CONFERENZA NAZIONALE DELLE COSTRUZIONI NEL MEZZOGIORNO

 

COSTRUZIONI

E RICOSTRUZIONE

NEL MEZZOGIORNO

 

 

 

 

 

FILLEA CGIL – BARI 7 NOVEMBRE 2002

 

 

CONFERENZA NAZIONALE DELLE COSTRUZIONI NEL MEZZOGIORNO

 

 

 

 

 Costruzioni e ricostruzione: il Mezzogiorno tradito

             

Scuole che crollano, più della metà degli ospedali costruiti prima degli anni ‘40, case troppo vecchie per resistere  ad un terremoto, infrastrutture da Paese in via di sviluppo: il degrado abitativo nel Mezzogiorno ha raggiunto livelli ormai insostenibili. E in una fase così delicata per il settore delle costruzioni, soprattutto nel Mezzogiorno, il governo Berlusconi ha scelto la scure, ridimensionando le risorse finanziarie.

Il settore in bilico tra una leggera ripresa per l’anno in corso e una battuta d’arresto per il 2003,  il mercato avrebbe invece bisogno non di promesse, ma di nuove e “vere” risorse e sempre più di una stabilità normativa e programmatica.

La modifica legislativa sulle regole degli appalti pubblici ha invece  bloccato un processo di qualificazione e di rafforzamento del Sistema di Impresa, con un anno di fermo nell’avvio delle opere già programmate.

Una situazione aggravata dalla Finanziaria del 2003.

Una manovra di fatto antimeridionalista che contraddice clamorosamente non solo le previsioni programmatiche del Governo, ma anche il Patto per l’Italia. L’impatto della riduzione delle risorse per le infrastrutture e gli effetti devastanti del decreto legge 194/2002 conosciuto come il decreto “taglia-deficit” avranno certamente ripercussioni gravi nel settore delle costruzioni con un secco ridimensionamento dei livelli occupazionali, soprattutto nel Sud.

Il solo credito d’imposta/occupazione, che non è finanziato, ha prodotto lo scorso anno 80 mila posti di lavoro al Sud e 87 mila al Nord; nel 2002 solo nei primi cinque mesi, 124 mila al Sud ed 82 mila al Nord. E’ ragionevole pensare per difetto che solo nel Mezzogiorno si rischia di perdere 150.000 nuovi occupati. Molti dei quali riguarderanno proprio il settore dell’edilizia.

 

 

 

 

 

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 La scure sull’edilizia

 

L’edilizia è senza dubbio uno dei settori maggiormente colpiti dal decreto salva deficit. E proprio in un momento in cui, come ha dimostrato il sisma in Molise, la maggior parte del patrimonio abitativo privato e pubblico del Mezzogiorno andrebbe messo “in sicurezza”. Per quanto riguarda i tagli fatti dal decreto “salva deficit” , come modificato nel primo esame di conversione in legge, dobbiamo prendere a riferimento quanto le Pubbliche Amministrazioni hanno posto, come impegno di spesa, nei bilanci finanziari per gli anni 2001 e 2002.

I finanziamenti a valere per gli anni 2001 – 2002 e non impegnati  alla fine di quest’anno saranno recuperati come residui passivi.

Con questa operazione saranno tagliati circa 9.500 miliardi di vecchie lire (nel testo originario, come denuncia l’Ance il taglio era di circa 14.000 miliardi di vecchie lire).

Di questi 9.500 miliardi di lire:

·              7.000 erano per opere di competenza dei Comuni, Province e regioni . Si calcola che gli enti locali perderanno circa l’82% dei finanziamenti.

·              1.250 delle altre amministrazioni locali (Asl, Comunità Montane, Asi, Consorzi di Bonifica)

·              1.250 di aziende o Enti Nazionali (Anas, FS, Ministeri).

 

 Occupazione a rischio per 47.600 edili del Sud

 

In questa area i tempi per perfezionare gli impegni di spesa (firma del contratto di appalto) passano a 24 mesi contro i 18 in media del Centro Nord.

Il taglio di 9.500 miliardi peserà al Sud per circa il 72% vale a dire circa 6.800 miliardi.

Con il taglio di 9.500 miliardi verranno meno le possibilità di lavoro a circa 66.500 lavoratori direttamente nei cantieri; circa 19.000 lavoratori nell’indotto; circa 4.750 addetti nelle attività di supporto (progettazioni esterne alla Pubblica amministrazione, tecnici per le attività della direzione, tecnici delle P.A. ecc).

 

 

 

 

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Nel Sud del Paese le possibilità di lavoro saranno negate a:

·              47.600 lavoratori direttamente nei cantieri;

·              13.600 lavoratori nell’indotto;

·              3.400 addetti nelle attività di supporto (progettazioni esterne alla Pubblica amministrazione, tecnici per le attività della direzione, tecnici della P.A. ecc)

Il taglio ai finanziamenti non peserà solo sui lavoratori, anche le stesse imprese soprattutto quelle di medie e di piccole dimensioni, subiranno una crisi con processi di ristrutturazione : 50 di esse cesserrano la propria attività.

Il taglio maggiore degli investimenti legato al decreto legge 194/2002 , come abbiamo sottolineato, interessa soprattutto gli Enti locali e per questi tagli è

impossibile individuare i luoghi, le opere e i bisogni dei cittadini, mentre per quelli nazionali sono a rischio:

·              2 lotti per l’ammodernamento della Salerno – Reggio Calabria

·              la penetrazione a Napoli della linea Alta Velocità Roma – Napoli

·              alcune tratte delle linee ferroviarie ricomprese nel Piano integrativo dei trasporti

·              alcuni programmi di opere per il completamento di grandi invasi, fra questi la diga                        dell’Esaro, quella dell’ANCIPA ecc.

 

Lo sviluppo dei sistemi idrici e il lavoro nelle costruzioni

 

In Italia il 27% di acqua presente nei 325 km di condutture viene perduta: nel Sud questa percentuale sale al 58%. L’età media degli impianti di distribuzione nel nostro Paese è di 30 anni, quella dei servizi di fognatura è di 27 anni e quella dei servizi di depurazione è di 16 anni. Ma nel Sud si toccano punte anche molto più alte.

E sono i pugliesi quelli che pagano le tariffe più care d’Italia.  Il costo complessivo per gli interventi di manutenzione è di 40 miliardi di euro. E a fronte di 279 miliardi di mutui in vecchie lire erogati nel 2000, soltanto 63 sono stati attivate dalle regioni del Mezzogiorno.

 

 

 

 

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Un settore quello idrico che se sviluppato potrebbe dare lavoro a 30 mila lavoratori (molti dei quali nel Mezzogiorno), il triplo rispetto a quelli attuali che superano di poco le 10 mila unità. Ma per raggiungere tale obiettivo è utile un accelerazione del processo che dovrebbe portare ad una riorganizzazione del sistema attuale.

Se in generale il settore dei servizi idrici mostra serie carenze, queste risultano particolarmente gravi in alcune aree del Paese: le regioni del Sud e le due Isole maggiori soffrono di gravi deficit infrastrutturali, di una rete acquedottistica e fognaria in pessime condizioni, nonché di una strutturale sottodotazione di impianti di depurazione.

Tuttavia l’attenzione rivolta a queste regioni  negli ultimi anni, è risultata particolarmente scarsa.

Nel complesso al Sud si è speso meno che al Nord in opere infrastrutturali per il settore idrico: l’investimento pro capite ammonta a soli 350 euro contro una media nazionale di 429 euro. Particolarmente forte è il divario negli investimenti nella rete fognaria per la quale nel Mezzogiorno si sono spese quasi il 20% delle risorse in meno rispetto al Nord.

Gli investimenti maggiori per quanto riguarda i lavori pubblici eseguiti nel settore idrico del Mezzogiorno spettano alla Campania, ma se si considera l’investimento medio per abitante a guidare la classifica è la Sardegna seguita dalla Basilicata e dal Molise.

Serve la piena attuazione della legge Galli del 94, legge purtroppo disattesa che prevedeva la costituzione di ambiti territoriali con gestori unici. Purtroppo dal ’94 ad oggi soltanto in pochi casi si è provveduto a definire questi gli ambiti territoriali (ATO).

La Fillea Cgil chiede che  soggetti imprenditoriali qualificati siano messi nelle condizioni di realizzare le opere e gestirle: per gestione si intende il servizio e la manutenzione. Per questi motivi si richiede che la fase di assegnazione dei lavori e del servizio ricada sotto la legge 109. Il Paese ha la necessità di una mappatura idrica accompagnata da una ricerca delle perdite.

 

 

 

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La Legge Obiettivo da questo punto di vista è carente, perché fa un elenco seppur esteso di opere, ma manca una logica di sequenza che possa tenere insieme un metodo corretto in grado di rompere le rigidità e le difficoltà incontrate fino  ad oggi. Le opere indicate nella legge Obiettivo per il Mezzogiorno sono 65 per un ammontare di 4.641 milioni di euro di cui sono disponibili soltanto 128. Quindi è evidente che c’è un problema di reperimento di risorse, ma anche la mancanza di un metodo che rende utilizzabili quelli disponibili.

Negli ultimi 15 anni c’è stata una caduta degli investimenti con una riduzione del 70 per cento rispetto al passato. Con l’approvazione del Collegato alla Finanziaria 2002 si potrebbe ipotizzare una accelerazione della riforma dei servizi idrici, stimolando gli affidamenti ed aprendo il mercato con il ricorso alle gare pubbliche. E’ assolutamente necessario  evitare la separazione tra la gestione della rete e la gestione del servizio.

 

Infrastrutture e sviluppo locale per il settore delle costruzioni

 

Con le  misure adottate dal Governo, in materia di infrastrutture, s’allarga il divario tra Nord e Sud del nostro Paese.

La Finanziaria, riducendo le risorse, smentisce clamorosamente la centralità che per questo Governo ha il settore delle Costruzioni. E a subire i maggiori contraccolpi potrebbe essere proprio il Mezzogiorno dove all’incertezza delle risorse finanziarie disponibili si aggiunge anche una già nota debolezza territoriale: le ripercussioni sul fronte occupazionale  potrebbero essere più gravi che altrove.

La questione infrastrutturale in rapporto allo sviluppo del Mezzogiorno non si esaurisce negli interventi “straordinari” ai quali si ispirano la “Legge Obiettivo” ed il Collegato alla Finanziaria 2002.

Tali provvedimenti, oltremodo, sono di dubbia efficacia in quanto rimettono in discussione l’impianto faticosamente costruito attorno alla Legge Merloni, in particolare per quanto riguarda la qualità, la trasparenza degli appalti e l’azione di contenimento alla penetrazione malavitosa nell’economia meridionale.

 

 

 

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Le infrastrutture di cui ha bisogno il Mezzogiorno per il suo sviluppo sono sicuramente quelle straordinarie, legate alla grande mobilità, ma lo sono ancor di più quelle legate allo sviluppo economico e sociale definito attraverso la programmazione territoriale.

 Oltre alle infrastrutture economiche legate alla mobilità ( strade, ferrovie, aeroporti e ponti ), diventano strategiche quelle legate alle comunicazioni, all’energia, all’uso delle risorse idriche, così come le infrastrutture sociali, l’istruzione, la sanità, lo sport e la cultura.

La Legge Obiettivo di tutto ciò non si occupa e contrappone il mercato delle grandi opere strategiche a quello delle opere ordinarie, ma ugualmente strategiche per il Sud. Oltretutto le risorse stanziate nella finanziaria 2003 sul capitolo infrastrutture calano ulteriormente rispetto all’anno precedente, a dimostrazione che anche il Mezzogiorno

è stato uno dei temi della politica degli annunci, della propaganda governativa che alle promesse di nuove cattedrali ha fatto seguire l’allargamento di un deserto di iniziative concrete.

 

Infrastrutture: il divario Nord – Sud

 

Secondo il Rapporto Annuale sull’industria delle Costruzioni relativo al 2002 gli indicatori statistici di dotazione infrastrutturale, considerata l’Italia uguale a 100,  risultano del 63,3 per il Mezzogiorno a fronte del 130 del Nord Est, 120 del Nord Ovest e 112 del Centro. In regioni come la Calabria la Sardegna , il Molise, la Campania e la Basilicata, l’indice di dotazione infrastrutturale è pari alla metà della media nazionale.

E se si calcolano gli investimenti in costruzioni il nostro Mezzogiorno si posiziona all’ultimo posto in Europa .

 Le risorse destinate al settore ammontano a 20.473 milioni di euro contro i 20.805 di euro del 2001, anno che registra una controtendenza negativa dopo cinque anni di trend positivo.

 

 

 

 

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Il dato si accentua nel Mezzogiorno per la cronica difficoltà che hanno le istituzioni meridionali a spendere i finanziamenti disponibili. Nel comparto delle costruzioni si sono registrati lo scorso anno 27.670 milioni di euro di residui passivi. Tutto ciò rischia di penalizzare pesantemente lo stesso processo di crescita delle imprese e del lavoro nel Sud.  Il sindacato porterà dentro la contrattazione gli obiettivi della trasparenza e della qualità per dare risposte concrete alla condizione materiale di vita nei cantieri, sviluppando l’esperienza della contrattazione d’anticipo, là dove la spinta della società democratica riuscisse a far decollare quel minimo di opere necessarie.

 
Il Restauro, il Recupero e la Manutenzione, nuova frontiera per il lavoro nelle costruzioni

 

La maggior parte del patrimonio edilizio delle città del Mezzogiorno mostra evidenti segni di obsolescenza tecnica, funzionale e talora strutturale. Non si salvano nemmeno quei manufatti realizzati negli ultimi cinquant’anni, che costituiscono la gran parte del patrimonio edilizio contemporaneo. Il sisma che ha colpito il Molise ha evidenziato queste lacune. La maggior parte delle scuole, delle case, degli ospedali sono a rischio nelle zone dichiarate sismiche, ma come abbiamo purtroppo visto anche nelle zone non considerate a rischio terremoto. Il degrado abitatito in queste zone supera i livelli di guardia.

A livello regionale la Sicilia, la Campania e la Calabria presentano la maggiore quota di degrado abitativo: rispettivamente l’8,4%, il 9% e il 9,2% delle abitazioni di quelle regioni risultano essere in cattive condizioni.

Per non parlare delle scuole. Una scuola su due nel Sud  non è il regola con le certificazioni e con gli adempimenti richiesti dalla normativa sulla sicurezza.

Gli investimenti in edilizia abitativa nel 2001 (54.686 milioni di Euro) rappresentano una quota consistente del totale degli investimenti in costruzioni (100.946 milioni di Euro): il 54,6% sul totale degli investimenti di cui il 26,0 % in nuove costruzioni e il 28,6 % in manutenzione straordinaria. Ma nonostante gli investimenti crescenti  esiste nel Mezzogiorno una vasta area di “disagio abitativo” .

 

 
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Il disagio abitativo nel Sud

Nelle aree meridionali ed insulari il 50% delle famiglie dichiarano disagi connessi ai servizi di quartiere e di zona (sporcizia nella strada, difficoltà di parcheggio e difficoltà di collegamento con i mezzi pubblici)

Altro dato inquietante, riguarda l’approvvigionamento idrico che nelle regioni  meridionali ed insulari vede una famiglia su quattro lamentare irregolarità e insufficienza nell’erogazione dell’acqua. Una situazione di crisi che può trovare una soluzione puntando sugli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché sugli interventi di ristrutturazione edilizia e quelli di ristrutturazione urbanistica. Un altro settore sul quale si deve investire è quello del restauro e del recupero conservativo dei palazzi.

 

Il restauro dei beni mobili e immobili, occasione per rilanciare l’occupazione nel Sud

Un settore, questo del restauro, che se sviluppato può generare nuova occupazione.

Gli interventi devono essere rivolti tanto al recupero degli immobili, quanto alla formazione professionale degli addetti nel settore.

Quest’ultima è la condizione per una consapevolezza diffusa della condizione lavorativa, dei diritti professionali e contrattuali. In tale ambito  devono essere definiti dei Protocolli con le Regioni e i Comuni sulla programmazione degli interventi, la formazione e la prevenzione, per il rispetto dei diritti dei lavoratori.

Si devono individuare, città per città, gli strumenti di intervento più idonei che si possono attivare.

Alcuni strumenti sono stati già sperimentati quali i Contratti di Quartiere, i Piani di Recupero, l’Integrazione di Servizi ; le strutture di interfaccia con il territorio (come

gli sportelli urbanistici unici); le politiche economico – finanziarie di incentivazione

(come la detassazione dell’occupazione di suolo pubblico, gli introiti pubblicitari) e non ultimi  gli strumenti di controllo, da definire con gli enti concessori, per arginare  il rischio dell’evasione contributiva e contrattuale, oramai vicina al 100%.

 

 

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Occorre altresì aprire un confronto con le Amministrazioni locali e con il Governo nazionale affinché dalla “sperimentazione” si passi ad una prassi in materia, fermo restando la necessità di rivedere decisioni normative gravi, quali quelle che definanziano l’iniziativa soprattutto realizzativa degli Enti Locali con il prosciugamento delle risorse finanziarie della Cassa Depositi e Prestiti a favore delle grandi opere gestite da Infrastrutture SpA.

Il libretto sullo stato di sicurezza degli immobili

Scuole che crollano, case con cornicioni che si staccano, pareti lesionate: tutto questo purtroppo è diventata routine nel  Meridione. Il fascicolo del fabbricato, libretto che certifica lo stato di salute degli immobili non può essere un atto burocratico, ma deve diventare un nuovo strumento di intervento per garantire la sicurezza. Per questo la Fillea Cgil chiede maggiori finanziamenti .

 
Lavoro in edilizia per la difesa dei diritti, per la trasparenza contro le infiltrazioni malavitose

 

In alcune aree del Mezzogiorno si è registrata negli ultimi tempi una ripresa della presenza mafiosa nell’edilizia. Una presenza aggressiva e violenta rivolta anche ai piccoli cantieri. Per questo la Fillea Cgil rilancia il Protocollo di legalità, uno strumento di controllo contro le infiltrazioni mafiose e il lavoro nero.

E’ importante che il responsabile del Protocollo di Legalità sia il Prefetto, in quanto autorità che riassume in se il coordinamento delle forze dell’ordine e i diversi organismi operanti nel territorio.

Questo strumento in alcune realtà ha dato buoni risultati in altre no. Spesso i protocolli sono stati vissuti da parte delle stazioni appaltanti come pedaggio da pagare alle organizzzioni sindacali ed all’opinione pubblica o vissuti come un fastidioso passaggio burocratico”.

 

 

 

 

 

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Il lavoro irregolare: il triste primato del Sud

Ma il protocollo da solo non basta. I diritti e la legalità in edilizia si ottengono anche eliminando il lavoro irregolare.

Il tasso di irregolarità è del 28,8% nel Mezzogiorno, del 18,4% al Centro, del 4,4% nel Nord-Est e del 9,2% nel Nord-Ovest.

Nel Sud le regioni che hanno il tasso di irregolarità maggiore sono la Calabria con il 40,2%, e la Sicilia con il 33,6%. In  termini numerici, su circa 250mila unità di irregolari, più del 50% sono collocati nel Mezzogiorno. E la Sicilia e la Campania sono le regioni con il più alto numero di lavoratori irregolari, seguiti dalla Puglia e della Calabria.

Bisogna mettere in campo tutti gli strumenti di prevenzione utili ad evitare che le organizzazioni criminali, in special modo nel Mezzogiorno, possano drenare  quote di investimenti destinati allo sviluppo. L’Italia e il Mezzogiorno in particolare hanno bisogno di questi investimenti da subito e ciò deve avvenire nella trasparenza.

Le modifiche alla legge 109/94 adottate dal governo creano serie preoccupazioni al settore delle costruzioni in particolare nel Sud perché, favoriscono le infiltrazioni mafiose negli appalti e nei cantieri dell’edilizia.

Il lavoro, assieme ai diritti, alla  legalità,  alla trasparenza, sono stati e continuano ad essere i temi conduttori delle piattaforme e delle   lotte della Fillea.

Il  diritto al contratto nazionale e territoriale rimane un caposaldo fondamentale, assieme ad un uso contrattualmente corretto degli enti bilaterali; dal ruolo del Comitato Tecnico Paritetico (CTP) per la prevenzione degli infortuni, con particolare attenzione agli RLS (Rappresentanti dei  Lavoratori per la Sicurezza) e agli RLST (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriali),  alle scuole edili per una moderna ed efficace formazione.

L’ azione del sindacato è rivolta nei confronti delle Regioni anche per i nuovi compiti derivanti dalla Riforma del titolo V° della Costituzione, e quella contrattuale per il rinnovo degli integrativi provinciali che possono diventare la sede per concordare la politica di settore con le controparti.

 

 

 

 

 

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Recupero ambientale e governo urbanistico del territorio
per creare nuove occasioni di lavoro nel settore delle costruzioni

 

La questione ambientale è anche questione sociale ed economica, nel senso che va affermata una idea della sostenibilità che assume la dimensione sociale come cardine dell’equilibrio ambiente - economia, la sostenibilità come elemento intrinseco del governo dello sviluppo. Va rovesciata l’impostazione liberista, basata sulla centralità dell’impresa (il concetto di responsabilità sociale dell’impresa riconduce alla funzione fondamentale dell’impresa, anziché ad aspetti costitutivi dello sviluppo).

Gli elementi qualitativi dello sviluppo (diritti, ambiente, sostenibilità sociale) costituiscono essi stessi fattori di sviluppo (opportunità nuove, qualificazione della concorrenza, stimolo alla ricerca, ecc.).

Le scelte confindustriali, per una strategia competitiva tutta fondata sull’abbattimento dei costi, negano questi fattori di sviluppo insieme all’impegno sul tema della qualità e dell’innovazione come fondamento di una strategia competitiva.

Inoltre vi è una connessione profonda che lega le politiche ambientali alle politiche industriali, perché la qualità dei processi produttivi e dei prodotti condizionano

la qualità dei processi di sviluppo; di qui la centralità delle politiche industriali di settore.

Dentro un quadro d’azione basato sugli elementi sopra descritti, vi sono numerosi aspetti che intersecano il nostro settore e favoriscono interventi che possono avere importanti ricadute occupazionali.

 

Ecco alcune direttrici da seguire:

·              Perseguire la difesa del suolo come attività integrata, che necessita di un approccio complessivo, riguardante gli aspetti fisici e morfologici del territorio e gli aspetti sociali ed economici degli insediamenti.

·              Nella difesa del suolo dall’impatto di fenomeni naturali, anche estremi, combattere l’approccio basato sull’emergenza, che ha favorito la realizzazione di interventi nella parte inferiore dei bacini idrografici (a più elevata urbanizzazione), e

 

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·              privilegiare l’approccio finalizzato alla sistemazione della parte alta dei bacini, con ricadute positive, per ampiezza e durata nel tempo, nella condizione della pianura, in modo da favorire l’assetto delle aree naturali, gli insediamenti civili, l’infrastrutturazione, gli insediamenti industriali.

·              Sostenere un assetto territoriale ed urbanistico equilibrato, che riduca il consumo di suolo e di aree naturali, promuova la gestione ottimale delle risorse e la qualità degli insediamenti urbani, persegua il policentrismo, l’integrazione funzionale fra aree a vocazione diversa, la cooperazione, la sostenibilità ambientale.

·              Integrare la sostenibilità nella pianificazione territoriale e paesistica locale, migliorare la qualità dell’ambiente urbano, attraverso la riqualificazione  del tessuto edilizio e degli spazi di interesse collettivo.

·              Individuare nuovi strumenti di riqualificazione ambientale urbana, anche di carattere sperimentale (mobilità sostenibile, risanamento zone abusive, risanamento acustico in particolare per quanto attiene le infrastrutture di trasporto ferroviario e stradale e gli spazi di interesse collettivo).

·              Perseguire lo sviluppo della bioedilizia e della bioarchitettura, per le ricadute positive sulla salute e il confort dei destinatari finali, sul consumo delle risorse, sulla scelta dei materiali, sull’innalzamento complessivo del profilo qualitativo dell’opera

e del processo costruttivo.

·              Sviluppare l’attività di recupero dei rifiuti prodotti da demolizioni o ristrutturazioni, il loro riutilizzo come inerti, favorendo il risparmio del suolo e l’occupazione nel settore.

·              Adeguare il patrimonio edilizio esistente, attraverso interventi per rendere sicure abitazioni, scuole ed edifici pubblici nei centri esposti al rischio sismico (che interessa gran parte del territorio italiano). Analogo intervento è necessario per quanto riguarda  infrastrutture ed edifici strategici (es. ospedali, centrali elettriche, ecc.).

·              Bonificare e rinaturalizzare  aree soggette a degrado (aree industriali dimesse, siti contaminati, discariche, aree minerarie dimesse).

·              Realizzare l’assetto sostenibile delle zone costiere, che miri all’integrità ecologica dell’ambiente marino e terrestre, alla efficienza economica e all’equità sociale.

 

 

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·              Combattere l’erosione delle coste (che costituisce non solo un danno ambientale, ma é fattore di rischio per lo sviluppo, pregiudica la stabilità di tutto il litorale, compreso quello dove insistono infrastrutture per i trasporti o insediamenti turistici), recuperare suoli degradati per processi di erosione, salinizzazione, ecc.

·              In connessione col processo in atto di dismissione di insediamenti industriali litoranei, perseguire la riconversione e il recupero delle aree industriali dismesse, facendo posto ad attività industriali a minor impatto ambientale, come la cantieristica minore, o ad aree residenziali, strutture terziarie, insediamenti turistici.

·              Gli interventi in questi campi sono complessi per la natura legislativa e regolamentare spesso poco chiaro e sovrapposta la loro normale ricomposizione può avvenire nei Piani Regolatori che evidentemente vanno opportunamente aggiornati.

·              In una fase in cui si sta definendo il Testo Unico sull’Edilizia, in cui i Comuni si devono dotare degli Sportelli Unici potrebbe essere l’occasione per richiedere l’introduzione di norme regolamentari contro il lavoro nero e la Sicurezza nei Cantieri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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TABELLE & GRAFICI