Come molti compagni già sapranno l’Assemblea Nazionale dei Quadri CGIL prevista per i giorni 6-7 marzo è stata spostata ai giorni 3-4 aprile. La nuova data scaturisce dall’esigenza di posticipare questo importante appuntamento rispetto all’Assemblea annuale di Confindustria programmata per metà marzo, una assemblea che si preannuncia molto importante poiché come è risaputo essa varerà il programma economico dell’Associazione degli imprenditori di cui si sono già avute numerose anticipazioni. La Segreteria Nazionale della CGIL ha ritenuto opportuno fare della nostra Assemblea Nazionale la sede più autorevole per una valutazione ed una risposta alle proposte che scaturiranno da Confindustria ed è questa la ragione che ci porta a ritenere giusta la decisione di spostare in avanti di qualche settimana il suo svolgimento.
Per quanto riguarda la discussione in questo nostro
Direttivo la sostanza non cambia se non per il fatto che la Segreteria
Nazionale Fillea ha ritenuto utile fare di questa sede l’occasione per valutare
ed assumere una proposta complessiva circa l’iniziativa che dovrà vedere
impegnata la nostra organizzazione nel periodo che ci separa dalla pausa
estiva. Vorremmo cioè che da una valutazione sulla fase politica e sindacale
nella quale siamo oggi immersi scaturisse un programma di lavoro che definisse
la collocazione della Fillea in termini di proposte e di iniziativa nei mesi che
abbiamo davanti, per dare un senso programmatico
al lavoro che stiamo facendo e a quello che dobbiamo fare.
Del resto i problemi connessi all’evoluzione della
fase politica e sociale che abbiamo davanti non sono affrontabili con risposte
contingenti, parziali, improvvisate. E’ oggi più che mai che occorre dare un
senso strategico alle cose sulle quali siamo impegnati, tanto più se il quadro
politico dovesse subire un’evoluzione negativa con le prossime elezioni,
ipotesi che tutti siamo impegnati ad evitare, ma che potrebbe alimentare
–qualora si verificasse- l’istinto difensivo e di arroccamento di ampi settori
da noi rappresentati.
Ma anche se le cose dovessero andare bene per il
centro-sinistra vi sarebbe un medesimo bisogno di imprimere un carattere nuovo
all’azione dell’esecutivo, per dare proprio quel respiro strategico che su
molti terreni dello sviluppo ancora non si è espresso con la dovuta necessità.
Avendo deciso, per le ragioni ormai a tutti note, il
rinvio del Congresso, con l’Assemblea Nazionale dei Quadri la CGIL ha inteso
impegnare tutta l’organizzazione nello sforzo di dare un carattere forte
all’iniziativa sui temi principali dello sviluppo e dei diritti, in una fase
nella quale la politica è chiamata a misurarsi su queste sfide.
La Fillea deve fare la sua parte e lo deve fare in
modo sistematico, con la necessaria continuità e profilo strategico. Per questo
vi proporremo con questa sessione del Comitato Direttivo di assumere decisioni
impegnative per il nostro lavoro dei prossimi mesi, certi come sempre che la
nostra categoria non mancherà agli appuntamenti.
Solo qualche commentatore sprovveduto può attribuire
alla recente polemica con la Confindustria, un significato legato ai disegni
personali dei protagonisti. In realtà il contenuto di tale polemica nasconde
obiettivi molto precisi che riguardano una modifica sostanziale ed in alcuni
casi radicali della politica e delle relazioni sindacali di questi ultimi anni.
Non voglio addentrarmi in valutazioni politiche in senso stretto, lo ha già
fatto Cofferati nella sua intervista su Repubblica dello scorso 5 febbraio e
valgono per me quelle considerazioni sulle scelte di schieramento sulle quali
il Presidente di Confindustria rischia di portare la sua organizzazione.
E’ sufficiente qui rimanere al merito sindacale.
La pretesa di condizionare la trattativa sul TFR ad
un regime di maggiori flessibilità in uscita equivale esattamente all’obiettivo
di modificare l’Art.18 dello Statuto, violando oltretutto l’opinione di quei 10
milioni di cittadini che al referendum hanno respinto la richiesta dei
referendari di liberalizzare il diritto al licenziamento.
Il tentativo di affossare l’esperienza della
concertazione insegue l’idea di ricreare un rapporto diretto tra Stato ed
imprese per quanto riguarda soprattutto il flusso di risorse che si continua a
chiedere allo Stato, alla faccia del liberalismo tanto decantato. Risorse per
niente finalizzate, soprattutto sul versante dell’innovazione e
dell’investimento sulla qualità del lavoro, dalla lotta al lavoro nero alla
funzione strategica della formazione. Confindustria ed Ance parlano spesso di
lotta al sommerso, poi si scopre che gli strumenti, anche quei pochi esistenti,
oltretutto disponibili con l’ultima finanziaria non vengono utilizzati, salvo
chiedere di agire su nuovi sgravi fiscali e sulla leva dell’Irpeg, che con la
lotta finalizzata al lavoro nero non c’entra proprio nulla.
L’0biettivo di depotenziare i due livelli di
contrattazione per privilegiare una rapporto sempre più diretto tra impresa e
lavoratore fa il pari con il tentativo si superare la concertazione, ossia
tutte le sedi del confronto o negoziali che obbligano il sistema delle imprese
a misurarsi con politiche generali dello sviluppo e della tutela dei
lavoratori.
Non c’è niente di nuovo sotto il sole rispetto alle
nostre precedenti valutazioni sugli orientamenti assunti dalla maggiore delle
associazioni padronali, in particolare con la nuova Presidenza D’Amato. Abbiamo
già detto più volte che la sostanza della politica Confindustriale è quella di
cercare attraverso scorciatoie quella capacità competitiva che è mancata e
manca al sistema delle imprese italiane in ragione della incapacità (e della
mancanza di volontà) mostrata in tutti questi anni di introdurre i necessari
fattori di innovazione. Cercare la via della competizione solo ed ancora
esclusivamente attraverso la via della riduzione dei costi in assenza di quella
innovazione non può che significare intervenire sul costo del lavoro. Ecco allora
che alcune leve che potrebbero pure avere una efficacia se inserite in una
reale strategia di trasformazione dell’impresa ispirata alla qualità dei
processi e dei prodotti, parlo della flessibilità, della formazione, delle
politiche di sostegno all’impresa, diventano ancora una volta la via più breve
per tagliare sul costo del lavoro.
Ma per fare questo occorre svincolare l’impresa
dalle responsabilità connesse allo sviluppo –da qui la fine della
concertazione- e occorre liberare l’impresa da un sistema di relazioni
sindacali che nel suo assetto contrattuale e nel suo sistema di norme a tutela
del lavoro risulta di ostacolo nel percorrere quella via che già in passato non
ha portato molto lontano l’industria italiana.
E quando parlo di costo del lavoro non intendo dire
che si pensa ad un mondo del lavoro con salari più bassi. Ce lo ha ricordato
Baretta, dando a noi la colpa degli attuali salari bassi. In realtà si pensa ad
un sistema di costi del lavoro gestito il più direttamente possibile nel rapporto
tra impresa e lavoratori, libero da criteri e parametri di qualità complessiva
e di solidarietà dentro i settori e tra le realtà produttive e territoriali.
Tutto questo niente ha a che fare, intendiamoci, con
le esigenze oggettive di dedicarci alla manutenzione fisiologica degli assetti
contrattuali e del sistema di relazioni. Che l'accordo del 23 luglio 1993,
soprattutto dopo le disdette ufficiali in alcuni settori come quello
dell’artigianato, debba essere oggetto di una sua ridefinizione nel contesto degli
anni duemila non lo nega nessuno. Ma un conto è proporci di valorizzare
nell’attuale contesto i fattori vincenti di quell’esperienza, penso per quanto
ci riguarda -ad esempio- all’impianto contrattuale che valorizza i soggetti
della contrattazione a tutti i livelli, altro è proporsi la negazione delle
funzioni dei soggetti generali della contrattazione, quelli che hanno garantito
il mantenimento di una rotta che ha consentito al sistema economico e
produttivo di superare gli scogli della crisi.
Qualcuno, soprattutto in casa confindustriale, ma
anche nelle altre case imprenditoriali e non solamente, può pensare che gli
squilibri economici e produttivi persistenti, il lavoro sommerso in crescita,
gli infortuni anch’essi in crescita e quant’altro -nonostante la prolungata fase di crescita vissuta dal Paese- sia
il frutto di una maledizione che si accanirebbe contro questo Paese. In realtà
tutto ciò è il frutto di una cultura industriale ancora prevalente tra le
imprese, è la conseguenza di scelte precise fatte in tutti questi anni,
ispirate in larga parte al prevalere degli interessi a breve rispetto alla
necessità di guardare con strategie più di medio e lungo termine allo sviluppo
del sistema impresa. E non può continuare il giochino di scaricare sempre e solamente su altri le responsabilità
di una cattiva politica imprenditoriale.
Poi c’è l’intreccio con la politica. Evidentemente
le forzature più recenti di Confindustria fanno parte anche di un preciso
disegno politico che punta a mettere in difficoltà più di quanto già non lo sia
il centro-sinistra. Come cittadini questo può preoccupare tanti di noi e
determinare in noi l'esigenza di una risposta ancora più forte, ma come
sindacalisti, come sindacato dei lavoratori dobbiamo preoccuparci delle implicazioni
che quel disegno ha sulla nostra rappresentanza e nei confronti del nostro
progetto di sviluppo del Paese.
Non è certo la CGIL che ha risparmiato in questi
cinque anni le critiche che dovevano essere fatte – quando dovevano essere
fatte- ai governi di centro-sinistra. L’opinione forse un po’ improvvidamente
manifestata dal Ministro Salvi sugli accordi separati può avere fatto il gioco
di chi ha motivo di sostenere il rapporto di dipendenza tra questo Governo e la nostra
Confederazione, ma è del tutto evidente il carattere strumentale di queste
operazioni. Chi mente sa benissimo di mentire perché una organizzazione che fa
dell’autonomia un elemento costitutivo sa bene che essere autonomi significa
apprezzare quando c’è da apprezzare e criticare o contestare quando va
criticato e contestato. Se non fosse così difficilmente, per fare un esempio,
la CGIL avrebbe potuto superare con successo, come è accaduto, tutte le prove
elettorali nei settori più ostici della pubblica amministrazione, diventando
quasi in tutti questi settori la prima organizzazione.
Del resto la stessa minaccia degli accordi separati
è una implicita conferma di quanto chi mente sa di mentire perché colpire la
CGIL, tentare di isolarla, significa colpire proprio quel soggetto che non risponde
a nessuno se non a se stessa delle azioni e delle scelte che compie e per
questo molto scomoda. Se dobbiamo apprezzare una scelta fatta dalla
Confindustria lo facciamo senza porci il problema che è la Confindustria, così
come contestiamo energicamente quelle che non apprezziamo. E così è con il
Governo, anzi con tutti i governi, compresi quelli decentrati, che cominciano
ad avere sempre maggiori poteri, quelli diretti dalla destra e anche dalla
sinistra. Questa è stata ed è la CGIL nell’epoca del centro sinistra, cioè la
stessa CGIL che è stata prima e che sarà ancora dopo. Sta in questo il nostro
essere scomodi e dispiace un po’ sentire che certe critiche, oltrechè provenire
dagli ambienti non certo tradizionalmente vicini al sindacato, provengono anche
da sindacati che francamente da molto tempo, da parecchi mesi, non hanno fatto
nulla per nascondere il loro coinvolgimento in operazioni molto poco sindacali.
Quindi, se nulla di nuovo c’è sotto il sole, la
novità consiste nel fatto che questa politica della Confindustria dovrebbe
diventare un programma economico presentato alla prossima assemblea annuale. Ed
è questa la ragione dicevamo all’inizio che ha portato la CGIL ha posticipare
l’assemblea.
Nel mentre il clima politico-sindacale si
surriscaldava si è svolta a Roma la Conferenza Nazionale sui Lavori Pubblici
della quale avrete ormai acquisito i materiali di sintesi tramite il sito del
Ministero.
Contrariamente al clima di scetticismo che l’ha preceduta possiamo dire che alla
fine la Conferenza ha dato più di quello che pensavamo in molti, data la fase
particolare nella quale si teneva.
In definitiva dalla Conferenza è emerso un segnale
abbastanza chiaro circa la necessità che la lotta da condurre in quel settore,
ma con evidenti ed importanti ricadute nel settore privato, è quella della
qualità di tutti i soggetti che vi operano ed in questo la qualità del
fornitore, dell’impresa è stato un tema di grande centralità, assieme a quello
del fornitore e del progetto. Un po’ meno si è parlato del lavoro, ma forse
perché nelle intenzioni del Ministero vi era quella di centrare la discussione
sull’impianto normativo vigente, Comunque abbiamo fatto del nostro meglio per
recuperare questa debolezza.
Il punto –tuttavia-
importante è che gli assalti alla normativa sugli appalti, naturalmente
condotti con discreto fair play da vari fronti sono stati respinti e ne è
uscita una conferma importante della validità della legge sugli appalti, cosa
che non è poco importante di fronte alle promesse già avanzate in questo
preambolo di campagna elettorale di considerare una parte del sistema di grandi
opere terreno di intervento diretto dell’esecutivo se non addirittura del
premier.
Sarebbe cosa buona e utile se gli echi della
Conferenza non si spegnassero nell’iniziativa dei vari soggetti, cosa che
risulterà alquanto improbabile. Ma è proprio guardando alla necessità di
mantenere centralità al tema della qualità degli operatori, oltrechè della
normativa, che come Fillea, nel rapporto con le altre organizzazioni Filca e
Feneal e nel rapporto con le Confederazioni, per quanto ci riguarda a partire
dalla CGIL, dovremmo continuare a battere sul ferro.
D’altra parte dall’Ance provengono segnali e si
manifestano atteggiamenti ancora contraddittori. Se da un lato continua la
marcia verso l’acquisizione di importanti code contrattuali, vedi soprattutto
il Fondo per gli edili, dall’altra riaffiorano periodicamente tentativi di
spostare il confronto e le decisioni su terreni tutti funzionali all’impresa,
ovviamente nella loro ottica, questo sia su questioni specifiche come la sperimentazione della trasferta, la diffusione dell’interinale, sia su aspetti più generali, in particolare
sul terreno fiscale, guardando ad una reiterata fase di decontribuzione del salario di secondo livello.
Quello che emerge è comunque la tendenza ad
esonerare sistematicamente l’impresa dall’obbligo
strategico di misurarsi con nuove strategie di qualificazione che invertano
la tendenza ad una pericolosa destrutturazione del sistema, che poco porterebbe
alla necessaria ricerca competitiva.
Pochi dati sono sufficienti per non smarrire mai
l’oggetto di cui stiamo parlando: la media degli addetti da noi è del 3,1 contro il 4,2 dell’Europa; il 65%delle
imprese ha meno di 10 dipendenti ed il 64%
ha forma di impresa individuale; il 97%
opera in ambito comunale, il 2% in
quello provinciale e lo 0,6% a
livello regionale. Rispetto all’impresa europea l’impresa italiana è quella
dove si registrano più infortuni, dove esiste più lavoro nero (1:4 – 2:3 al
Sud), dove maggiore è il ricorso ai lavoratori extracomunitari.
La risposta strategica dell’Ance è ridurre le regole, maggiori aiuti fiscali,
maggiore flessibilità, come dire “dateci
di più e lasciateci fare di più da soli”. Non appare una grande e moderna
strategia di fronte al quadro del sistema impresa come si delinea oggi nel
nostro Paese.
Per questa ragione il nostro dopo-Conferenza punta a
considerare tra le priorità del settore una nuova politica industriale della
quale qualità del mercato e qualità dell’impresa rappresentino due
coordinate imprescindibili.
Nel primo caso, abbiamo già detto più volte di un
mercato che guardi allo sviluppo sostenibile. Il rischio è che l’attuale
discussione venga catalizzata da un approccio riduttivo al nodo
infrastrutturale, che resta un nodo decisivo. Ma il deficit infrastrutturale
dell’Italia è qualcosa di più diffuso e complesso di un ponte da costruire.
La campagna elettorale rischia di agitare il tema
delle infrastrutture in modo confuso e demagogico. Per questo è utile che la
Fillea, in rapporto con la CGIL stia in campo nella discussione sulle
infrastrutture e non è senza preoccupazione che abbiamo seguito il nulla di
fatto del lavoro in preparazione dell’iniziativa sulla Salerno Reggio Calabria.
Abbiamo recentemente attivato con la Segreteria
nazionale della CGIL una riflessione su questo punto e nei prossimi giorni
tenteremo di verificare con più precisione la possibilità di costruire sul tema
delle infrastrutture alcuni momenti di riflessione e di proposta. Comunque,
come Fillea dobbiamo immaginare nella nostra agenda di lavoro un momento di
questa natura sul quale vi chiediamo la possibilità di avere un nuovo approfondimento,
anche alla luce dei vostri suggerimenti.
La qualità dell’impresa è tema da far vivere
innanzitutto sul tavolo che abbiamo insistito nel creare presso il Ministero
LL.PP. a conclusione della Conferenza,. Un tavolo permanente che consenta anche
alle rappresentanze delle imprese e dei sindacati di osservare l’andamento
delle imprese sia rispetto alla loro dimensione, sia rispetto alla capacità
economica; osservare le caratteristiche delle imprese subappaltatrici, per
quanto riguarda la qualità del lavoro fornito; osservare le iniziative e gli
investimenti effettuati per prevenire gli infortuni.
Ma sono il complesso delle politiche e delle azioni
che abbiamo proposto alla Conferenza a definire i tratti di una nuova politica
industriale nel settore:
-
l’incentivazione
dei processi di innovazione produttiva ed organizzativa
-
un
piano di azione sull’innovazione, la formazione e la sicurezza
-
strumenti
che favoriscano processi di aggregazione imprenditoriale, con provvedimenti di
profilo fiscale che incentivino la fusione tra imprese e migliori assetti del
patrimonio aziendale
-
misure
premianti per le imprese che sviluppano l’occupazione
-
un
quadro normativo che dia certezze agli operatori e maggiore decisione nell’uso
di metodologie innovative quali la finanza di progetto
-
azioni
a sostegno di investimenti in settori innovativi dei mercati delle costruzioni
(recupero edilizia di sostituzione, gestione immobiliare, risorse idriche,
bonifiche, ecc..)
-
azioni
tese ad avviare un processo di responsabilizzazione della Pubblica
Amministrazione e delle sue strutture tecniche.
Ma è anche e soprattutto sulle politiche attive del
lavoro che può qualificarsi una nuova politica industriale nel nostro settore
Per questo motivo la Segreteria Nazionale nel
definire l’ipotesi di lavoro della nostra organizzazione per i prossimi mesi ha
scelto di indicare nel parametro della qualità ed innanzitutto nella qualità
del lavoro in edilizia e nel settore delle costruzioni la bussola del programma e delle cose concrete da fare.
La qualità del lavoro per una categoria come la
nostra di fatto è la risultante di una serie di problematiche e di un insieme
di azioni, un vero e proprio terreno orizzontale come si dice in gergo.
Ma è da qui che dobbiamo partire, anzi è qui, su
questo terreno che dobbiamo attestare la nostra iniziativa dei prossimi mesi
perché le notizie che arrivano dal
mercato del lavoro in edilizia sono sempre più preoccupanti. Se è in atto un
processo di destrutturazione dell’impresa, la destrutturazione del mercato del
lavoro è la prima e più evidente manifestazione di questa tendenza.
Per un settore come il nostro ciò assume un grande
significato poiché il lavoro manuale, il fattore lavoro rappresenta ancora un
fattore importante e consistente dell’impresa.
In estrema sintesi possiamo dire che tale
destrutturazione viene perseguita attraverso il ricorso sempre più crescente a
forme di lavoro precario e temporaneo, con una quota crescente di quello
illegale.
Il problema non è solo quello di un potere sindacale
messo in discussione da un mercato del lavoro atomizzato e sempre più
invisibile ma il fatto che diventa sempre più invivibile per chi è dentro, sul piano delle tutele contrattuali e
previdenziali, sul fronte della tutela della salute e della sicurezza, sul
terreno della crescita professionale.
Di fronte a questo spettacolo diventa assolutamente
ridicola, forse anche un po’ cinica, la polemica sulla flessibilità, almeno in
edilizia. Così come è assolutamente fuorviante la lettura che viene data al
nostro approccio a volte anche rigoroso al tema della flessibilità. Ripeto non
è il problema autoreferenziale del sindacato che rischia di non intervenire più
su nulla quanto il fatto che questo spettacolo è la risposta sbagliata in
termini di politica industriale alle sfide che abbiamo di fronte. Un impresa
che ricerca su questo terreno la competitività perduta (o mai avuta) può solo
illudersi di farlo. Come abbiamo detto alla Conferenza Nazionale dei LL.PP. l’uso
esasperato della flessibilità intesa come sottrazione di risorse non è solo un
dispetto che si fa al lavoro ma è la negazione di una opportunità di sviluppo
che si offre all’impresa, perché la flessibilità se inserita in un contesto di
investimenti materiali ed immateriali può essere una leva positiva per lo
sviluppo.
Non era un’altra ragione da questa la nostra
posizione sui contratti a tempo determinato, relativamente alla vicenda sul
recepimento della direttiva comunitaria, proprio per il fatto che il
riferimento ai tetti contrattuali ed alle causali ci consente di distinguere la
norma dall’eccezione e pone un freno all’abbaglio di cercare per una via che
non è quella di un investimento anche sul fattore umano la soluzione al
problema della competizione dell’impresa.
Sulla politica attiva del lavoro in edilizia
convergono dunque diverse problematiche molto presenti nel settore: gli
strumenti di accesso al lavoro (interinale, contratto a tempo determinato,
part-time, socio-lavoratore), la presenza crescente dei lavoratori
extracomunitari, le politiche della tutela e della sicurezza nei luoghi di
lavoro, la formazione professionale.
La nostra opinione, lo abbiamo già detto in altre
occasioni, è che il settore dell’edilizia e di gran parte quello delle costruzioni,
è il settore che più degli altri deve fare della formazione professionale il
principale strumento di tutela e di investimento sul lavoro, il volano sul
quale agire per tradurre la quota più ampia del fenomeno della mobilità
probabilmente inevitabile, in opportunità di lavoro e di crescita
professionale.
Ma non solo difendersi dalla destrutturazione
attraverso la formazione, ma fare della formazione il grimaldello con il quale
scardinare le politiche più selvagge dell’impresa ed imporre alle stesse di
misurarsi con moderne politiche di sviluppo qualitativo.
Dentro questa iniziativa dovremo per questo
riflettere sui nostri strumenti della formazione, a partire dal sistema
bilaterale della formazione, per avanzare una proposta di rilancio e di riqualificazione
delle sue funzioni nel nuovo contesto del mercato del lavoro.
La nostra proposta è di tenere nella seconda metà di
aprile una Conferenza Nazionale sul
lavoro in edilizia come momento di sintesi del nostro orientamento, delle
nostre proposte e della nostra iniziativa sulle questioni citate in precedenza.
Per le ragioni dette, i compagni capiranno che essa
rappresenterà per noi un momento importante del nostro lavoro, probabilmente il
momento centrale con il quale, oltre a dare risposte per noi, per il nostro
lavoro, potremo offrire un contributo concreto alla Confederazione, guardando
non solo al prossimo Congresso, ma alle cose da fare in questa stagione
sindacale. Ad esempio, guardando alla
contrattazione di secondo livello, che dovrà fare della qualità un terreno
concreto di rivendicazioni.
Il periodo ipotetico nel quale tenere questa
iniziativa è la settimana del 17-20 Aprile. La conferma della data è legata
alla presenza di Sergio Cofferati che dovrà concluderla così come la sua
localizzazione, che non escludiamo in una realtà del Mezzogiorno, anche per
dare un carattere preciso all’iniziativa, guardando cioè alla parte più
problematica del nostro mondo del lavoro.
Una iniziativa rivolta non solo al gruppo dirigente
più stretto, ma anche al nostro quadro dirigente nei luoghi di lavoro, proprio
per le finalità che vorremmo attribuire alla Conferenza, quella di attrezzare
il nostro esercito per il lavoro da fare sui vari fronti.
Ovviamente sarà compito della Segreteria predisporre
il lavoro di preparazione e di avvicinamento all’iniziativa, nonché le modalità
pratiche di svolgimento, il tutto se essa viene condivisa da voi.
Abbiamo tuttavia un’esigenza che è quella di avviare
nel frattempo un lavoro di riflessione e di proposta sui contenuti della contrattazione di secondo livello, sia
per alcune scadenze ravvicinate che premono al nostro fianco (il tetto
nell’edilizia), sia per una verifica più complessiva sul lavoro svolto fino ad
oggi e sulle prospettive.
E’ del tutto evidente che ciò muove dalla nostra
convinzione che l’assetto della contrattazione su due livelli è ancora quello
più utile alle nostre esigenze di tutela e di sviluppo del lavoro e
dell’impresa. E proprio per questo vogliamo imprimere a questa nostra
convinzione il conforto ed il sostegno di una azione attiva e di una proposta
di contenuto forte e coerente con la battaglia di qualità che vogliamo
condurre.
Esiste una “produzione” in materia di accordi di
secondo livello. Dobbiamo misurarla e valutarla nel suo contenuto e nella sua
dinamica.
Dobbiamo poi e questo è forse l’esigenza più forte
oggi, individuare alcune direttrici che in ognuno dei settori di riferimento,
all’interno delle specificità da loro espresse, faccia emergere le coerenze del
nostro progetto rivendicativo, sul salario, sulla professionalità, sulle
tutele, quelle della sicurezza sul lavoro ma anche quelle sulla sicurezza sociale, dato il peso sempre
maggiore che avranno nella contrattazione le materie previdenziali ed
assistenziali.
Per quanto riguarda, dunque, la contrattazione di
secondo livello proponiamo di tenere nei giorni 19-20 marzo un seminario della direzione nazionale,
anche qui in una località da stabilire, ma non a Roma, pensiamo in una realtà
del centro-nord, dove si possa ospitare per due giorni a prezzi competitivi la
nostra direzione nazionale.
Questo è un appuntamento abbastanza ravvicinato, che
abbiamo messo in agenda anche in conseguenza del rinvio dell’Assemblea
Nazionale della CGIL, ma la cui urgenza ci è stata sollecitata anche da diverse
strutture regionali e territoriali. Vi chiederemmo, pertanto, di fare uno
sforzo per assicurare la presenza dei compagni che saranno chiamati, perché
anche quello è un appuntamento-crocevia di varie vicende anche contrattuali
aperte.
Ad esempio non è mistero per nessuno che sul
versante dell’artigianato la contrattazione che risulta bloccata lo è in
funzione di una messa in discussione del modello contrattuale da parte di
alcune controparti (CGA) e dell’emergere di quelle differenze tra le confederazioni
che ci erano già note.
Nel caso della piattaforma del settore legno siamo
riusciti dopo un lavoro paziente a portare Filca e Feneal su una posizione
politica propedeutica all’apertura di una fase successiva che dovrebbe essere
quella della discussione e della presentazione della piattaforma, ma non sfugge
a nessuno quanto questa sia la parte più complessa dato il permanere di
differenze significative soprattutto con la CISL.
Per parte nostra, con l’Assemblea Nazionale
sull’Artigianato abbiamo ribadito la posizione della CGIL, certo disponibile ad
approfondire il confronto con l’obiettivo di guardare ad una evoluzione delle
posizioni reciproche per fare sintesi, ma senza rinunciare ad alcune nostre
convinzioni, due in particolari: il doppio
livello di contrattazione, che oggi significa difendere il primo (non è
come nel ’93 quando era il contrario!) a fronte della necessità di mantenere
uno strumento generale di omogeneizzazione di un primo livello di tutela, il
CCNL (non tutti esercitano tra l’altro il secondo livello, non tutte le aree
hanno questa forza, purtroppo); la
funzione del soggetto di rappresentanza, nel senso che non può esserci
sostituzione del sindacato con qualunque esperienza bilaterale, paritetica o
meno. Nessun soggetto terzo, benchè costituito anche con la nostra
partecipazione, può sostituire la nostra funzione sindacale, di soggetto di
rappresentanza: le deleghe dobbiamo farle noi, con “il nostro sudore”.
Ciò non significa essere sordi alla necessità di
guardare ad una evoluzione delle funzioni e del ruolo del bilateralismo, ma
occorre farlo avendo alcuni punti fermi. Faccio un solo esempio, quello della sanità integrativa.
Ormai è del tutto evidente che si va verso un
sistema misto per la tutela della salute. Ma non è questo lo scandalo, se
veramente abbiamo a cuore la salvaguardia di un sistema pubblico attestato ad
un livello di tutela universale. Il problema è che non possiamo immaginare
l’altro pilastro, quello della sanità integrativa, come l’abito di Arlecchino,
espressione di una mappa delle prestazioni e dei parametri di riferimento
totalmente differenziato tra aree territoriali e tra settori produttivi. E’ un
modo per fare rientrare dalla finestra il pericolo che abbiamo tentato di
tenere fuori dalla porta, cioè una sanità (o una pensione) dei più forti
diversa da quella dei più deboli.
Lo scandalo, dunque, non è se il sistema del
bilateralismo incrocia la riforma dello stato sociale, quanto se ciò avviene in
regime di puro Far West oppure con il nostro tentativo di affermare logiche e
criteri ugualmente equi, come per il sistema pubblico.
In parte questa problematica appartiene alla nostra
discussione sulla contrattazione di secondo livello (oltre a quella di primo
livello), in parte deve sollecitare, come abbiamo già detto nel caso della
formazione professionale, un ripensamento strategico delle funzioni del sistema
paritetico, anche per offrire una alternativa credibile alla deriva che
potrebbe assumere crescente consistenza a fare del bilateralismo terra di conquiste scriteriate, cioè, senza
criterio alcuno. Le vicende relative alle casse edili “spurie” (Sicilia e
Sardegna), la vicenda Aniem, la confusione che avvolge il Ministero del Lavoro
sulla materia sono qualcosa più di un comune campanello d’allarme. Sardegna e
Sicilia rischiano di fare “giurisprudenza” e a fronte di un possibile
cambiamento di quadro politico avrebbero orecchie più attenti e non meno sordi
ad ascoltare i pruriti di quei settori imprenditoriali dediti ormai a cercare con chi ci sta le soluzioni su misura
dei problemi di ogni singola rappresentanza, territoriali, settoriale e forse
anche aziendale, prima o poi.
L’assillo della sicurezza nei luoghi di
lavoro
L’altro capitolo importante del nostro programma di
lavoro è quello della sicurezza nei luoghi di lavoro, che in più di una
occasione abbiamo definito il nostro vero e proprio assillo quotidiano.
Non ho davvero nulla da aggiungere sul piano
dell’analisi, se non il fatto che menti attente non debbono essere tratte in
inganno dai recenti dati dell’Inail. E’ vero che i morti sul lavoro sono in
calo e questo non può che rallegrarci, ma i morti sono quelli che più fanno
notizia. In realtà le morti bianche sono sempre state per noi la punta di un
iceberg. Gli infortuni totali sono in crescita e questo avviene in ragione del
fatto che l’incremento della produttività non trasferisce una parte della
crescita al miglioramento della qualità del lavoro, esattamente ciò che
denunciamo da quando il motore della ripresa è ripartito. Il PIL al 2,8% è una
buona notizia, ma se gli infortuni crescono significa che di quel 2,8% poco è
andato a prevenzione e qualità.
Su questo terreno è chiaro che ci attende un lavoro
quotidiano, infaticabile ed è altrettanto chiaro che dobbiamo mobilitare i due
eserciti di cui disponiamo, anzi i due reparti di un medesimo esercito:
-
da
una parte gli RLS e RLST incaricati di battersi sul fronte dell’attuazione
delle norme sulla sicurezza. Verso questo reparto dell’esercito dobbiamo
continuare a fornire alimenti in termini di formazione, di agibilità e di coordinamento. C’è il punto complesso
dei RLST sul quale abbiamo prodotto accordi importanti, ma sul quale la
diffusione dell’esperienza incontra ancora ostacoli non secondari.
-
dall’altra
ci siamo noi, c’è il sindacato nelle sue funzioni di agente contrattuale, che
negozia il cambiamento delle condizioni. Non è un gioco di parole, poiché noi
siamo anche quelli che eleggono gli RLS e RLST, ma sono funzioni diverse, lo
abbiamo detto più di una volta.
Poiché su questo terreno il lavoro quotidiano va
sostenuto con grossi contributi in termini di sensibilizzazione del mondo del
lavoro e della società, la nostra idea è quella di proporre nel mese di maggio
una campagna nazionale sulla sicurezza
nei cantieri, per continuare a battere sul chiodo.
Una campagna nazionale che ci consenta di
concentrare in un periodo del calendario politico-sindacale-istituzionale di
tutto il Paese il maggior numero di iniziative centrali e decentrate,
tradizionali ed originali, che possa avere l’effetto di una massa d’urto
sull’opinione pubblica.
Vogliamo progettare con attenzione questa campagna,
proponendola a Filca e Feneal ovviamente, con l’intento di fare del sindacato
delle costruzioni un reparto di iniziativa permanente su questo fronte, dato
che sul nostro settore pesa una quota rilevante degli infortuni.
Arrivati a giugno cominceremo ad avvistare il lavoro
che ci porterà verso il Congresso.
E’ intenzione della Segreteria Nazionale affrontare
prima del Congresso alcune problematiche di politica organizzativa già oggetto
di scelte ed esperienze sul campo. In particolare, la questione dei livelli
organizzativi. Lo avremo dovuto fare con la Conferenza di Organizzazione che
non si è tenuta. Vogliamo farlo comunque, sia per ragionare sull’esperienza
compiuta con il superamento attraverso una strategia differenziata dei
regionali, sia per capire se sulla base di questa esperienza occorre introdurre
nuove riflessioni e nuove scelte. Ma soprattutto per evitare che il profilo
organizzativo della Fillea possa venire determinato da scelte o situazioni
legate al destino delle persone più che ai modelli.
Ma non vi è solo il problema delle strutture. Questa
è una categoria che deve avviare una nuova stagione nella costruzione del suo
gruppo dirigente, se non vuol trovarsi con le ruote sgonfie quando sarà
inevitabile che tante nostre fuori serie dovranno rientrare ai box o correre su
altre piste. Avevamo già detto in precedenti occasioni dell’appetibilità del
nostro gruppo dirigente ed è quello che sta puntualmente avvenendo. Compagni
importanti per la Fillea di questi anni ci hanno lasciati ed altri ancora ci
lasceranno nei prossimi giorni per passare a nuovi incarichi, per fortuna altri
sono arrivati o tornati ed arriveranno, compagni di qualità, di esperienza,
dunque di valore.
Colgo l’occasione –a questo proposito- di rivolgere
un saluto ed un benvenuto a tutti questi compagni, certo che per chi è uscito o
uscirà sarà la CGIL a trarre vantaggio, così come lo sarà per noi con chi
venendo in Fillea porterà il contributo di una esperienza nuova ed ugualmente
appassionata.
Ma dobbiamo investire sulla panchina verde, dobbiamo
liberare il massimo delle risorse disponibili per rifornire il nostro vivaio.
Su questo l’orientamento della Segreteria è chiaro. Tutti i nostri sforzi,
quelli maggiori, saranno per sostenere le strutture impegnate nella caccia a giovani quadri, lavorando in
entrambe le direzioni, il “mercato” esterno alla categoria e soprattutto in
quello interno attraverso il rilancio di una politica dei quadri che assuma la
formazione anche per noi quale volano della formazione dei gruppi dirigenti.
I risultati del tesseramento 2000 sono di buon
auspicio. La presenza di giovani quadri incontrati in diverse riunioni svolte
per l’Italia rappresentano una boccata di ottimismo, si può fare e si può fare
di più.
Resta per noi la questione quasi insuperabile della
rappresentanza di genere, con una norma del regolamento da molti giudicata capestro, ma soprattutto inattuabile.
Anche su questo non vogliamo nasconderci dietro pretesti forse in parte
legittimi: facciamo tutto quello che si può fare, anche di più, per dare
precedenza a quelle operazioni che individuino nelle figure femminili, magari
provenienti dai settori che le possono esprimere, oppure anche da fuori la
categoria, l’obiettivo da raggiungere attraverso l’inserimento nei gruppi
dirigenti o nelle “squadre” delle varie Fillea.
C’è poi un problema che riguarda il nostro rapporto
con il sistema dei servizi. Anche di questo, delle nostre esigenze e
peculiarità, delle nostre insoddisfazioni dobbiamo parlare per definire con il
sistema servizi CGIL un rapporto più utile ed efficace.
Questo appuntamento organizzativo, una sorta di mini
conferenza di organizzazione proponiamo di svolgerla nella settimana 18-22
giugno, anche qui in una località da definire ma sicuramente, data la stagione,
in una località che non ci faccia distrarre da attrazioni di altro tipo…
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In mezzo a questi passaggi che dovranno caratterizzare il nostro lavoro nei prossimi quattro mesi è ovvio che si districheranno tutte le altre matasse di cui ovviamente non parlo oggi, ma che fanno parte delle nostre agende già aperte e sulle quali gli altri compagni della segreteria e delle strutture potranno intervenire per precisare ed arricchire.
Mi preme solo aggiungere che per dare attuazione a
queste nostre intenzioni occorrerà una intensa fase di preparazione che dovrà
vedere coinvolta la Direzione Nazionale.
Quindi, con equilibrio, senso della misura e
compatibilmente con il lavoro di tutti noi, chiederemo ai compagni della
Direzione Nazionale di predisporsi per una fase di lavoro forse un po’ più
intensa di quella di questi mesi (mi riferisco ovviamente al lavoro qui a Roma)
e per questo ce ne scusiamo, certi però che, come si dice, è un disagio che si
tradurrà almeno nelle nostre intenzioni in un maggior benessere politico ed
organizzativo della Fillea,
Per questo vi ringraziamo in anticipo ed
auguro a tutti noi buon lavoro.