Comitato Direttivo Nazionale FILLEA-CGIL – Roma 20-21 Febbraio 2001

Relazione introduttiva di Franco MARTINI

 

Come molti compagni già sapranno l’Assemblea Nazionale dei Quadri CGIL prevista per i giorni 6-7 marzo è stata spostata ai giorni 3-4 aprile. La nuova data scaturisce dall’esigenza di posticipare questo importante appuntamento rispetto all’Assemblea annuale di Confindustria programmata per metà marzo, una assemblea che si preannuncia molto importante poiché come è risaputo essa varerà il programma economico dell’Associazione degli imprenditori di cui si sono già avute numerose anticipazioni. La Segreteria Nazionale della CGIL ha ritenuto opportuno fare della nostra Assemblea Nazionale la sede più autorevole per una valutazione ed una risposta alle proposte che scaturiranno da Confindustria ed è questa la ragione che ci porta a ritenere giusta la decisione di spostare in avanti di qualche settimana il suo svolgimento.

 

Per quanto riguarda la discussione in questo nostro Direttivo la sostanza non cambia se non per il fatto che la Segreteria Nazionale Fillea ha ritenuto utile fare di questa sede l’occasione per valutare ed assumere una proposta complessiva circa l’iniziativa che dovrà vedere impegnata la nostra organizzazione nel periodo che ci separa dalla pausa estiva. Vorremmo cioè che da una valutazione sulla fase politica e sindacale nella quale siamo oggi immersi scaturisse un programma di lavoro che definisse la collocazione della Fillea in termini di proposte e di iniziativa nei mesi che abbiamo davanti, per dare un senso programmatico al lavoro che stiamo facendo e a quello che dobbiamo fare.

 

Del resto i problemi connessi all’evoluzione della fase politica e sociale che abbiamo davanti non sono affrontabili con risposte contingenti, parziali, improvvisate. E’ oggi più che mai che occorre dare un senso strategico alle cose sulle quali siamo impegnati, tanto più se il quadro politico dovesse subire un’evoluzione negativa con le prossime elezioni, ipotesi che tutti siamo impegnati ad evitare, ma che potrebbe alimentare –qualora si verificasse- l’istinto difensivo e di arroccamento di ampi settori da noi rappresentati.

 

Ma anche se le cose dovessero andare bene per il centro-sinistra vi sarebbe un medesimo bisogno di imprimere un carattere nuovo all’azione dell’esecutivo, per dare proprio quel respiro strategico che su molti terreni dello sviluppo ancora non si è espresso con la dovuta necessità.

 

Avendo deciso, per le ragioni ormai a tutti note, il rinvio del Congresso, con l’Assemblea Nazionale dei Quadri la CGIL ha inteso impegnare tutta l’organizzazione nello sforzo di dare un carattere forte all’iniziativa sui temi principali dello sviluppo e dei diritti, in una fase nella quale la politica è chiamata a misurarsi su queste sfide.

La Fillea deve fare la sua parte e lo deve fare in modo sistematico, con la necessaria continuità e profilo strategico. Per questo vi proporremo con questa sessione del Comitato Direttivo di assumere decisioni impegnative per il nostro lavoro dei prossimi mesi, certi come sempre che la nostra categoria non mancherà agli appuntamenti.

 

La polemica con la Confindustria

 

Solo qualche commentatore sprovveduto può attribuire alla recente polemica con la Confindustria, un significato legato ai disegni personali dei protagonisti. In realtà il contenuto di tale polemica nasconde obiettivi molto precisi che riguardano una modifica sostanziale ed in alcuni casi radicali della politica e delle relazioni sindacali di questi ultimi anni. Non voglio addentrarmi in valutazioni politiche in senso stretto, lo ha già fatto Cofferati nella sua intervista su Repubblica dello scorso 5 febbraio e valgono per me quelle considerazioni sulle scelte di schieramento sulle quali il Presidente di Confindustria rischia di portare la sua organizzazione.

 

E’ sufficiente qui rimanere al merito sindacale.

 

La pretesa di condizionare la trattativa sul TFR ad un regime di maggiori flessibilità in uscita equivale esattamente all’obiettivo di modificare l’Art.18 dello Statuto, violando oltretutto l’opinione di quei 10 milioni di cittadini che al referendum hanno respinto la richiesta dei referendari di liberalizzare il diritto al licenziamento.

 

Il tentativo di affossare l’esperienza della concertazione insegue l’idea di ricreare un rapporto diretto tra Stato ed imprese per quanto riguarda soprattutto il flusso di risorse che si continua a chiedere allo Stato, alla faccia del liberalismo tanto decantato. Risorse per niente finalizzate, soprattutto sul versante dell’innovazione e dell’investimento sulla qualità del lavoro, dalla lotta al lavoro nero alla funzione strategica della formazione. Confindustria ed Ance parlano spesso di lotta al sommerso, poi si scopre che gli strumenti, anche quei pochi esistenti, oltretutto disponibili con l’ultima finanziaria non vengono utilizzati, salvo chiedere di agire su nuovi sgravi fiscali e sulla leva dell’Irpeg, che con la lotta finalizzata al lavoro nero non c’entra proprio nulla.

 

L’0biettivo di depotenziare i due livelli di contrattazione per privilegiare una rapporto sempre più diretto tra impresa e lavoratore fa il pari con il tentativo si superare la concertazione, ossia tutte le sedi del confronto o negoziali che obbligano il sistema delle imprese a misurarsi con politiche generali dello sviluppo e della tutela dei lavoratori.

 

Non c’è niente di nuovo sotto il sole rispetto alle nostre precedenti valutazioni sugli orientamenti assunti dalla maggiore delle associazioni padronali, in particolare con la nuova Presidenza D’Amato. Abbiamo già detto più volte che la sostanza della politica Confindustriale è quella di cercare attraverso scorciatoie quella capacità competitiva che è mancata e manca al sistema delle imprese italiane in ragione della incapacità (e della mancanza di volontà) mostrata in tutti questi anni di introdurre i necessari fattori di innovazione. Cercare la via della competizione solo ed ancora esclusivamente attraverso la via della riduzione dei costi in assenza di quella innovazione non può che significare intervenire sul costo del lavoro. Ecco allora che alcune leve che potrebbero pure avere una efficacia se inserite in una reale strategia di trasformazione dell’impresa ispirata alla qualità dei processi e dei prodotti, parlo della flessibilità, della formazione, delle politiche di sostegno all’impresa, diventano ancora una volta la via più breve per tagliare sul costo del lavoro.

 

Ma per fare questo occorre svincolare l’impresa dalle responsabilità connesse allo sviluppo –da qui la fine della concertazione- e occorre liberare l’impresa da un sistema di relazioni sindacali che nel suo assetto contrattuale e nel suo sistema di norme a tutela del lavoro risulta di ostacolo nel percorrere quella via che già in passato non ha portato molto lontano l’industria italiana.

 

E quando parlo di costo del lavoro non intendo dire che si pensa ad un mondo del lavoro con salari più bassi. Ce lo ha ricordato Baretta, dando a noi la colpa degli attuali salari bassi. In realtà si pensa ad un sistema di costi del lavoro gestito il più direttamente possibile nel rapporto tra impresa e lavoratori, libero da criteri e parametri di qualità complessiva e di solidarietà dentro i settori e tra le realtà produttive e territoriali.

 

Tutto questo niente ha a che fare, intendiamoci, con le esigenze oggettive di dedicarci alla manutenzione fisiologica degli assetti contrattuali e del sistema di relazioni. Che l'accordo del 23 luglio 1993, soprattutto dopo le disdette ufficiali in alcuni settori come quello dell’artigianato, debba essere oggetto di una sua ridefinizione nel contesto degli anni duemila non lo nega nessuno. Ma un conto è proporci di valorizzare nell’attuale contesto i fattori vincenti di quell’esperienza, penso per quanto ci riguarda -ad esempio- all’impianto contrattuale che valorizza i soggetti della contrattazione a tutti i livelli, altro è proporsi la negazione delle funzioni dei soggetti generali della contrattazione, quelli che hanno garantito il mantenimento di una rotta che ha consentito al sistema economico e produttivo di superare gli scogli della crisi.

 

Qualcuno, soprattutto in casa confindustriale, ma anche nelle altre case imprenditoriali e non solamente, può pensare che gli squilibri economici e produttivi persistenti, il lavoro sommerso in crescita, gli infortuni anch’essi in crescita e quant’altro  -nonostante la prolungata fase di crescita vissuta dal Paese- sia il frutto di una maledizione che si accanirebbe contro questo Paese. In realtà tutto ciò è il frutto di una cultura industriale ancora prevalente tra le imprese, è la conseguenza di scelte precise fatte in tutti questi anni, ispirate in larga parte al prevalere degli interessi a breve rispetto alla necessità di guardare con strategie più di medio e lungo termine allo sviluppo del sistema impresa. E non può continuare il giochino di scaricare sempre e solamente su altri le responsabilità di una cattiva politica imprenditoriale.

 

Poi c’è l’intreccio con la politica. Evidentemente le forzature più recenti di Confindustria fanno parte anche di un preciso disegno politico che punta a mettere in difficoltà più di quanto già non lo sia il centro-sinistra. Come cittadini questo può preoccupare tanti di noi e determinare in noi l'esigenza di una risposta ancora più forte, ma come sindacalisti, come sindacato dei lavoratori dobbiamo preoccuparci delle implicazioni che quel disegno ha sulla nostra rappresentanza e nei confronti del nostro progetto di sviluppo del Paese.

 

Non è certo la CGIL che ha risparmiato in questi cinque anni le critiche che dovevano essere fatte – quando dovevano essere fatte- ai governi di centro-sinistra. L’opinione forse un po’ improvvidamente manifestata dal Ministro Salvi sugli accordi separati può avere fatto il gioco di chi ha motivo di sostenere il rapporto di dipendenza  tra questo Governo e la nostra Confederazione, ma è del tutto evidente il carattere strumentale di queste operazioni. Chi mente sa benissimo di mentire perché una organizzazione che fa dell’autonomia un elemento costitutivo sa bene che essere autonomi significa apprezzare quando c’è da apprezzare e criticare o contestare quando va criticato e contestato. Se non fosse così difficilmente, per fare un esempio, la CGIL avrebbe potuto superare con successo, come è accaduto, tutte le prove elettorali nei settori più ostici della pubblica amministrazione, diventando quasi in tutti questi settori la prima organizzazione.

 

Del resto la stessa minaccia degli accordi separati è una implicita conferma di quanto chi mente sa di mentire perché colpire la CGIL, tentare di isolarla, significa colpire proprio quel soggetto che non risponde a nessuno se non a se stessa delle azioni e delle scelte che compie e per questo molto scomoda. Se dobbiamo apprezzare una scelta fatta dalla Confindustria lo facciamo senza porci il problema che è la Confindustria, così come contestiamo energicamente quelle che non apprezziamo. E così è con il Governo, anzi con tutti i governi, compresi quelli decentrati, che cominciano ad avere sempre maggiori poteri, quelli diretti dalla destra e anche dalla sinistra. Questa è stata ed è la CGIL nell’epoca del centro sinistra, cioè la stessa CGIL che è stata prima e che sarà ancora dopo. Sta in questo il nostro essere scomodi e dispiace un po’ sentire che certe critiche, oltrechè provenire dagli ambienti non certo tradizionalmente vicini al sindacato, provengono anche da sindacati che francamente da molto tempo, da parecchi mesi, non hanno fatto nulla per nascondere il loro coinvolgimento in operazioni molto poco sindacali.

 

Quindi, se nulla di nuovo c’è sotto il sole, la novità consiste nel fatto che questa politica della Confindustria dovrebbe diventare un programma economico presentato alla prossima assemblea annuale. Ed è questa la ragione dicevamo all’inizio che ha portato la CGIL ha posticipare l’assemblea.

 

La  Conferenza Nazionale sui Lavori Pubblici

 

Nel mentre il clima politico-sindacale si surriscaldava si è svolta a Roma la Conferenza Nazionale sui Lavori Pubblici della quale avrete ormai acquisito i materiali di sintesi tramite il sito del Ministero.

Contrariamente al clima di scetticismo  che l’ha preceduta possiamo dire che alla fine la Conferenza ha dato più di quello che pensavamo in molti, data la fase particolare nella quale si teneva.

 

In definitiva dalla Conferenza è emerso un segnale abbastanza chiaro circa la necessità che la lotta da condurre in quel settore, ma con evidenti ed importanti ricadute nel settore privato, è quella della qualità di tutti i soggetti che vi operano ed in questo la qualità del fornitore, dell’impresa è stato un tema di grande centralità, assieme a quello del fornitore e del progetto. Un po’ meno si è parlato del lavoro, ma forse perché nelle intenzioni del Ministero vi era quella di centrare la discussione sull’impianto normativo vigente, Comunque abbiamo fatto del nostro meglio per recuperare questa debolezza.

 

Il punto –tuttavia-  importante è che gli assalti alla normativa sugli appalti, naturalmente condotti con discreto fair play da vari fronti sono stati respinti e ne è uscita una conferma importante della validità della legge sugli appalti, cosa che non è poco importante di fronte alle promesse già avanzate in questo preambolo di campagna elettorale di considerare una parte del sistema di grandi opere terreno di intervento diretto dell’esecutivo se non addirittura del premier.

 

Sarebbe cosa buona e utile se gli echi della Conferenza non si spegnassero nell’iniziativa dei vari soggetti, cosa che risulterà alquanto improbabile. Ma è proprio guardando alla necessità di mantenere centralità al tema della qualità degli operatori, oltrechè della normativa, che come Fillea, nel rapporto con le altre organizzazioni Filca e Feneal e nel rapporto con le Confederazioni, per quanto ci riguarda a partire dalla CGIL, dovremmo continuare a battere sul ferro.

 

D’altra parte dall’Ance provengono segnali e si manifestano atteggiamenti ancora contraddittori. Se da un lato continua la marcia verso l’acquisizione di importanti code contrattuali, vedi soprattutto il Fondo per gli edili, dall’altra riaffiorano periodicamente tentativi di spostare il confronto e le decisioni su terreni tutti funzionali all’impresa, ovviamente nella loro ottica, questo sia su questioni specifiche come la sperimentazione della trasferta, la diffusione dell’interinale,  sia su aspetti più generali, in particolare sul terreno fiscale, guardando ad una reiterata fase di decontribuzione del salario di secondo livello.

 

Quello che emerge è comunque la tendenza ad esonerare sistematicamente l’impresa dall’obbligo strategico di misurarsi con nuove strategie di qualificazione che invertano la tendenza ad una pericolosa destrutturazione del sistema, che poco porterebbe alla necessaria ricerca competitiva.

 

Pochi dati sono sufficienti per non smarrire mai l’oggetto di cui stiamo parlando: la media degli addetti da noi è del 3,1 contro il 4,2 dell’Europa; il 65%delle imprese ha meno di 10 dipendenti ed il 64% ha forma di impresa individuale; il 97% opera in ambito comunale, il 2% in quello provinciale e lo 0,6% a livello regionale. Rispetto all’impresa europea l’impresa italiana è quella dove si registrano più infortuni, dove esiste più lavoro nero (1:4 – 2:3 al Sud), dove maggiore è il ricorso ai lavoratori extracomunitari.

 

La risposta strategica dell’Ance è ridurre le regole, maggiori aiuti fiscali, maggiore flessibilità, come dire “dateci di più e lasciateci fare di più da soli”. Non appare una grande e moderna strategia di fronte al quadro del sistema impresa come si delinea oggi nel nostro Paese.

 

Una nuova politica industriale nel settore delle costruzioni

 

Per questa ragione il nostro dopo-Conferenza punta a considerare tra le priorità del settore una nuova politica industriale della quale qualità del mercato e qualità dell’impresa rappresentino due coordinate imprescindibili.

 

Nel primo caso, abbiamo già detto più volte di un mercato che guardi allo sviluppo sostenibile. Il rischio è che l’attuale discussione venga catalizzata da un approccio riduttivo al nodo infrastrutturale, che resta un nodo decisivo. Ma il deficit infrastrutturale dell’Italia è qualcosa di più diffuso e complesso di un ponte da costruire.

La campagna elettorale rischia di agitare il tema delle infrastrutture in modo confuso e demagogico. Per questo è utile che la Fillea, in rapporto con la CGIL stia in campo nella discussione sulle infrastrutture e non è senza preoccupazione che abbiamo seguito il nulla di fatto del lavoro in preparazione dell’iniziativa sulla Salerno Reggio Calabria.

 

Abbiamo recentemente attivato con la Segreteria nazionale della CGIL una riflessione su questo punto e nei prossimi giorni tenteremo di verificare con più precisione la possibilità di costruire sul tema delle infrastrutture alcuni momenti di riflessione e di proposta. Comunque, come Fillea dobbiamo immaginare nella nostra agenda di lavoro un momento di questa natura sul quale vi chiediamo la possibilità di avere un nuovo approfondimento, anche alla luce dei vostri suggerimenti.

 

La qualità dell’impresa è tema da far vivere innanzitutto sul tavolo che abbiamo insistito nel creare presso il Ministero LL.PP. a conclusione della Conferenza,. Un tavolo permanente che consenta anche alle rappresentanze delle imprese e dei sindacati di osservare l’andamento delle imprese sia rispetto alla loro dimensione, sia rispetto alla capacità economica; osservare le caratteristiche delle imprese subappaltatrici, per quanto riguarda la qualità del lavoro fornito; osservare le iniziative e gli investimenti effettuati per prevenire gli infortuni.

 

Ma sono il complesso delle politiche e delle azioni che abbiamo proposto alla Conferenza a definire i tratti di una nuova politica industriale nel settore:

 

-         l’incentivazione dei processi di innovazione produttiva ed organizzativa

-         un piano di azione sull’innovazione, la formazione e la sicurezza

-         strumenti che favoriscano processi di aggregazione imprenditoriale, con provvedimenti di profilo fiscale che incentivino la fusione tra imprese e migliori assetti del patrimonio aziendale

-         misure premianti per le imprese che sviluppano l’occupazione

-         un quadro normativo che dia certezze agli operatori e maggiore decisione nell’uso di metodologie innovative quali la finanza di progetto

-         azioni a sostegno di investimenti in settori innovativi dei mercati delle costruzioni (recupero edilizia di sostituzione, gestione immobiliare, risorse idriche, bonifiche, ecc..)

-         azioni tese ad avviare un processo di responsabilizzazione della Pubblica Amministrazione e delle sue strutture tecniche.

 

Ma è anche e soprattutto sulle politiche attive del lavoro che può qualificarsi una nuova politica industriale nel nostro settore

 

La qualità del lavoro nel settore delle costruzioni

 

Per questo motivo la Segreteria Nazionale nel definire l’ipotesi di lavoro della nostra organizzazione per i prossimi mesi ha scelto di indicare nel parametro della qualità ed innanzitutto nella qualità del lavoro in edilizia e nel settore delle costruzioni la bussola del programma e delle cose concrete da fare.

 

La qualità del lavoro per una categoria come la nostra di fatto è la risultante di una serie di problematiche e di un insieme di azioni, un vero e proprio terreno orizzontale come si dice in gergo.

 

Ma è da qui che dobbiamo partire, anzi è qui, su questo terreno che dobbiamo attestare la nostra iniziativa dei prossimi mesi perché le notizie che arrivano dal mercato del lavoro in edilizia sono sempre più preoccupanti. Se è in atto un processo di destrutturazione dell’impresa, la destrutturazione del mercato del lavoro è la prima e più evidente manifestazione di questa tendenza.

Per un settore come il nostro ciò assume un grande significato poiché il lavoro manuale, il fattore lavoro rappresenta ancora un fattore importante e consistente dell’impresa.

 

In estrema sintesi possiamo dire che tale destrutturazione viene perseguita attraverso il ricorso sempre più crescente a forme di lavoro precario e temporaneo, con una quota crescente di quello illegale.

 

Il problema non è solo quello di un potere sindacale messo in discussione da un mercato del lavoro atomizzato e sempre più  invisibile ma il fatto che diventa sempre più invivibile per chi è dentro, sul piano delle tutele contrattuali e previdenziali, sul fronte della tutela della salute e della sicurezza, sul terreno della crescita professionale.

 

Di fronte a questo spettacolo diventa assolutamente ridicola, forse anche un po’ cinica, la polemica sulla flessibilità, almeno in edilizia. Così come è assolutamente fuorviante la lettura che viene data al nostro approccio a volte anche rigoroso al tema della flessibilità. Ripeto non è il problema autoreferenziale del sindacato che rischia di non intervenire più su nulla quanto il fatto che questo spettacolo è la risposta sbagliata in termini di politica industriale alle sfide che abbiamo di fronte. Un impresa che ricerca su questo terreno la competitività perduta (o mai avuta) può solo illudersi di farlo. Come abbiamo detto alla Conferenza Nazionale dei LL.PP. l’uso esasperato della flessibilità intesa come sottrazione di risorse non è solo un dispetto che si fa al lavoro ma è la negazione di una opportunità di sviluppo che si offre all’impresa, perché la flessibilità se inserita in un contesto di investimenti materiali ed immateriali può essere una leva positiva per lo sviluppo.

 

Non era un’altra ragione da questa la nostra posizione sui contratti a tempo determinato, relativamente alla vicenda sul recepimento della direttiva comunitaria, proprio per il fatto che il riferimento ai tetti contrattuali ed alle causali ci consente di distinguere la norma dall’eccezione e pone un freno all’abbaglio di cercare per una via che non è quella di un investimento anche sul fattore umano la soluzione al problema della competizione dell’impresa.

 

Sulla politica attiva del lavoro in edilizia convergono dunque diverse problematiche molto presenti nel settore: gli strumenti di accesso al lavoro (interinale, contratto a tempo determinato, part-time, socio-lavoratore), la presenza crescente dei lavoratori extracomunitari, le politiche della tutela e della sicurezza nei luoghi di lavoro, la formazione professionale.

 

La nostra opinione, lo abbiamo già detto in altre occasioni, è che il settore dell’edilizia e di gran parte quello delle costruzioni, è il settore che più degli altri deve fare della formazione professionale il principale strumento di tutela e di investimento sul lavoro, il volano sul quale agire per tradurre la quota più ampia del fenomeno della mobilità probabilmente inevitabile, in opportunità di lavoro e di crescita professionale.

Ma non solo difendersi dalla destrutturazione attraverso la formazione, ma fare della formazione il grimaldello con il quale scardinare le politiche più selvagge dell’impresa ed imporre alle stesse di misurarsi con moderne politiche di sviluppo qualitativo.

 

Dentro questa iniziativa dovremo per questo riflettere sui nostri strumenti della formazione, a partire dal sistema bilaterale della formazione, per avanzare una proposta di rilancio e di riqualificazione delle sue funzioni nel nuovo contesto del mercato del lavoro.

 

La nostra proposta è di tenere nella seconda metà di aprile una Conferenza Nazionale sul lavoro in edilizia come momento di sintesi del nostro orientamento, delle nostre proposte e della nostra iniziativa sulle questioni citate in precedenza.

Per le ragioni dette, i compagni capiranno che essa rappresenterà per noi un momento importante del nostro lavoro, probabilmente il momento centrale con il quale, oltre a dare risposte per noi, per il nostro lavoro, potremo offrire un contributo concreto alla Confederazione, guardando non solo al prossimo Congresso, ma alle cose da fare in questa stagione sindacale. Ad esempio, guardando   alla contrattazione di secondo livello, che dovrà fare della qualità un terreno concreto di rivendicazioni.

 

Il periodo ipotetico nel quale tenere questa iniziativa è la settimana del 17-20 Aprile. La conferma della data è legata alla presenza di Sergio Cofferati che dovrà concluderla così come la sua localizzazione, che non escludiamo in una realtà del Mezzogiorno, anche per dare un carattere preciso all’iniziativa, guardando cioè alla parte più problematica del nostro mondo del lavoro.

Una iniziativa rivolta non solo al gruppo dirigente più stretto, ma anche al nostro quadro dirigente nei luoghi di lavoro, proprio per le finalità che vorremmo attribuire alla Conferenza, quella di attrezzare il nostro esercito per il lavoro da fare sui vari fronti.

 

Ovviamente sarà compito della Segreteria predisporre il lavoro di preparazione e di avvicinamento all’iniziativa, nonché le modalità pratiche di svolgimento, il tutto se essa viene condivisa da voi.

 

Abbiamo tuttavia un’esigenza che è quella di avviare nel frattempo un lavoro di riflessione e di proposta sui contenuti della contrattazione di secondo livello, sia per alcune scadenze ravvicinate che premono al nostro fianco (il tetto nell’edilizia), sia per una verifica più complessiva sul lavoro svolto fino ad oggi e sulle prospettive.

E’ del tutto evidente che ciò muove dalla nostra convinzione che l’assetto della contrattazione su due livelli è ancora quello più utile alle nostre esigenze di tutela e di sviluppo del lavoro e dell’impresa. E proprio per questo vogliamo imprimere a questa nostra convinzione il conforto ed il sostegno di una azione attiva e di una proposta di contenuto forte e coerente con la battaglia di qualità che vogliamo condurre.

 

Esiste una “produzione” in materia di accordi di secondo livello. Dobbiamo misurarla e valutarla nel suo contenuto e nella sua dinamica.

Dobbiamo poi e questo è forse l’esigenza più forte oggi, individuare alcune direttrici che in ognuno dei settori di riferimento, all’interno delle specificità da loro espresse, faccia emergere le coerenze del nostro progetto rivendicativo, sul salario, sulla professionalità, sulle tutele, quelle della sicurezza sul lavoro ma anche quelle sulla sicurezza sociale, dato il peso sempre maggiore che avranno nella contrattazione le materie previdenziali ed assistenziali.

 

Per quanto riguarda, dunque, la contrattazione di secondo livello proponiamo di tenere nei giorni 19-20 marzo un seminario della direzione nazionale, anche qui in una località da stabilire, ma non a Roma, pensiamo in una realtà del centro-nord, dove si possa ospitare per due giorni a prezzi competitivi la nostra direzione nazionale.

 

Questo è un appuntamento abbastanza ravvicinato, che abbiamo messo in agenda anche in conseguenza del rinvio dell’Assemblea Nazionale della CGIL, ma la cui urgenza ci è stata sollecitata anche da diverse strutture regionali e territoriali. Vi chiederemmo, pertanto, di fare uno sforzo per assicurare la presenza dei compagni che saranno chiamati, perché anche quello è un appuntamento-crocevia di varie vicende anche contrattuali aperte.

 

Ad esempio non è mistero per nessuno che sul versante dell’artigianato la contrattazione che risulta bloccata lo è in funzione di una messa in discussione del modello contrattuale da parte di alcune controparti (CGA) e dell’emergere di quelle differenze tra le confederazioni che ci erano già note.

Nel caso della piattaforma del settore legno siamo riusciti dopo un lavoro paziente a portare Filca e Feneal su una posizione politica propedeutica all’apertura di una fase successiva che dovrebbe essere quella della discussione e della presentazione della piattaforma, ma non sfugge a nessuno quanto questa sia la parte più complessa dato il permanere di differenze significative soprattutto con la CISL.

 

Per parte nostra, con l’Assemblea Nazionale sull’Artigianato abbiamo ribadito la posizione della CGIL, certo disponibile ad approfondire il confronto con l’obiettivo di guardare ad una evoluzione delle posizioni reciproche per fare sintesi, ma senza rinunciare ad alcune nostre convinzioni, due in particolari: il doppio livello di contrattazione, che oggi significa difendere il primo (non è come nel ’93 quando era il contrario!) a fronte della necessità di mantenere uno strumento generale di omogeneizzazione di un primo livello di tutela, il CCNL (non tutti esercitano tra l’altro il secondo livello, non tutte le aree hanno questa forza, purtroppo); la funzione del soggetto di rappresentanza, nel senso che non può esserci sostituzione del sindacato con qualunque esperienza bilaterale, paritetica o meno. Nessun soggetto terzo, benchè costituito anche con la nostra partecipazione, può sostituire la nostra funzione sindacale, di soggetto di rappresentanza: le deleghe dobbiamo farle noi, con “il nostro sudore”.

 

Ciò non significa essere sordi alla necessità di guardare ad una evoluzione delle funzioni e del ruolo del bilateralismo, ma occorre farlo avendo alcuni punti fermi. Faccio un solo esempio, quello della sanità integrativa.

 

Ormai è del tutto evidente che si va verso un sistema misto per la tutela della salute. Ma non è questo lo scandalo, se veramente abbiamo a cuore la salvaguardia di un sistema pubblico attestato ad un livello di tutela universale. Il problema è che non possiamo immaginare l’altro pilastro, quello della sanità integrativa, come l’abito di Arlecchino, espressione di una mappa delle prestazioni e dei parametri di riferimento totalmente differenziato tra aree territoriali e tra settori produttivi. E’ un modo per fare rientrare dalla finestra il pericolo che abbiamo tentato di tenere fuori dalla porta, cioè una sanità (o una pensione) dei più forti diversa da quella dei più deboli.

 

Lo scandalo, dunque, non è se il sistema del bilateralismo incrocia la riforma dello stato sociale, quanto se ciò avviene in regime di puro Far West oppure con il nostro tentativo di affermare logiche e criteri ugualmente equi, come per il sistema pubblico.

 

In parte questa problematica appartiene alla nostra discussione sulla contrattazione di secondo livello (oltre a quella di primo livello), in parte deve sollecitare, come abbiamo già detto nel caso della formazione professionale, un ripensamento strategico delle funzioni del sistema paritetico, anche per offrire una alternativa credibile alla deriva che potrebbe assumere crescente consistenza a fare del bilateralismo  terra di conquiste scriteriate, cioè, senza criterio alcuno. Le vicende relative alle casse edili “spurie” (Sicilia e Sardegna), la vicenda Aniem, la confusione che avvolge il Ministero del Lavoro sulla materia sono qualcosa più di un comune campanello d’allarme. Sardegna e Sicilia rischiano di fare “giurisprudenza” e a fronte di un possibile cambiamento di quadro politico avrebbero orecchie più attenti e non meno sordi ad ascoltare i pruriti di quei settori imprenditoriali dediti ormai a cercare con chi ci sta le soluzioni su misura dei problemi di ogni singola rappresentanza, territoriali, settoriale e forse anche aziendale, prima o poi.

 

 

L’assillo della sicurezza nei luoghi di lavoro

 

L’altro capitolo importante del nostro programma di lavoro è quello della sicurezza nei luoghi di lavoro, che in più di una occasione abbiamo definito il nostro vero e proprio assillo quotidiano.

 

Non ho davvero nulla da aggiungere sul piano dell’analisi, se non il fatto che menti attente non debbono essere tratte in inganno dai recenti dati dell’Inail. E’ vero che i morti sul lavoro sono in calo e questo non può che rallegrarci, ma i morti sono quelli che più fanno notizia. In realtà le morti bianche sono sempre state per noi la punta di un iceberg. Gli infortuni totali sono in crescita e questo avviene in ragione del fatto che l’incremento della produttività non trasferisce una parte della crescita al miglioramento della qualità del lavoro, esattamente ciò che denunciamo da quando il motore della ripresa è ripartito. Il PIL al 2,8% è una buona notizia, ma se gli infortuni crescono significa che di quel 2,8% poco è andato a prevenzione e qualità.

 

Su questo terreno è chiaro che ci attende un lavoro quotidiano, infaticabile ed è altrettanto chiaro che dobbiamo mobilitare i due eserciti di cui disponiamo, anzi i due reparti di un medesimo esercito:

 

-         da una parte gli RLS e RLST incaricati di battersi sul fronte dell’attuazione delle norme sulla sicurezza. Verso questo reparto dell’esercito dobbiamo continuare a fornire alimenti in termini di formazione, di agibilità  e di coordinamento. C’è il punto complesso dei RLST sul quale abbiamo prodotto accordi importanti, ma sul quale la diffusione dell’esperienza incontra ancora ostacoli non secondari.

 

-         dall’altra ci siamo noi, c’è il sindacato nelle sue funzioni di agente contrattuale, che negozia il cambiamento delle condizioni. Non è un gioco di parole, poiché noi siamo anche quelli che eleggono gli RLS e RLST, ma sono funzioni diverse, lo abbiamo detto più di una volta.

 

Poiché su questo terreno il lavoro quotidiano va sostenuto con grossi contributi in termini di sensibilizzazione del mondo del lavoro e della società, la nostra idea è quella di proporre nel mese di maggio una campagna nazionale sulla sicurezza nei cantieri, per continuare a battere sul chiodo.

Una campagna nazionale che ci consenta di concentrare in un periodo del calendario politico-sindacale-istituzionale di tutto il Paese il maggior numero di iniziative centrali e decentrate, tradizionali ed originali, che possa avere l’effetto di una massa d’urto sull’opinione pubblica.

 

Vogliamo progettare con attenzione questa campagna, proponendola a Filca e Feneal ovviamente, con l’intento di fare del sindacato delle costruzioni un reparto di iniziativa permanente su questo fronte, dato che sul nostro settore pesa una quota rilevante degli infortuni.

 

La politica organizzativa della Fillea

 

Arrivati a giugno cominceremo ad avvistare il lavoro che ci porterà verso il Congresso.

 

E’ intenzione della Segreteria Nazionale affrontare prima del Congresso alcune problematiche di politica organizzativa già oggetto di scelte ed esperienze sul campo. In particolare, la questione dei livelli organizzativi. Lo avremo dovuto fare con la Conferenza di Organizzazione che non si è tenuta. Vogliamo farlo comunque, sia per ragionare sull’esperienza compiuta con il superamento attraverso una strategia differenziata dei regionali, sia per capire se sulla base di questa esperienza occorre introdurre nuove riflessioni e nuove scelte. Ma soprattutto per evitare che il profilo organizzativo della Fillea possa venire determinato da scelte o situazioni legate al destino delle persone più che ai modelli.

 

Ma non vi è solo il problema delle strutture. Questa è una categoria che deve avviare una nuova stagione nella costruzione del suo gruppo dirigente, se non vuol trovarsi con le ruote sgonfie quando sarà inevitabile che tante nostre fuori serie dovranno rientrare ai box o correre su altre piste. Avevamo già detto in precedenti occasioni dell’appetibilità del nostro gruppo dirigente ed è quello che sta puntualmente avvenendo. Compagni importanti per la Fillea di questi anni ci hanno lasciati ed altri ancora ci lasceranno nei prossimi giorni per passare a nuovi incarichi, per fortuna altri sono arrivati o tornati ed arriveranno, compagni di qualità, di esperienza, dunque di valore.

 

Colgo l’occasione –a questo proposito- di rivolgere un saluto ed un benvenuto a tutti questi compagni, certo che per chi è uscito o uscirà sarà la CGIL a trarre vantaggio, così come lo sarà per noi con chi venendo in Fillea porterà il contributo di una esperienza nuova ed ugualmente appassionata.

 

Ma dobbiamo investire sulla panchina verde, dobbiamo liberare il massimo delle risorse disponibili per rifornire il nostro vivaio. Su questo l’orientamento della Segreteria è chiaro. Tutti i nostri sforzi, quelli maggiori, saranno per sostenere le strutture impegnate nella caccia a giovani quadri, lavorando in entrambe le direzioni, il “mercato” esterno alla categoria e soprattutto in quello interno attraverso il rilancio di una politica dei quadri che assuma la formazione anche per noi quale volano della formazione dei gruppi dirigenti.

 

I risultati del tesseramento 2000 sono di buon auspicio. La presenza di giovani quadri incontrati in diverse riunioni svolte per l’Italia rappresentano una boccata di ottimismo, si può fare e si può fare di più.

Resta per noi la questione quasi insuperabile della rappresentanza di genere, con una norma del regolamento da molti giudicata capestro, ma soprattutto inattuabile. Anche su questo non vogliamo nasconderci dietro pretesti forse in parte legittimi: facciamo tutto quello che si può fare, anche di più, per dare precedenza a quelle operazioni che individuino nelle figure femminili, magari provenienti dai settori che le possono esprimere, oppure anche da fuori la categoria, l’obiettivo da raggiungere attraverso l’inserimento nei gruppi dirigenti o nelle “squadre” delle varie Fillea.

 

C’è poi un problema che riguarda il nostro rapporto con il sistema dei servizi. Anche di questo, delle nostre esigenze e peculiarità, delle nostre insoddisfazioni dobbiamo parlare per definire con il sistema servizi CGIL un rapporto più utile ed efficace.

 

Questo appuntamento organizzativo, una sorta di mini conferenza di organizzazione proponiamo di svolgerla nella settimana 18-22 giugno, anche qui in una località da definire ma sicuramente, data la stagione, in una località che non ci faccia distrarre da attrazioni di altro tipo…

 

 

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In mezzo a questi passaggi che dovranno caratterizzare il nostro lavoro nei prossimi quattro mesi è ovvio che si districheranno tutte le altre matasse di cui ovviamente non parlo oggi, ma che fanno parte delle nostre agende già aperte e sulle quali gli altri compagni della segreteria e delle strutture potranno intervenire  per precisare ed arricchire.

 

Mi preme solo aggiungere che per dare attuazione a queste nostre intenzioni occorrerà una intensa fase di preparazione che dovrà vedere coinvolta la Direzione Nazionale.

Quindi, con equilibrio, senso della misura e compatibilmente con il lavoro di tutti noi, chiederemo ai compagni della Direzione Nazionale di predisporsi per una fase di lavoro forse un po’ più intensa di quella di questi mesi (mi riferisco ovviamente al lavoro qui a Roma) e per questo ce ne scusiamo, certi però che, come si dice, è un disagio che si tradurrà almeno nelle nostre intenzioni in un maggior benessere politico ed organizzativo della Fillea,

 

Per questo vi ringraziamo in anticipo ed auguro a tutti noi buon lavoro.