invertire una tendenza di questi ultimi anni, in particolare relativamente = agli orientamenti del governo centrale e di quelli regionali e del sistema delle autonomie che lo hanno imitato. Occorre, perciò, più contrattazione territoriale e sociale in grado non solo di meglio tutelare e difendere le condizioni di vita e di reddito delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, ma anche di incidere sugli assetti economici, sociali, ambientali e di potere di un territorio. &Egrav= e; in questo modo che si completa il già citato quadro di partecipazion= e e di protagonismo nell’assetto dei grandi sistemi pubblici. Allo stesso modo c’è bisogno anche di relazioni sindacali strutturate R= 11; entro le quali ricondurre anche la legge 146/90 e i suoi interventi corrett= ivi allo stretto ambito dei servizi essenziali, superando la logica dell’= iter di regolamentazione – e improntate a un’effettiva volontà= ; di considerare il sindacato un elemento essenziale e imprescindibile della dialettica impresa-lavoro.
1.3. Nei luoghi di lavoro=
la
democrazia e la partecipazione rappresentano l’asse strategico per
definire nuovi assetti di potere. Se l’imperativo oggi è la
valorizzazione del lavoro, se rimane di prima grandezza l’obiettivo di
accrescere il potere dei lavoratori nei luoghi della produzione e negli uff=
ici,
se libertà e uguaglianza passano anche dalla conquista del diritto a=
lla
formazione permanente e alla piena accessibilità dei lavoratori ai
processi formativi acquisitivi di nuovi saperi, se la disarticolazione del
mercato del lavoro ci consegna una battaglia per nuovi diritti e tutele,
è vitale, innanzitutto, affermare il valore della democrazia e
allargarne progressivamente gli spazi. Sullo stesso terreno della democrazia
sindacale e cioè del rapporto tra le organizzazioni sindacali i lavo=
ratori
e le lavoratrici l’esperienza di questi anni ci consegna il problema
irrisolto. Le forme e le modalità di approvazione delle piattaforme e
degli accordi a livello confederale e di categoria sono state diverse,
consegnandoci la fotografia di molteplici procedure democratiche a disposiz=
ione
dei gruppi dirigenti e dei mutevoli rapporti tra le organizzazioni sindacal=
i.
Ciò è avvenuto anche a fronte dei momenti più alti di
espressione della democrazia sindacale come è stato il referendum su=
lla riforma
delle pensioni promosso da Cgil, Cisl, Uil nel 1995. Il problema non &egrav=
e;
più eludibile.
1.4. In questo contesto &= egrave; necessario definire con le altre organizzazioni sindacali forme e modalità di un percorso democratico unitario. Ciò avrebbe un valore unitario evidente e rappresenterebbe un riferimento assolutamente significativo per l’iniziativa legislativa.
Un percorso democratico c= he definisca un quadro di regole certe ed esigibili, che consentano la periodicità triennale delle elezioni delle Rsu su base proporzionale= e la certificazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali.
Un percorso democratico su
piattaforme e accordi, che valorizzi il ruolo delle Rsu o di un’assem=
blea
nazionale dei delegati eletti su base proporzionale contemporaneamente al v=
oto
sulla piattaforma, assegnando loro la responsabilità di seguire la
trattativa nelle sue diverse fasi e di esprimere la valutazione
sull’ipotesi conclusiva. Tale percorso deve esser comprensivo della
validazione finale da parte di tutti i lavoratori e lavoratrici con il voto
referendario.
2. Più partecipazione e più politica per il sinda=
cato
significa necessariamente anche più confederalità. La
profondità della crisi e le grandi trasformazioni degli assetti
produttivi nel mercato del lavoro, in generale nell’economia e nella
società, rimandano, infatti, a un nuovo grande problema di
riunificazione del mondo del lavoro. Si riproducono, cioè, condizioni
che
2.1. Un’idea alta di confederalità s’invera dentro una progettualità che ne definisca con precisione l’identità e la proposta politica. La scelta di caratterizzarci come sindacato di programma come definita nel XII Congresso mantiene inalterata la sua attualità; anzi, dalla crisi del paese essa trae ancor più forza. E, allo stesso modo, il significato strategico della centralità dei diritti decisa dall’ultimo Congresso, rappresenta l’orizzonte valoriale entro il quale praticare oggi politiche per l’unificazione del mondo del lavoro.
2.2. Tale progettua= lità rappresenta, altresì, condizione per l’autonomia del sindacato= . Le ragioni dell’autonomia affondano le proprie radici nella storia della Cgil e non solo; così come la sua difesa, nelle varie fasi storiche,= ha poggiato su diverse motivazioni; è stata garantita dall’impegno personale delle compagne e dei compagni che ne hanno portato la responsabilità, ma oggi, accanto a tutto ciò, prevale certame= nte l’aspetto della progettualità intesa come idea generale di soc= ietà e proposta politica concreta per realizzarla. In questo senso va assunta co= me vincolo essenziale. E questo, soprattutto, in presenza dell’evolversi= del sistema politico italiano. Il formarsi di schieramenti politico-programmati= ci fra loro alternativi rende, infatti, ancor più indispensabile la definizione di un progetto sindacale col quale interloquire – pena l’essere esposti, in particolare agli occhi di chi rappresentiamo, a rischi oggettivi di subalternità – per verificarne la vicinanz= a o la distanza dai programmi dei diversi schieramenti politici. Nessuna indifferenza, di conseguenza, ma autonomia piena. Progettualità e democrazia sono alla base della scelta dell’autonomia come indipenden= za politica e culturale. Questo comporta in primo luogo il riconoscimento di u= n punto di vista del lavoro diverso da quello dell’impresa e del mercato. Parimenti nel rapporto con il potere politico il sindacato può avere governi avversari, ove l’esecutivo – come ha fatto il governo di centro-destra – vari una legislazione che riduca i diritti del lavoro= e pratichi la rottura dell’unità sindacale, ma non può av= ere governi amici a cui delegare le proprie funzioni.
Naturalmente la def=
inizione
di un tale progetto non riguarda solo
2.3. La stessa unit&agrav=
e;
sindacale non può prescindere dalla costruzione di un progetto comun=
e.
Lo stesso insopprimibile pluralismo esistente fra le Confederazioni –=
e
che poggia su ragioni eminentemente sindacali, relative, tra l’altro,=
a
come storicamente ciascuna ha inteso l’esercizio della funzione sinda=
cale
– se non si misura con questa ricerca comune, anziché
rappresentare – come effettivamente è – una ricchezza,
rischia di costituire un ostacolo insormontabile. Per questo avanziamo a Ci=
sl e
Uil la proposta di lavorare assieme alla definizione di una Carta programma=
tica
dei valori del sindacato confederale. Valori che, nel caso dell’assol=
uto
rispetto del pluralismo e della gelosa difesa dell’autonomia, sono co=
muni
da tempo, anche se declinati in modo diverso all’interno di ogni
organizzazione.
<= o:p>
TESI 10
1.
2. La riflessione congressuale deve innanzitutto misurarsi col permanere di difficoltà a che l’organizzazione possa compiutamente definirsi di donne e di uomini. Grandi passi avanti sono stati compiuti, prima con la politica delle quote e poi con la definizione della norma antidiscriminatoria. Ciò ha certamente consentito l’ingresso delle donne negli organismi dirigent= i ai vari livelli, ma non la loro adeguata presenza negli esecutivi e, ancor men= o, l’assunzione di responsabilità generali. Sono questi un limite= e una contraddizione, assolutamente da superare, su quel cammino che valorizz= a la differenza come l’architrave della nostra rappresentanza e democrazia= .
3. La disarticolazione del mondo del lavoro, i giganteschi proc=
essi
di precarizzazione, la frammentazione dell’assetto produttivo in picc=
ole
e piccolissime aziende, l’enorme numero di disoccupati e di espulsi d=
al
processo produttivo, la presen=
za massiccia
di migranti, pongono alla Cgil il tema della rappresentanza di queste
lavoratrici e lavoratori. La nostra struttura organizzativa è, infat=
ti,
ancora sostanzialmente quella costruita negli anni del fordismo e del
taylorismo, scarsamente perciò incline a ridefinirsi in forme e
modalità in grado di intercettare il nuovo che emerge dalla reale
composizione del mondo del lavoro e degli assetti produttivi. In questo sen=
so,
pur confermando l’articolazione secondo le matrici storiche – o=
rizzontale
e verticale – nelle quali è strutturata
4. Ma accanto a ciò occorre anche affermare davvero una nuova centralità del territorio. Tutti i grandi processi di trasformazione in atto ci indicano proprio a quel livello il massimo delle trasformazioni economiche, sociali, produttive e il conseguente nuovo bisog= no di sindacato. Più sindacato e più contrattazione, perci&ograv= e;. Nel primo caso inteso come un più radicato insediamento sociale; nel secondo come capacità d’incidere negli assetti economici, infrastrutturali, produttivi, del mercato del lavoro, nonché in quel= li riferiti alle politiche sociali. Ciò comporta, di conseguenza, più confederalità, innanzitutto intesa come un quadro definit= o e condiviso, ai vari livelli, di strategie e di politiche entro il quale ogni struttura eserciti le proprie prerogative. Ma significa anche poter contare= su una Cgil fortemente decentrata e reinsediata nel territorio, con le sue categorie e i suoi servizi, capace di intercettare e rappresentare nella lo= ro complessità i bisogni là dove essi prendono forma e visibilità. Serve, dunque, un’organizzazione che si decentri e= si doti di strutture, di risorse e capacità fortemente e capillarmente insediate nel territorio.
5. Ma più confederalità anche come capacità= ; di ricercare, in una nuova logica di flessibilità organizzativa, le for= me e i modi di una più efficace rappresentanza del mondo del lavoro. E= 217; il caso di milioni di lavoratrici e di lavoratori migranti che sono oggi in Italia. Anche il versante della loro rappresentanza nella Cgil deve accompagnare – ancor meglio precedere – la definizione di politiche d’accoglienza= e di cittadinanza. Grandi passi avanti sono stati compiuti e più forte è oggi il nostro insediamento tra di loro. La battaglia per la regolarizzazione e gli stessi servizi che abbiamo attivato hanno facilitato questo processo. Rimane, però, il problema di un’assoluta marginalità della presenza di compagne e compagni migranti in ruoli = di direzione della Confederazione. Questo produce uno scarto evidentissimo di rappresentanza che, alla lunga, può vanificare il lavoro fin qui svo= lto, proprio perché esiste un rapporto diretto fra rappresentanza reale e qualità e forza delle politiche di un’organizzazione. La stessa qualità della nostra contrattazione sulla molteplicità delle problematiche dei migranti può rischiare perciò di rinsecchir= si. Rendere credibile questo proponi= mento significa assumere in modo vincolante un processo in grado, in tempi certi,= di qualificare proporzionalmente la presenza degli immigrati negli organismi dirigenti.
6. Anche la partecipazione delle giovani generazioni alla vita e alla direzione della Cgil è assolutamente inadeguata. Questa parte d= el mondo del lavoro è quella che più subisce gli effetti negativi delle trasformazioni perpetrate dalle politiche neo-liberiste. E proprio le giovani e i giovani hanno, perciò, maggior bisogno di rappresentanza. Peraltro, sono portatrici di valori e di convincimenti politico-sociali nuo= vi e a volte diversi da quelli storicamente affermati in Cgil. E nessuna operazi= one “illuministica” compiuta dalle generazioni precedenti può sostituire una loro effettiva rappresentanza. Occorre, pertanto, ricercare soluzioni che evitino il riprodursi per la seconda volta di un salto generazionale che produrrebbe ancor più rilevanti conseguenze negati= ve.
7. Pur se sancito in modo vincolante dallo Statuto confederale,=
il
riequilibrio della rappresentanza di genere ha avuto un andamento incerto e=
non
lineare nella composizione dei gruppi dirigenti delle diverse strutture
orizzontali e verticali della Cgil. Si sono determinate preoccupanti battute
d’arresto che vanno definitivamente corrette in occasione del congres=
so.
L’Italia è ancora oggi tra le ultime nazioni nella graduatoria
stilata dalle Nazioni Unite sulla parità tra i sessi: siamo indietro
quanto a presenza delle donne nei luoghi della rappresentanza istituzionale=
e
politica. Le condizioni materiali di vita delle donne stanno regredendo,
importanti conquiste sono state messe in discussione da una produzione
legislativa che non rispetta le donne, il loro ruolo nella società, =
le
loro aspirazioni.
8. La democrazia nella Cgil si fonda su molteplici pluralismi
– a partire dal valore della differenza di genere, da quelli
programmatici a quelli di struttura legati alla rappresentanza
d’interessi - e su un sistema di regole che ne garantiscono la piena
legittimità e agibilità. Con la riforma dello Statuto operata=
dal
XIII Congresso e la successiva definizione di regole per la nostra vita
interna,
9. Si tratta ora di ragionare su uno sviluppo di questa fase in grado di ulteriormente rafforzare la nostra democrazia interna e di meglio rispondere innanzitutto ai problemi di rappresentanza, di partecipazione e = di unità della Confederazione. Tre appaiono le problematiche – fra loro anche sufficientemente intrecciate – da analizzare e sulle quali aprire una proficua discussione nel Congresso: le modalità di selezi= one dei gruppi dirigenti; la funzione di garante del pluralismo affidata alla figura del segretario generale; la distribuzione solidale delle risorse. Per quanto concerne la modalità di selez= ione dei gruppi dirigenti occorre innanzitutto trovare soluzioni certe ed esigib= ili – a partire dall’obbligatoria applicazione della norma antidiscriminatoria, anche nella composizione delle segreterie – in g= rado di rispondere ai problemi di rappresentatività qui sollevati. La nor= ma antidiscriminatoria va quindi applicata e costituisce criterio di valida costituzione degli organismi esecutivi. Si tratta, poi anche, di rendere davvero centrale il ruolo degli organismi dirigenti nella selezione dei gru= ppi dirigenti. L’esperienza di questi anni ci consegna, infatti, uno squilibrio fra lo strumento della consultazione individuale e la sovranità dei Comitati direttivi. Essi sono stati spesso relegati sostanzialmente a luoghi di ratifica formale, col voto segreto, di decisioni che non li hanno visti davvero protagonisti. In sostanza, devono costituire luoghi di discussione collegiale ed esplicita sulle candidature, sulle ragi= oni per le quali vengono avanzate, sulla loro adeguatezza e rappresentatività, anche relativamente ai nostri pluralismi. E questa prassi rappresenta un l= imite politico che, alla lunga, può condizionare la stessa costruzione e salvaguardia della nostra unità. Per quanto riguarda la figura del segretario generale, essa ha svolto una funzione primaria nella garanzia dell’unità e del pluralismo delle strutture. Questo però= ;, combinato ai problemi riscontrati nelle modalità di selezione dei gr= uppi dirigenti, ha sovresposto la figura del segretario generale nell’esercizio del diritto di proposta per la composizione della segreteria. Si corre il serio rischio che venga ridimensionata oggettivamen= te la piena funzione di rappresentanza degli esecutivi, col rischio di relegar= li a pure funzioni di staff. Infine, occorre affrontare il tema dello squilibrio nell’utilizzo delle risorse. Questo, oltre a determinare una consiste= nte diversità nell’esercizio effettivo delle funzioni sindacali – con evidenti problemi d’insufficienza di alcune strutture rispetto alle necessità che sarebbero loro proprie – rischia di alterare anche i rapporti di autonomia e di eguaglianza tra le strutture e d’influire oggettivamente anche sulla democrazia dell’organizza= zione.